La persecuzione fascista contro gli ebrei fu una pagina tragica della storia italiana, a lungo rimossa dalla memoria collettiva. Si diffuse l'idea che la legislazione antiebraica fascista non fosse troppo dura e che la responsabilità degli arresti e delle deportazioni fosse esclusivamente dei nazisti. Solo con gli anni sono emersi la radicalità dell'antisemitismo fascista e il decisivo ruolo di Mussolini. Il settore da cui nel 1938 si avviò la politica persecutoria fu quello dell'istruzione, ritenuta il cardine attraverso cui plasmare la mentalità degli italiani, e un ruolo di primo piano, per elaborare e propugnare il razzismo di Stato, sarebbe stato occupato dall'università. Il libro ricostruisce l'applicazione della legislazione antiebraica all'Università di Milano, dove la svolta antisemita fascista colpì quaranta tra professori, aiuti e assistenti. In molti casi erano illustri studiosi, che avevano messo a disposizione della causa fascista il proprio sapere; personalità diverse, per età ed esperienze, le cui vite vennero tragicamente accomunate dalla persecuzione. L'autore ne ripercorre le storie, raccontando le loro carriere, l'adesione al fascismo e il rapporto con l'ebraismo; ma anche l'allontanamento dall'accademia, le scelte di vita, la ricerca della salvezza e il ritorno a guerra finita. Sono storie di privazione, di fuga, di resistenza e, purtroppo, anche di deportazione. Al termine del conflitto, molti decisero di riprendere il proprio posto, spesso al fianco di chi li aveva sostituiti, in una sorta di continuità con il passato. Così fu anche per gli studenti, il cui ritorno fu segnato dall'indifferenza con cui ripresero gli studi. Come nota Michele Sarfatti nella prefazione, il libro intreccia la storia generale alle storie dei singoli, mettendo in luce il processo di rimozione che ha caratterizzato la realtà italiana del dopoguerra e contribuendo così all'adozione di uno sguardo «democratico e sincero su quel passato». Presentazione di Massimo Castoldi.
L'antisemitismo è di nuovo attuale e presente nelle nostre società democratiche, in parte manifestamente, in parte celato dietro dichiarazioni critiche verso lo Stato di Israele. Basti pensare che proprio nei primi giorni di ottobre 2021 l'Europa, per la prima volta nella storia, ha varato un «piano contro l'antisemitismo» per difendere la vita ebraica in Europa contro un fenomeno in continua crescita, in particolare sulle piattaforme social e nelle modalità più odiose dell'incitamento alla discriminazione. Ma quando e dove inizia l'antisemitismo e quanto sono nuove, oggi, le dinamiche che lo caratterizzano? Odio per gli ebrei, ghetti e pogrom esistevano già nell'antichità precristiana, ma furono gli scritti neotestamentari, con la loro opposizione all'ebraismo, a gettare le basi per la nascita delle leggende sugli omicidi rituali e sugli avvelenamenti dei pozzi nonché delle persecuzioni nel medio evo cristiano. Lutero esortava allo sterminio dei «figli del diavolo»; l'Illuminismo considerava l'ebraismo irrazionale; gli scienziati davano una spiegazione razziale all'odio per il popolo ebraico, e fin troppe persone hanno partecipato alla «soluzione finale della questione ebraica» o hanno semplicemente preferito voltarsi dall'altra parte.
Il legame con la propria storia e la propria cultura è, in genere, connesso all'appartenenza a un territorio, a un luogo fisico. Tuttavia, nelle società contemporanee, le intense dinamiche migratorie hanno determinato una mobilità di persone che mantengono relazioni affettive con vari paesi e, nel contempo, costruiscono legami di lingua, di usi, di diritti e di doveri, con vari contesti di vita e di lavoro. Da ciò lo sviluppo di identità multiple. Quali sono le loro caratteristiche? Quali problemi sorgono all'interno di una società interculturale? Un caso storicamente emblematico è rappresentato dall'ebraismo. Privati di un territorio proprio, gli ebrei si sono visti costretti, nell'arco di secoli, a ridefinire se stessi sulla base di una fede e, al tempo stesso, di una condizione civile legata ai diversi luoghi di residenza e di cittadinanza. La cultura ebraica si offre in maniera esemplare quale strumento per comprendere come sia possibile oggi, di fronte ai massicci flussi migratori che interessano i paesi occidentali, trovare il modo di preservare identità e tradizioni proprie in un confronto aperto e costante con la diversità, le istituzioni e il modo d'essere delle comunità con cui di volta in volta, nella storia, ci si confronta. È precisamente la capacità di interazione e di e di scambio, a volte difficile e doloroso, che ha consentito all'ebraismo la sopravvivenza.