Indice Presentazione Mario Venezia. Premessa Riccardo Di Segni. Prefazione Aldo Micocci-Pietro Traldi, Il Museo Civico delle FF.AA. - Botrugno Lecce Donato Maglio, Introduzione Il fascismo e la sua ascesa, Il bambino nascosto a Roma. Testimonianze fotografiche.
Fondato con ogni probabilità sullo scorcio del secolo XI dal normanno Umfredo, secondo conte montese, il monastero benedettino di S. Michele Arcangelo di Montescaglioso ha avuto un ruolo determinante nella vicenda religiosa, politica e socio-economica della Basilicata sud-orientale, accreditandosi come la più potente istituzione monastica dell'area. Strettamente legato alle schiatte comitali che hanno guidato la contea di Montescaglioso dalla prima età normanna al periodo aragonese, è stato a capo di una vasta signoria monastica, le cui propaggini si irradiavano fino alla costa ionica ed adriatica. L'archivio monastico, conservato all'interno del cenobio lucano anche dopo il trasferimento della comunità dei monaci a Lecce (1784), si è disperso in seguito alle soppressioni monastiche; una minima parte sopravvive oggi in originale ed è conservata presso l'Archivio di Stato di Matera, nel Fondo Gattini; alcuni documenti hanno fatto parte per un certo periodo dell'archivio privato del sottintendente di Matera, Niccolò Jeno de Coronei e dei suoi eredi, ma risultano ora irreperibili.
Com'è noto, il problema dei rapporti tra religione e politica in Italia è stato, nei decenni scorsi, al centro di una vivace discussione storiografica. Già nei primi anni del pontificato di Pio IX, in una fase cioè in cui tutta la nostra storia nazionale era dominata dall'aspirazione al riconoscimento delle libertà politiche e civili ed alla costituzione di uno Stato unito ed omogeneo, dalle Alpi alla Sicilia e alla Sardegna, nei circoli politici e religiosi, si discuteva animatamente di "neoguelfismo", cioè di quella corrente di pensiero capeggiata dal Gioberti, che negli anni immediatamente precedenti e seguenti l'elezione di Pio IX (1846), si proponeva di conciliare la causa liberale e patriottica con la religione cattolica, cioè con il più importante fattore di unità della nazione italiana, e con il magistero della Chiesa. Al Congresso di Bologna del 1919 don Sturzo spiegò perché il Partito Popolare non è, né può dirsi un "partito cattolico": "(...) i due termini sono antitetici; il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione..."
Non mancano, nella letteratura storiografica relativa all'A. C. I., riferimenti agli aspetti quantitativi dell'Associazione nel corso della sua storia più che centenaria (com'è noto, si va verso il 150° anniversario della sua fondazione). Si tratta però di riferimenti limitati nel tempo o riferiti a singole componenti. Per la prima volta, viene qui offerta agli studiosi una panoramica completa e articolata delle adesioni associative per un lungo periodo (1922-2011), dalla quale si possono ricavare dati complessivi e parziali a livello nazionale e regionale, per quanto riguarda i soci come anche per quel che concerne i gruppi ("associazioni" o "circoli"). Le tabelle di dati statistici qui pubblicate sono state compilate in due momenti. Quelle sull'AC del 1922-1969 le ho messe insieme tra il 1973 e il 1985, anni in cui ero responsabile dell'Archivio storico dell'Azione Cattolica Italiana; quella sull'AC del periodo successivo (1970-2011), è opera del Centro Dati e Adesioni della Presidenza Nazionale dell'ACI, e mi è stata gentilmente fornita dall'Istituto per la Storia dell'Azione Cattolica e del Movimento Cattolico in Italia "Paolo VI".
Il prodotto scientifico realizzato da Salvatore Lardino, lasciandosi alle spalle ogni pur residua logica di approccio celebrativo e mitizzante di "un'epopea contadina, intrisa di lotte eroiche", presenta, e in una dimensione di rigorosa analisi storica e storiografica, un lineare e ricco snodarsi del movimento per la terra, nell'articolazione sociale e territoriale del suo formarsi e svilupparsi, sempre dovutamente contestualizzato, dalle premesse, riflessi ed incidenze della grande crisi del '29 nelle campagne all'emergere e consolidarsi del nuovo blocco sociale dei primi anni Cinquanta, in un rinnovato quadro del sistema di potere politico-istituzionale, nell'ambito del quale, pur tra una serie di nuovi limiti e precondizionamenti, comunque si andò concretizzando un processo di "nazionalizzazione" di ceti rurali sino ad allora emarginati: da contadini ad italiani.