Alcuni fra i maggiori studiosi della Sindone, coordinati dalla professoressa Marinelli hanno fatto confluire in questo volume i risultati delle loro idagini più recenti. Si ridefinisce così, dal punto di vista storico e scientifico, il mistero del Sacro Lino che si svela sempre più come il reperto più importante della vicenda cristiana, la reliquia lasciata da Cristo nel Sepolcro di Gerusalemme. Completano il volume alcune meditazioni sindonologiche di Orazio Petrosillo (1947- 2007).
Una straordinaria presenza ammantata di mistero: così si pone la Sindone sul cammino dell’umanità desiderosa di dare risposta ai quesiti che coinvolgono il senso più profondo della sua esistenza. Quell’antico telo ha avvolto davvero Gesù? L’immagine che vediamo ci parla della sua risurrezione? Com’è arrivato fino a noi quel fragile lenzuolo? Per far luce su questi enigmi sono scese in campo le discipline storiche e quelle scientifiche. Nuovi risultati sono così emersi dagli archivi e dai laboratori, componendo un mosaico avvincente di indizi e di prove. A questo punto il cammino va oltre: davanti alla Sindone «il nostro non è un semplice osservare, ma è un venerare, è uno sguardo di preghiera. Direi di più: è un lasciarsi guardare» (Papa Francesco, 30 marzo 2013). Questo rovesciamento di prospettiva è il punto di arrivo di un itinerario di conoscenza che giunge al significato recondito del prezioso lino. La Sindone in realtà non ha bisogno di luce: è lei che la diffonde. E dunque un percorso di ricerca per illuminarla porta necessariamente a una sola conseguenza: che siamo noi a lasciarci illuminare.
Nelle prime duecento pagine il libro – curato e in parte scritto direttamente da Emanuela Marinelli – aggiorna sulle più importanti indagini storico-scientifiche compiute fino a oggi sul sacro Lino.
Offrono qui il loro contributo Alfonso Caccese, Andrea Di Genua, Michele Filippi, Bartolomeo Pirone, Ivan Polverari, Laura Provera, Domenico Repice. Nella sezione conclusiva, invece, le riflessioni di Orazio Petrosillo (1947-2007) aprono alla contemplazione dell’Uomo della Sindone.
«L'antologia dei più importanti lavori pubblicati in campo astronomico tra il 1900 e il 1975 contiene ben sei articoli di Eddington contro i quattro di Einstein e Hubble. Nessuno lo supera e nessuno lo eguaglia» (Patrizia Caraveo, astrofisica italiana). Ma oltre che un grande fisico e un maestro, Eddington fu, come tutti i geni, anche un uomo sensibile al fascino della speculazione filosofica e teologica. Questa meditazione che ci ha lasciato, La Scienza e il mondo invisibile, ne è un saggio d'inossidabile attualità, che si colloca nel solco di una storia più ampia, spesso sconosciuta se non deliberatamente trascurata, che passa da giganti della scienza come Newton, Kelvin, Faraday e che a Eddington fa dire: «Per quanto mi riguarda non ho dubbi, riesco a sentire il pensiero di Dio».
Gli obiettivi che la scienza moderna agli inizi si è posta erano «grandiosi»: essere la vera filosofia, che rivelava il mondo com’è realmente, alleviare le fatiche degli uomini, rendendoli padroni della natura, e renderli felici, insediandoli nel posto che spetta loro nel creato. Anche il suo procedere dal Seicento a oggi è stato apparentemente un grande successo, ma di fatto si è tradotto in un «itinerario dello smarrimento», che ci ha condotti all’insignificanza. Questa è la tesi provocatoria, ma purtroppo ben motivata, che scaturisce dall’analisi della scienza moderna dipanata in questo consistente saggio da Olivier Rey, matematico e filosofo, perciò esperto conoscitore dall’interno del mondo scientifico dei temi che affronta. Ripercorrendo il cammino della scienza nelle sue tappe più rilevanti, come la matematizzazione della natura e l’adozione del metodo sperimentale, Rey evidenzia come il soggetto (divino e umano) sia svanito nel processo di oggettivazione del reale e anche l’oggetto sia poi stato risolto negli schemi e parametri in funzione dei quali è spiegato il suo comportamento nelle diverse circostanze. Così, gli interrogativi filosofici sul mondo sorti sin dall’antichità non possono più essere posti, perché non ci sono più azioni libere: ciò che l’uomo credeva di trarre dalla propria interiorità non è che il risultato di processi anonimi che lo determinano interamente. Bisognerebbe compiere, conclude Rey, un «passo di lato», ritrovando nella cultura la mediazione tra il soggettivo e l’oggettivo, ma la scienza si oppone, perché la cultura implica l’inscrizione in un contesto storico-sociale, mentre è proprio nell’oblio del suo passato che la scienza progredisce più in fretta.