«Nella nostra anima c'è qualcosa a cui ripugna la vera attenzione molto più violentemente di quanto alla carne ripugni la fatica. Questo qualcosa è molto più vicino al male di quanto lo sia la carne. Ecco perché ogni volta che si presta veramente attenzione si distrugge un po' di male in se stessi. Un quarto d'ora di attenzione così orientata ha lo stesso valore di molte opere buone. L'attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all'oggetto, nel mantenere in se stessi, in prossimità del pensiero ma a un livello inferiore, e senza che vi sia contatto, le diverse conoscenze acquisite che si è costretti a utilizzare. Nei confronti di tutti i pensieri particolari già formati, il pensiero deve essere come un uomo in cima a una montagna che, guardando davanti a sé, al tempo stesso percepisce, pur senza guardarle, molte foreste e pianure sottostanti. E soprattutto il pensiero deve essere vuoto, in attesa, non deve cercare alcunché, ma essere pronto ad accogliere nella sua nuda verità l'oggetto che sta per penetrarvi» (Simone Weil)
Nel 1647, al crepuscolo del Siglo de Oro, appare a Huesca, nell'Aragona, un sottile libro in-12°, opera di un Lorenzo Gracián dietro al quale si celava un teologo gesuita dalla solida fama di scrittore, Baltasar Gracián. Nessuno poteva prevedere che quei trecento aforismi avrebbero esercitato in Europa - grazie soprattutto alla traduzione-travisamento di Amelot de la Houssaie, dedicata a Luigi XIV nel 1684 - un'influenza immensa, sino a diventare un classico dell'educazione del gentiluomo, amato da Schopenhauer (che volle tradurlo) e apprezzato da Nietzsche. Ma che cos'era in realtà l'Oracolo manuale (cioè 'maneggevole, di facile consultazione')? Per capirlo, non abbiamo che da affidarci a Marc Fumaroli, il quale, in un illuminante saggio, ci rivela come l'Oracolo, trasformato da Amelot in una collezione di tattiche mondane, fosse qualcosa di infinitamente più audace e innovativo. Fondandosi sulla lezione della saggezza antica e sull'umanesimo teologico della Compagnia - sulla fiducia, dunque, nella cooperazione della natura e della grazia -, in opposizione al rigorismo giansenista, con quel libretto dallo stile conciso e concentratissimo Gracián intendeva infatti offrire alle grandi anime libere un viatico per affrontare vittoriosamente i pericoli e le insidie di un mondo degradato - e per imprimere il loro marchio nella vita politica e civile. Non una regola, dunque, ma uno stile, sorretto dalla conoscenza di sé e degli uomini non meno che dall'eleganza delle maniere e dal gusto raffinato, dal sapere enciclopedico e dalla solidità del giudizio, dalla docilità della volontà e dalla più calibrata riservatezza.
Dice Heidegger che ogni vero pensatore pensa un solo pensiero: nel caso di René Girard è quello del «capro espiatorio». In questo saggio egli prende per mano il lettore e, passo per passo, illumina in modo definitivo quel meccanismo della persecuzione e del sacrificio a cui già aveva dedicato La violenza e il sacro. Ed è impossibile sottrarsi alla luce cruda e netta che in queste pagine viene gettata su alcuni temi che per forza ci riguardano tutti. In particolare, colpiranno per la loro radicale novità le interpretazioni di parabole ed episodi dei Vangeli, dove secondo Girard si compie quell'oscillazione decisiva per cui la vittima sacrificale non consente più alla colpa che le viene attribuita, ma diventa l'innocente che come tale si rivendica: così il capro espiatorio si trasforma nell'agnello di Dio.