Un quarto alle tre di un pomeriggio d'autunno. Uno sparo. Di un cacciatore, forse. Piuttosto vicino, anche. Julius come sempre legge accanto alla stufa nella sua baracca tra i boschi del Maine, dove da anni vive solo, a parte la fugace, misteriosa comparsa di una donna, Claire. Nella baracca, stipati lungo le pareti, ci sono 3282 volumi, meticolosamente letti e schedati prima dal padre e poi da Julius, che sin da bambino trascorre così le sue giornate. La sola compagnia di Julius, il cane Hobbes, in quel momento non è con lui, accanto al fuoco. Come mai? Partono da una calma statica che riga dopo riga cede il passo all'inquietudine, le poche pagine che bastano a Donovan per scrivere quello che è stato definito un classico moderno: per l'asciuttezza del linguaggio che attinge al rigore della grande letteratura; per il ritmo di un thriller che attanaglia il lettore; per l'istantanea nitida, impietosa di una solitudine che si inabissa nella follia, snidata all'improvviso dalla sua latenza. Un racconto lungo tre giorni, il cui impatto sul lettore non conosce scadenza. Come avviene ai classici d'ogni tempo con cui Julius intreccia il suo dialogo quotidiano, nel tepore di una baracca sprofondata nelle nevi del grande freddo americano.
Allan Quatermain, esperto cacciatore di elefanti, viene ingaggiato dal gentiluomo inglese sir. Henry Curtis come guida in una spedizione nel cuore dell'Africa alla ricerca di suo fratello, scomparso mentre seguiva le tracce delle miniere di diamanti del re Salomone. Tra colpi di scena, guerre e incontri inattesi, il viaggio si trasformerà in un'esperienza cruciale, un confronto con un mondo sconosciuto e con se stessi. Uno dei più celebri romanzi d'avventura, che Haggard scrisse per scommessa in sole sei settimane per dimostrare di essere capace di un racconto migliore de "L'isola del tesoro". Un viaggio in Africa fuori dai limiti del colonialismo più angusto, ma anche un itinerario spirituale nelle regioni più nascoste dell'anima.