Quando si parla di economia non è azzardato dire che si tratti di una vera e propria religione. Come la religione anche l'economia ha le sue chiese e i suoi templi - le banche e le borse - imprese, agenti di cambio o esperti di finanza sono le sue cattedrali, i suoi prelati o profeti; la pubblicità e il marketing sono le preghiere che ne officiano la liturgia: il consumo. Non a caso secondo Serge Latouche in questo libello combattivo, sulle banconote americane troviamo fissato il motto «In God We Trust» e, se dovessimo immaginare i Dieci comandamenti del capitalismo, non sfigurerebbe la battuta fulminante del finanziere di Wall Street: «L'avidità è giusta». L'idolatria della crescita solleva, dunque, la questione della natura quasi religiosa dell'economia di mercato. Una religione secolare e materialista che disincanta il mondo, distruggendo il legame sociale e gli ecosistemi necessari per la sopravvivenza dell'umanità. «Desacralizzare» la crescita, secondo Latouche, consiste innanzitutto nel rivelare il modo in cui ha avuto luogo la sua sacralizzazione. Il progetto di una società alternativa sostenibile e amichevole, guidata dalla decrescita, mira invece a uscire dall'incubo del produttivismo e del consumismo, ma anche a reincantare il mondo e riguadagnare la nostra capacità di meravigliarci per la sua bellezza. Anche papa Bergoglio d'altra parte - con la sorprendente enciclica Laudato si' - ha annunciato che la compatibilità tra la decrescita e la religione tradizionale diventa possibile e che la decrescita contiene una dimensione etica, e persino spirituale, essenziale senza necessariamente diventare una nuova religione. Con un libro agile e in felice dialogo con la dottrina cattolica, Serge Latouche torna a occuparsi della prediletta teoria della decrescita, invitando a rovesciare e desacralizzare l'ideologia del profitto a tutti i costi. "Come reincantare il mondo" è un piccolo trattato per combattere la religione del denaro, e un appello per un nuovo modello di società.
Il pianto antico, la lamentazione mediterranea e precristiana sui defunti, è il tema cruciale su cui Ernesto de Martino mette alla prova l'efficacia delle categorie interpretative elaborate nel "Mondo magico". L'esistenza dell'uomo primitivo è perennemente in bilico tra l'affermazione di sé e della propria presenza e l'universo della labilità in cui è costretto a vivere, dove tutto congiura per l'annullamento e la dissoluzione. La morte di una persona cara e necessaria è l'evento che può provocare il tracollo della instabile bilancia: essa appare uno scandalo irreversibile, una crisi senza orizzonte e apre la strada alla estraniazione dal mondo, al delirio di negazione, al furore distruttivo omicida e suicida. Ma proprio sull'orlo del rischio estremo l'uomo primitivo impara a difendere il proprio precario esserci: nasce il controllo rituale del patire, il pianto collettivo. Il rito - e le molte tecniche di cui si sostanzia - può ora percorrere tutta la tastiera della disperazione, ma appunto in forma controllata. E l'uomo è restituito alla vita, mentre la presenza assillante del morto è trasformata in un'ombra protettrice.