Nel 1992 Angela, giovane ricercatrice italiana, sbarca sull'isola di Leros. È pronta a prendersi cura, come i suoi colleghi di ogni parte d'Europa, e come i medici e gli infermieri dell'isola, del perdurante orrore, da pochi anni rivelato al mondo dalla stampa britannica, del "colpevole segreto d'Europa": un'isola-manicomio dove a suo tempo un regime dittatoriale aveva deportato gli oppositori politici di tutta la Grecia, facendoli convivere con i malati di mente. Quelli di loro che non sono nel frattempo morti sono ancora tutti lí, trasformati in relitti umani. Inquietanti, incomprensibili sono i segni che accolgono la ragazza. Chi è Basil, il Monaco, e perché è convinto di avere sepolto molto in alto "ciò che rimane di dio?" E tra i compagni di lavoro, chi è davvero la misteriosa, tenace Lina, che sembra avere un rapporto innato con l'isola? Ogni mistero avrà risposta nel tesoro delle storie dei dimenticati e degli sconfitti, degli esclusi dalla Storia, nell'"archivio delle anime" che il libro farà rivivere per il lettore: storie di tragica spietata bellezza, come quella del poeta Stefanos, della ragazza Teresa e del bambino con il sasso in bocca. Con "La prima verità" che, fin dal titolo, da un verso di Ghiannis Ritsos, allude a una verità di valore assoluto oltre e attraverso le vicende del libro, che si svolgono in luoghi e tempi diversi, e delle vite dei personaggi che si presentano al lettore, Simona Vinci torna al romanzo dopo molti anni, e vi torna con una felicità e una libertà mai raggiunte prima.
Dall'evoluzione dell'Italia unita dalle origini fino ai primi anni Novanta del XX secolo emergono tre principali caratteristiche reciprocamente correlate in un contesto che ha visto il succedersi di tipi di Stato e di regimi politici (il liberale, il fascista, entrambi monarchici, e il democratico-repubblicano) opposti per le loro caratteristiche politiche e istituzionali. La prima è che la contrapposizione delle forme di governo ha impresso alla storia dello Stato un segno di profonda discontinuità. La seconda è che in ciascuno dei tre tipi di Stato le forze di opposizione d'impronta radicale sono state costantemente considerate dalle forze di governo come pericolosi soggetti «anti-sistema», ai quali occorreva sbarrare la strada al potere; e che le forze escluse dall'area del potere hanno individuato in quelle dominanti gli strumenti di classi dirigenti oppressive. Conseguenza è stata che per oltre centotrent'anni i sistemi politici hanno protratto la propria esistenza in una condizione di «eccezionalità »: l'impossibilità per l'opposizione di accedere alla guida del Paese. La terza caratteristica è che le classi politiche di governo e i ceti più elevati hanno sistematicamente reagito arroccandosi in blocchi di potere oligopolistici (nei casi del regime liberale monarchico e di quello democratico-repubblicano) o monopolistici (nel caso del regime fascista) contro le forze ritenute non legittimate a governare. Il venir meno dei blocchi di potere agli inizi degli anni Novanta e il formarsi di schieramenti in competizione non ha prodotto né stabilità né la necessaria innovazione istituzionale.