Il problema dell'adozione, sempre più presente ed enfatizzato dai mezzi di comunicazione, anche sull'onda dell'emotività, resta una realtà carica di interrogativi. Che cosa significa essere genitore adottivo? È sufficiente desiderare un bambino e volergli bene per risolvere tutti i problemi? La legislazione attuale è adeguata in proposito? Le autrici riflettono su queste e altre questioni in un'ottica psicodinamica, ponendosi "dalla parte degli adulti", gli aspiranti genitori: infatti essere veramente "dalla parte del bambino" implica aiutare gli adulti a ricercare dentro di sé i significati profondi legati alla mancanza e al desiderio di un figlio. Non vengono peraltro trascurate "la voce e l'esperienza" del bambino abbandonato, attraverso l'analisi del materiale clinico che sottolinea il faticoso processo di crescita dall'infanzia all'adolescenza nella nuova famiglia.
Come descrivere la capacità umana di leggere nella mente degli altri individui, comprendendo in modo immediato i loro pensieri e sentimenti e reagendo in modo appropriato alle azioni da essi compiute? Finora la scienza non era riuscita a spiegare questa fondamentale possibilità del nostro cervello, che, creando un ponte tra il sé e l'altro, permette lo sviluppo della cultura e della società. Oggi, grazie alla scoperta dei neuroni specchio si è aperta una prospettiva di ricerca rivoluzionaria. I neuroni specchio sono stati localizzati inizialmente, circa una ventina di anni fa, e la loro attività è stata subito connessa al riconoscimento di azioni finalizzate al raggiungimento di oggetti. In particolare, si è constatato che durante l'osservazione di un'azione eseguita da un altro individuo, il sistema neurale dell'osservatore si attiva come se fosse egli stesso a compiere la medesima azione che osserva: di qui il nome "neuroni specchio". Si ritiene che essi rendano possibile l'apprendimento imitativo e la comunicazione verbale, e che un loro cattivo funzionamento provochi un grave deficit come l'autismo. Marco Iacoboni ci conduce direttamente al cuore di queste ricerche, illustrando i principali esperimenti che ne hanno segnato le tappe e discutendo la loro ricaduta a livello scientifico, filosofico e sociale.
Il principale contributo della etnomatematica è quello di offrire una visione globale della matematica, riconducendone i concetti astratti al contesto umano delle differenti culture che li hanno generati. In questo libro, partendo da riflessioni su come particolari società strutturano il concetto di tempo, prendono importanti decisioni riguardo al futuro, costruiscono modelli e mappe e stabiliscono relazioni, Marcia Ascher dimostra che le culture tradizionali possiedono concerti matematici molto più sofisticati di quanto in genere non si creda. Alcuni rituali religiosi del Madagascar si basano su complessi algoritmi algebrici e che alcune popolazioni indonesiane, i kodi e i balinesi, usano calendari molto più astratti ed eleganti dei nostri. Ascher ci mostra da un lato che alcuni concetti da noi ritenuti universali - ad esempio: il tempo come una successione di singoli istanti o che nell'idea di eguaglianza si esprima una relazione statica - non lo sono affatto; dall'altro che ulteriori concetti ritenuti di dominio esclusivo della matematica occidentale risultano invece ampiamente condivisi in differenti contesti culturali. Questa esplorazione in terreni matematici "lontani" spazia attraverso diverse aree geografiche: tra i borana e i malgasci dell'Africa, tra gli abitanti delle isole Tonga e Marshall in Oceania, fino ai tamil nel sud dell'India, ai baschi in Europa occidentale, ai balinesi e ai kodi in Indonesia.
Tra le classiche definizioni filosofiche dell'essere umano - l'uomo è animale razionale, l'uomo è animale politico - ve n'è una, la quale viene di solito sottaciuta. Quella di animale erotico. Eppure è proprio essa che indica l'originaria condizione di possibilità dell'incontro, ossia di ciò a partire da cui può aver luogo ogni pratica e ogni forma di relazione umana, compresi l'esercizio del pensiero e la politica. L'uomo come mortale, infatti, nasce solo dopo che ha fatto irruzione nel mondo il demone di Eros. Prima, quando gli esseri erano immortali, Eros non esisteva affatto e del sesso non c'era alcun bisogno. Il libro affronta le principali questioni relative all'erotismo e alla sessualità: il desiderio, la caccia, il matrimonio, le cosiddette perversioni, la violenza, la pornografia di massa, sino ai legami tra Eros e politica. E lo fa reinterpretando alcuni miti antichi e medievali (come quelli di Orfeo ed Euridice e di Tristano e Isotta), ripercorrendo i luoghi fondamentali della tradizione filosofico-erotica occidentale (da Platone e Aristotele al misticismo cristiano-medievale, da Giordano Bruno a Schopenhauer, a Kierkegaard e Nietzsche, da Freud a Deleuze e Derrida), senza trascurare alcuni eminenti luoghi artistico-letterari come "Le Lettere" di Abelardo ed Eloisa, il "Don Giovanni", la "Filosofia del boudoir" di Sade, i romanzi di von Sacher-Masoch e quelli di Kafka, l'arte di Michel Duchamp, la fotografia di Pierre Molinier, sino alle esperienze estreme del transgender.
In questo libro l'autore prende in esame, nell'intento di formulare una teoria unificata, i diversi orientamenti attuali nella psicoterapia della coppia madre-bambino. La "costellazione materna" è il costrutto teorico unificante proposto da Stern: ogni donna che diventa madre, e soprattutto alla nascita del primo figlio, viene a trovarsi, da un punto di vista psicologico, in una situazione nuova che orienta i suoi comportamenti e la sua sensibilità, le sue tendenze, i suoi timori e i suoi desideri, rimettendo in gioco le sue fantasie infantili. Ciò impone all'operatore un diverso modo di concepire e di vivere il rapporto con la paziente. Osservare la coppia madre-bambino nell'ottica della "costellazione materna" consente una migliore comprensione e una migliore efficacia terapeutica.
Perché le salsicce cuociono più in fretta dell'arrosto? Qual è la forma migliore per un boiler? Cosa hanno in comune il getto d'acqua che sgorga da un rubinetto e un ingorgo stradale? A un primo sguardo sembrerebbe che la matematica non abbia nessuna relazione con la cucina. Un'analisi più attenta svela, invece, i meccanismi che regolano il funzionamento e la struttura di oggetti e fenomeni quotidiani che celano al loro interno una grande quantità di matematica, spesso tutt'altro che elementare.
A partire da un orientamento teorico e di ricerca basato sulla teoria dell'attaccamento, questo lavoro affronta tutti gli aspetti di una tematica oggi molto presente fra gli specialisti, nelle famiglie, nella scuola e nella comunità sociale, e ampiamente rispecchiato nei mass media. Le autrici si preoccupano di mettere in risalto la delicatezza del compito che spetta agli psicologi e alle altre figure istituzionali preposte a valutare l'idoneità di una coppia ad adottare un bambino. Il libro offre un significativo contributo al filone degli studi sull'attaccamento, ed è centrato sugli aspetti di cambiamento (sempre "inquietante") che l'evento adozione produce in tutti i suoi protagonisti.
A partire dalle scoperte di Freud, la psicoanalisi come teoria della mente ha attinto i suoi dati a due fonti principali: la clinica degli adulti e l'osservazione del bambino. Stern parla in questo senso di "bambino osservato" e "bambino clinico" e già Bowlby considerava essenziale per il progresso della teoria psicoanalitica una tale dialettica tra indagine "retrograda" (la clinica) e indagine "anterograda" (l'osservazione). Allo stesso ambito di riflessione appartiene tutta l'opera di Pine, come appare dalla struttura di questo volume, diviso in due parti: "Aspetti dello sviluppo da una prospettiva clinica" e "Aspetti del processo clinico da una prospettiva evolutiva".
Di Aaron T. Beck e collaboratori erano già disponibili in italiano "La depressione" (Boringhieri, Torino 1978, ed. orig. 1967) e i "Principi di terapia cognitiva" (Astrolabio, Roma 1984, ed. orig. 1976). Il presente volume non apporta novità sostanziali al discorso della psicoterapia cognitiva, e, come per i due precedenti, tanto vi appaiono interessanti e stimolanti certi aspetti dell'elaborazione teorica, quanto vi è, poi, deludente, modesta e priva di spessore l'elaborazione della pratica. L'atteggiamento schematico, riduttivo, persino banalizzante che induce nel terapeuta sembra piuttosto pericoloso, giacché l'inesperto può essere sedotto dalla rassicurazione che gli può derivare da una metodica dall'apparenza molto scientifica e molto pratica (scalette, tabelle, punteggi, verifiche). È un guaio, questo, che sembra frequente allorché il cognitivismo viene applicato alla clinica, e che, forse, è connesso al fatto che le teorie cognitivistiche sono, ancor più che troppo giovani, troppo piattamente collegate a certe miopie del comportamentismo d'oltreoceano. Peccato, perché la posizione cognitivistica sembrerebbe centrale per l'elaborazione di ogni teoria della tecnica psicoterapica, dato che qualunque intervento psicoterapico mira, di fatto, a una ristrutturazione del campo cognitivo del paziente, e si fonda sulle attività cognitive sue e del terapeuta. Forse, la speranza di rendere utilizzabile in modo non banale e non riduttivo la prospettiva cognitivistica in ambito psicoterapico potrà essere realizzata da qualcuno che costruisca, sì, dei ponti fra clinica e cognitivismo, ma partendo da una prospettiva psicodinamica più sfumata, ricca e consapevole che non sia quella del comportamentismo.