Il nichilismo, la negazione di ogni valore, è anche quello che Nietzsche chiama "il più inquietante fra tutti gli ospiti". Si è nel mondo della tecnica e la tecnica non tende a uno scopo, non produce senso, non svela verità. Fa solo una cosa: funziona. Finiscono sullo sfondo, corrosi dal nichilismo, i concetti di individuo, identità, libertà, senso, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si è nutrita l'età pretecnologica. Chi più sconta la sostanziale assenza di futuro che modella l'età della tecnica sono i giovani, contagiati da una progressiva e sempre più profonda insicurezza, condannati a una deriva dell'esistere che coincide con il loro assistere allo scorrere della vita in terza persona. I giovani rischiano di vivere parcheggiati nella terra di nessuno dove la famiglia e la scuola non "lavorano" più, dove il tempo è vuoto e non esiste più un "noi" motivazionale. Le forme di consistenza finiscono con il sovrapporsi ai "riti della crudeltà" o della violenza (gli stadi, le corse in moto). C'è una via d'uscita? Si può mettere alla porta l'ospite inquietante?
"Sta forse giungendo a compimento il senso espresso da più di duemila anni dalla nostra cultura che, come dice il nome, è "occidentale", cioè "serale", avviata a un "tramonto", a una "fine". L'evento occidentale è sempre stato presso la sua fine, ma solo ora, con Nietzsche, e poi con Heidegger e Jaspers, comincia a prenderne coscienza. Ma che cosa davvero finisce proprio oggi quando sembra che tutto il mondo insegua senza esitazione la via occidentale, fino ad annullare la specificità che finora ha reso riconoscibile l'Occidente e soprattutto la sua distanza dall'Oriente? Finisce la fiducia che l'Occidente aveva riposto nel progressivo dominio da parte dell'uomo sugli enti di natura, oggi divenuti, al pari dell'uomo, materiali della tecnica."
La parola "anima", nell'attraversare i più svariati sistemi di pensiero, genera una serie di equivoci in cui si nascondono vertiginose variazioni di significato. Percorrendole è possibile scorgere gli spostamenti di volumi di senso e le migrazioni linguistiche da cui dipendono le epoche storiche e gli scenari da esse dischiusi. L'analisi di Galimberti muove da Platone, che gioca l'anima su un doppio registro, coniugandola da un lato con la costruzione della ragione e il governo di sé, dall'altro con l'abisso della follia e la dissoluzione dell'individuo. Da allora in poi questi due registri non hanno cessato di condizionare la costruzione dei saperi.
Nell'anno del giubileo, dove il sacro si offre anche alla dissacrazione, l'autore si domanda che cosa sia rimasto di autenticamente religioso nel nostro tempo che più di altri registra un boom della spiritualità, dove però un Dio plurinvocato in molte lingue, in molti riti e nelle forme più svariate della religiosità, sembra si sia definitivamente congedato dal mondo per lasciare null'altro che un desiderio infinito di protezione, conforto, rassicurazione: desideri umani, insomma, troppo umani.
Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica è diventata l'ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità che, misurandosi sui soli criteri della funzionalità e dell'efficienza, non esitano a subordinare le esigenze dell'uomo alle esigenze dell'apparato tecnico. Inconsapevoli, ci muoviamo ancora con i tratti tipici dell'uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona. E poiché il suo funzionamento diventa planetario, questo libro si propone di rivedere i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l'età umanistica e che ora, nell'età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati alle radici.