Giovanni Reale è uno dei massimi studiosi del pensiero antico e autore di fondamentali contributi su Presocratici, Socrate, Platone, Aristotele, Seneca, Pirrone, Plotino, Proclo e Agostino. Ha composto una Storia della filosofia greca e romana (in dieci volumi, Bompiani 2004) che si è imposta come un punto di riferimento. Per una nuova interpretazione di Platone è la sua opera di maggior successo, come dimostra lo straordinario numero di edizioni, le traduzioni in varie lingue e i giudizi dati dagli studiosi a livello internazionale.
Giovanni Reale (1931), uno dei massimi studiosi del pensiero antico, insegna presso l’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano. La sua sterminata produzione scientifica spazia lungo tutto l’arco del pensiero greco e latino: gli autori a cui ha dedicato specifiche monografie sono i Presocratici, Parmenide, Melisso, Socrate, Platone, Aristotele, Teofrasto, Pirrone, Seneca, Plotino e Proclo. Con Elisabetta Sgarbi ha pubblicato: I misteri di Grünewald e dell’Altare di Isenheim (2006), Le nozze nascoste o la Primavera di Sandro Botticelli (2007) e Il pianto della statua (2008). I suoi scritti sono attualmente tradotti in quindici lingue.
Viviamo nell'epoca della fretta, un "tempo senza tempo" in cui tutto corre scompostamente, impedendoci non soltanto di vivere pienamente gli istanti presenti, ma anche di riflettere serenamente su quanto accade intorno a noi. L'endiadi di essere e tempo a cui Martin Heidegger aveva consacrato il suo capolavoro del '27 sembra oggi riconfigurarsi nell'inquietante forma di un perenne essere senza tempo. Figlio legittimo dell'accelerazione della storia inaugurala dalla Rivoluzione industriale e da quella francese, il fenomeno della fretta fu promosso dalla passione illuministica per il futuro come luogo di realizzazione di progetti di emancipazione e di perfezionamento, la nostra epoca "postmoderna", che pure ha smesso di credere nell'avvenire, non ha per questo cessato di affrettarsi, dando vita a una versione del tutto autoreferenziale della fretta: una versione nichilistica, perché svuotata dai progetti di emancipazione universale e dalle promesse di colonizzazione del futuro. Nella cornice dell'eternizzazione dell'oggi resa possibile dalla glaciale desertificazione dell'avvenire determinata dal capitalismo globale, il motto dell'uomo contemporaneo - mi affretto, dunque sono - sembra accompagnarsi a una assoluta mancanza di consapevolezza dei fini e delle destinazioni verso cui accelerare il processo di trascendimento del presente. (Prefazione di Andrea Tagliapietra)
Antonio Gnoli, responsabile delle pagine culturali della "Repubblica" e grande esperto della filosofia tedesca del Novecento, e Franco Volpi, che è stato professore di Storia della Filosofia all'Università di Padova e curatore delle opere di Heidegger per la casa editrice Adelphi, tornano con una preziosa raccolta di scritti, in parte inediti, in parte usciti su "la Repubblica" tra il 1996 e il 2008, che indaga i capisaldi della riflessione filosofica del Ventesimo secolo, rileggendo un'epoca attraverso le figure di grandi maestri, da Heidegger a Gadamer, da Jünger a Schmitt, Brandt, Nolte. I temi trattati spaziano da vicende di vita privata, come il legame dei coniugi Heidegger e la testimonianza del figlio Hermann sul padre, a questioni di impronta più prettamente politica, come il controverso rapporto di alcuni di questi autori con il nazismo, per approdare comunque sempre al nucleo essenziale di ogni speculazione di pensiero: la vita e il suo più profondo significato. Un viaggio, per tutti, nella filosofia.
“La filosofia come avventura infinita:
una sorta di navigazione a vista
nel gran mare dell’essere.
Per ripristinare il senso più autentico
della domanda filosofica.”
Un’avventura che non vuole traghettarci da nessuna parte; ma farci fare un’autentica esperienza di pensiero. E condurci nel cuore di alcune tra le grandi questioni della filosofia. Insomma, un modo per cercare di capire in cosa consista veramente quella in-servibile forma di conoscenza che da molti viene giustamente guardata con sospetto e perplessità. O anche: un modo per accompagnare il lettore alle radici di quella pratica intellettuale che sta alla base delle discipline specialistiche che i più ormai ritengono finalmente libere da ogni nefasta tentazione unitaria. Un volume che pretende di rivolgersi anche a chi non abbia mai avuto occasione di imbattersi in quella enigmatica forma di interrogazione che ha sempre caratterizzato il non-sapere filosofico. Sì, perché l’avventura della ricerca filosofica ha questo di caratteristico: di non pretendere alcun prerequisito, alcuna carta di identità, alcuna pregiudiziale attestazione d’appartenenza, ma di offrirsi piuttosto alla libera disponibilità di una mai appagata docta ignorantia.
Remo Bodei, Achille Bonito Oliva, Massimo Cacciari, Adriana Cavarero, Gianni Celati, Michele Ciliberto, Piero Coda, Umberto Curi, Roberta De Monticelli, Massimo Donà, Felix Duque, Andrea Emo, Roberto Esposito, Maurizio Ferraris, Bruno Forte, Umberto Galimberti, Aldo Giorgio Gargani, Romano Gasparotti, enrico ghezzi, Giulio Giorello, Sergio Givone, Antonio Gnoli, Eugenio Lio, Giacomo Marramao, Jean-Luc Nancy, Salvatore Natoli, Piergiorgio Odifreddi, Mario Perniola, Giovanni Reale, Franco Rella, Pier Aldo Rovatti, Emanuele Severino, Carlo Sini, Corrado Sinigaglia, Gianni Vattimo, Vincenzo Vitiello, Franco Volpi, Italo Zannier, Stefano Zecchi. Ritratti fotografici di Raffaella Toffolo
a cura di Massimo Donà
Nicolaj Berdjaev, Maurice Blanchot, Sergej Bulgakov, Albert Caraco, René Daumal, Benjamin Fondane, Manfred Frank, Roger Gilbert-Lecomte, Mecislas Golberg, Martin Heidegger, Jeanne Hersch, Alexandre Kojève, Hanif Kureishi, Antonio Machado, Kazimir Malevic, Merab Mamardachvili, Thomas Mann, Dionys Mascolo, Carson McCullers, George Oppen, Georges Palante, Jean Paulhan, Raymond Quéneau, Georges Ribemont-Dessaignes, Reiner Shürmann, Lev Svestov, Peter Sloterdijk, Leo Strauss, Paul Valéry
a cura di Roberto Di Vanni
Considerato uno dei massimi filosofi della scienza viventi, sempre in linea e in dialogo sia con un gigante della filosofia come Husserl sia con la semiotica e con Umberto Eco, Jean Petitot ci offre una riflessione approfondita su alcuni dei temi emergenti, i più importanti, delle scienze contemporanee. Attraverso il ripensamento di alcune assunzioni della filosofia trascendentale di Kant, Petitot arriva a un ripensamento radicale del trascendentalismo attraverso una decisa storicizzazione delle scienze. In questo preciso contesto la tradizione italiana del razionalismo critico, variamente sviluppato da pensatori come Antonio Banfi, Giulio Preti e Ludovico Geymonat, costituisce una preziosa fonte di ispirazione e un momento di confronto irrinunciabile.
Quale ruolo è immaginabile, oggi, per l'università in Italia? Che cosa significano libertà di ricerca, di insegnamento, di studio? Come è possibile dialogo fra differenti persone, discipline, culture? Collocandola nel dibattito sul dialogo interculturale, il volume affronta una questione di grande attualità, quella del rapporto fra università e lavoro, ricerca e insegnamento, saperi teologico-filosofici e scientifico-laici, scienza e istituzioni, libertà e verità. A partire da un approfondimento filosofico della libertà, l'università è pensata come autonomo libero spazio interrogativo, di apertura ad ogni ricerca e comunicazione, per avviare un rapporto fecondo fra saperi, culture e religioni, le molteplici persone e realtà dell'universo umano, al di là delle contrapposizioni dominanti bellicosamente il mondo odierno. In un'agile forma filosofico-divulgativa, attraverso brevi capitoli a tema, l'autore formula i principi del sapere universitario: inscindibilmente costituito di insegnamento e ricerca, criticità e creatività, autonomia e responsabilità, differenza e interdisciplinarietà, verità e libertà. La tesi centrale è che non c'è autentica libertà senza relazione con differenti prospettive, sino all'apertura dell'uomo alla verità che lo trascende, restando né religiosamente né ideologicamente qualificata.
Pubblicato originariamente nel 1961, e' il piu' importante contributo di Reale sulla Metafisica di Aristotele.
Il volume fornisce sia una presentazione storica dell'ontologia dalle origini ai giorni nostri, sia lo stato dell'arte nel panorama contemporaneo.
Dario Antiseri è un filosofo cattolico, innamorato di Pascal. Giulio Giorello è un matematico e un filosofo che ama definirsi "ateo protestante". Possono le loro voci concordare sul valore della libertà da due prospettive così distanti? È la sfida di questo volume, che i due autori raccolgono in due interventi distinti sul pluralismo, il no a ogni pretesa di assolutismo o verità, la laicità come terreno comune sui cui discutere per laici, atei e credenti. Un libro che interviene nel cuore del grande dibattito della nostra democrazia, in cui a confrontarsi sono la scienza, la libertà d'espressione, la Chiesa e la fede in Dio.
Da uno dei filosofi contemporanei piu' originali e discussi, una riflessione sulla liberta', la pluralita' costitutiva del soggetto e il senso della comunita'.
Vi sono luoghi che la maggior parte degli uomini ha evitato per millenni e di fronte ai quali ha provato paura e sgomento: le montagne, gli oceani, le foreste, i vulcani, i deserti. Inospitali, ostili, desolati, evocano la morte. Eppure, dagli inizi del Settecento tali loci horridi cominciano a essere frequentati intenzionalmente e percepiti come "sublimi", dotati di una più intensa e coinvolgente bellezza. Come tali, hanno fatto sentire l'uomo più vivo, lo hanno fatto resistere alla banalità dell'esistenza. Sebbene gli sviluppi delle tecniche, la diffusione del turismo di massa e lo scempio del paesaggio abbiano smussato tale sentimento del sublime, sottraendogli parte di quegli ingredienti essenziali costituiti dall'incertezza e dalla paura, vi sono oggi fattori che ne favoriscono la rinascita. L'egemonia della tecnica, le prime spedizioni interplanetarie hanno aperto all'umanità nuove frontiere del sublime. Tuttavia, il nostro rapporto con la natura è completamente cambiato, travolto dalla modernità. Cosa ne è in questo nuovo contesto delle antiche paure che i paesaggi incutevano? Siamo ancora capaci di avvertire, di fronte alla natura, il senso dei nostri limiti? Cosa ci dicono oggi i paesaggi di noi e delle nostre debolezze?
<br/