La tanto decantata "democrazia digitale" si situa appena un passo prima della dittatura degli stupidi e dei creduloni. Serve un antidoto, ed è con questo libro che Charles Seife ci viene in soccorso. Non è che prima di internet gli uomini non mentissero, anzi, però internet ha dato ai mentitori uno strumento fantastico e potente per esercitare liberamente la loro paziente opera distruttiva. Sia chiaro: internet è uno strumento straordinario. Grazie al Web oggi siamo in grado di fare cose che fino a pochi anni fa sembravano semplicemente impensabili. Ma, nel bene e nel male, internet è anche una gigantesca cassa di risonanza, nuova di zecca e potenzialmente devastante, che può essere facilmente usata dai malintenzionati. E loro la usano, eccome! Oggi è più che mai necessario capire come può essere usata l'informazione digitale: riconoscendo i segni delle manipolazioni della Rete si può capire come (e perché) la gente sfrutti le proprietà di questo strumento per cercare di alterare la nostra percezione della realtà. Ben venga allora questa guida per gli scettici, un manuale per chi desidera comprendere con chiarezza in che modo la sfera digitale stia influenzando tutti noi. Viviamo in un mondo dove il reale e il virtuale non possono più essere del tutto separati, tanto che a volte c'è ben poca differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Ma non è un gioco indolore: questa "irrealtà virtuale" ha conseguenze che possono essere alquanto spiacevoli.
Cosa può succedere se Ken, il fidanzato di Barbie, viene a sapere che la sua amata bambolina è la causa della deforestazione del Borneo? Succede che una campagna pubblicitaria lo denuncia e la casa produttrice è costretta a cambiare la filiera produttiva. Succede cioè che la vita dell'orango della foresta pluviale e quella dei nostri figli in Europa sono legate tra loro molto di più di quanto si pensi. Poi succede anche che un rapper di un quartiere chic di Seul lancia su YouTube il suo Gangnam Style, e la canzone finisce per essere cantata in dialetto trentino, magari dal pronipote di un irredentista antiasburgico; e succede che un senegalese che vive a Firenze vende un souvenir "etrusco" fatto in Cina a una turista americana. Insomma, è ovvio che l'etnologia e l'antropologia sono completamente da ripensare. Nel nostro mondo globalizzato, nello strano "frittatone planetario" nel quale viviamo, barriere, specificità e contorni sono semplicemente saltati. L'antropologo allora si interroga, cerca nei libri gli insegnamenti dei maestri, ma si vede costretto a rileggerli in chiave diversa, proprio come avviene nella copertina di questo volume, che è un misto di hi-tech e di antropologia ottocentesca (un tantino razzista). In pratica l'antropologia esce dall'università e entra nel mondo, si fa "pop", "antropop", perché è questo il mestiere degli antropologi: interpretare i popoli. E i popoli oggi sono un miscuglio inestricabile.
"Dobbiamo molto al libro. La vita intellettuale degli uomini ha avuto nel libro il suo utensile più versatile e insieme il suo emblema più glorioso. La vita emotiva, interiore, degli uomini ha trovato nei libri quella comprensione, quel colloquio, quell'intima rispondenza a sé che non sempre gli altri uomini sono stati in grado di offrire. Un simile riconoscimento che confina con la riconoscenza non ci autorizza però né a perseverare nelle illusioni né ad avvolgere noi stessi e il libro in una nebbiosa retorica. Al contrario, possiamo usarlo - lui, il libro - per fare quello che gli è sempre riuscito meglio. E cioè indagare, ricercare, discernere e, alla fine, capire, conoscere. E preservare, salvare. Questo, infatti, è stato il suo ufficio, la sua fortuna e la sua gloria".
Le tecnologie digitali sconvolgono il quadro antropologico finora noto. Virtualità, connettività universale e libero accesso alle fonti di informazione stanno riplasmando le facoltà cognitive dei ragazzi e dislocando altrimenti il sapere. Non è più là fuori, remoto, scosceso, paludato e spesso respingente; adesso sta tutto in tasca, a portata di mano, senza mediazione. Mentre i grandi mediatori - il sistema scolastico, ma anche gli istituti della politici e della società-spettacolo - si ostinano a brillare come stelle morte da tempo, ignare della propria fine. Il mondo non sarà più un posto per vecchi. L'ultraottantenne Michel Serres, epistemologo tra i più originali, registra sorridente quell'ineluttabile obsolescenza. Non trema, lui, di fronte al crollo di gerarchie e privilegi secolari, anzi rimane incantato dai suoi effetti più tellurici e si schiera incondizionatamente dalla parte dei ragazzi, capaci di un'intelligenza inventiva che è forza di svincolamento, nel corpo e nella mente.
Ovunque nel mondo, quando usiamo Internet, facciamo click a miliardi sulle stesse icone, in una vera e propria globalizzazione delle menti. La nostra cultura, che considera i miracoli come una prova dell'esistenza di Dio, ha già creato in passato tecnologie che hanno qualcosa di prodigioso e di divino: Internet non è che l'ultimo di questi messia. Oggi confondiamo la libertà con la trasmissione di gigabyte. La rete e i social media hanno ormai fatto irruzione nelle nostre vite, promettendo di appagare il nostro bisogno più profondo di comunicazione, di conoscenza e di creatività, giungendo a toccare la nostra natura più intima, modificando la nostra sessualità. Per molti, la tecnologia digitale si è già sostituita alla ricerca della verità e dell'amore, i due motori più potenti dell'essere umano. Ma se non riusciremo a radicare saldamente questi mezzi di comunicazione nel profondo delle nostre qualità umane - nell'esperienza e nella ricerca interiore - saremo ancora più vulnerabili e mostreremo ancora di più tutta la nostra fragilità. Ivo Quartiroli utilizza materiali provenienti da campi tra loro distanti, dai media studies alla psicologia alla spiritualità, per comprendere gli effetti sulla nostra mente e sulla nostra vita di questo gigantesco flusso di informazioni che chiamiamo Internet, che è certamente in grado di connettere tra loro gli uomini, ma è capace anche di far perdere il contatto con la realtà e con la fisicità dei corpi.
Con l'introduzione del digitale terrestre e delle pay TV, la televisione sta vivendo una trasformazione epocale. Anche il modo di guardare la TV sta cambiando rapidamente. Non è più il tempo dell'utente passivo: il pubblico cerca sempre di più un prodotto su misura, che spesso paga, in un certo senso confezionando da sé il palinsesto che preferisce. Se "il medium è il messaggio", ogni medium produce contenuti propri e risponde in maniera originale alle esigenze della società. Nel caso della televisione vale anche il contrario: la società stessa viene, sempre di più, condizionata a sua volta dal mezzo televisivo. Nella nostra storia siamo così passati da una televisione di classe, specchio di un'élite del paese, a una televisione ritagliata attorno al consenso esclusivo ed escludente della maggioranza, per arrivare oggi a una TV sempre più attenta alla moltitudine, la nuova società plurale nella quale siamo immersi. Di questi mutamenti della TV e delle loro profonde ricadute sulla realtà italiana, Carlo Freccerò parla in modo illuminante e provocatorio, in un libro denso di idee e di contenuti.
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«Quale sarà la condizione della società e della politica di questa Repubblica di qui a settant’anni, quando saranno ancora vivi alcuni dei bambini che adesso vanno a scuola? Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l’incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro e dei disonesti?» Joseph Pulitzer se lo chiedeva all’’inizio del Novecento, quando per sua iniziativa nasceva la Scuola di giornalismo della Columbia University di New York. Era convinto che la risposta dipendesse in buona parte dalla qualità dell’informazione. A distanza di un secolo, nel momento in cui il consumo di notizie ha raggiunto ritmi prima inimmaginabili e rischia paradossalmente di rovesciarsi in disinformazione, la richiesta di qualità è ancora più decisiva per il bene pubblico. Perché «la nostra Repubblica e la sua stampa progrediranno o cadranno insieme».
l'autore
Joseph Pulitzer (1847-1911), ungherese naturalizzato americano, fu uno dei più grandi giornalisti ed editori. Emigrato negli Stati Uniti nel 1864, quattro anni più tardi venne assunto come reporter nella testata di lingua tedesca «Westliche Post» di St Louis e ne diventò in breve comproprietario. Dopo aver fondato e portato al successo il «St Louis Post-Dispatch», nel 1883 acquistò un piccolo giornale di New York, il «World», trasformandolo in pochi anni, grazie a una grafica e a una impaginazione innovative, in una testata di grande diffusione. Dalle colonne del quotidiano, Pulitzer promosse un giornalismo di inchiesta che diede vita a memorabili campagne di denuncia della corruzione politica e finanziaria. Il suo nome è legato a un lascito di due milioni di dollari che permise di istituire nel 1912 la Scuola di giornalismo della Columbia University, e a un fondo per il più ambito premio americano di giornalismo, letteratura e musica, a lui intitolato.
Il testo è suddiviso in tre parti che curano rispettivamente gli aspetti normativi della teoria dell'informazione, lo studio della teoria dei codici di sorgente e dei codici correttori d'errore e la comprensione dei modelli matematici che sono alla base delle moderne tecniche crittografiche per la protezione (attiva e passiva) dei dati mediante cifrari. La trattazione congiunta, in unico libro, di tali argomenti si giustifica in base alla considerazione che tanto la teoria dell'informazione quanto la crittografia devono il loro assetto normativo attuale ai lavori di Claude E. Shannon, che dotò di un modello matematico efficace e stabile sia il processo di trasmissione dell'informazione sia quello relativo alla sua protezione.