È un romanzo della realtà scritto con il ritmo dello stile giornalistico. Banchetti nei villaggi di montagna della Thailandia, tra le tribù che coltivano oppio, con menù fisso a base di polpette di cane o cene vietnamite con il cobra presentato vivo e ucciso in diretta, per bere il sangue ancora caldo. Un viaggio tra la Thailandia e il Vietnam in cui il lusso turistico di Bangkok contrasta con la povertà e la poesia del Vietnam di oggi, in cui le ragazze della guerriglia, uccise combattendo, vestite nel loro nero costume tradizionale, hanno messo le ali e sono diventate le farfalle multicolori del Mekong.
È il primo agosto del 1985 quando Michele Serra parte da Ventimiglia su una Panda con destinazione Trieste. A piccole tappe, giorno per giorno, raggiungerà la meta finale un mese dopo, il 31 agosto. Ogni sera si ferma e detta un articolo al suo giornale, "l'Unità", descrivendo luoghi, persone, abitudini, mediocrità e sfaceli dell'Italia balneare. Ne esce un diario intimo che proprio in virtù della sua arbitrarietà e soggettività coglie nel segno. Il libro è illustrato con le vignette di Sergio Staino.
Storie estreme, legate al tema dell'esilio e della perdita, dove l'ironia prevale sulla tentazione di recriminare e la speranza sopravvive grazie alla dignità. Ogni capitolo è il racconto di un viaggio durante il quale si incontrano i personaggi che poi diventano l'io narrante: alcuni sono noti al pubblico come scrittori, o musicisti, o giornalisti, molti altri sono invece comparse sconosciute nello scenario di guerre subite, di resistenza a dittature o di rivoluzioni soffocate.
Otto reportage giovanili e inediti, concisi ed estremamente vivaci, che ruotano intorno alle due "stelle nere" dell'epoca: Kwame Nkrumah (Ghana) e Patrice Lumumba (Congo-Zaire). Chinua Achebe, famoso scrittore africano recentemente scomparso, diceva che, finché i leoni non avessero avuto i loro storiografi, la storia della caccia sarebbe stata solo una celebrazione del cacciatore. Ebbene, in questi reportage dei primi anni sessanta, Kapuscinski descrive l'Africa e gli africani dal punto di vista dei leoni e non dei cacciatori. E lo fa con la freschezza e l'entusiasmo di chi è agli inizi della carriera, ma già con l'occhio e il talento dello scrittore che anni dopo si misurerà con la prosa de "Il Negus". Questa edizione è arricchita da alcune note a piè pagina e da una postfazione di Bogumil Jewsiewicki, indispensabili a chiarire il contesto storico del Ghana e del Congo all'epoca del soggiorno dello scrittore polacco. Il testo è corredato da dieci foto scattate da Kapuscinski ad Accra tra il 1959 e il 1960.
2008. Seimila chilometri a zigzag da Rovaniemi (Finlandia) a Odessa (Ucraina). Un percorso che sembra tagliare, strappare l'Europa occidentale da quella orientale. È una strada, quella di Rumiz, che tra acque e foreste, e sentori di abbandono, si snoda tra gloriosi fantasmi industriali, villaggi vivi e villaggi morti. Rumiz accompagna il lettore, con una voce profonda, ricca di intonazioni, per paesaggi inediti, segreti, struggenti di bellezza. E più avanza, più ha la sensazione di non trovarsi su qualche sperduto confine ma precisamente al centro, nel cuore stesso dell'Europa. Attraversa dogane, recinzioni metalliche, barriere con tanto di torrette di guardia, vive attese interminabili e affronta severissimi controlli, ma come sempre conosce anche la generosità degli uomini e delle donne che incontra sul suo cammino: un pescatore di granchi giganti, prosperose venditrici di mirtilli, un prete che ha combattuto nelle forze speciali in Cecenia.
Il Messico è il paese dei contrasti estremi. E all'estremo di tutto, c'è Mahahual: dove finisce la penisola dello Yucatán, sorge questo paesino di mille abitanti, a pochi chilometri dalla frontiera con il Belize. Angolo di paradiso tra palme e mangrovie, di fronte ha la barriera corallina seconda al mondo per estensione, il Mar dei Caraibi e lo scorrere lento del tempo: siamo nello stato del Quintana Roo, che a nord vanta la celebre Cancún, mentre qui c'è l'opposto assoluto, non solo geografico, perché a Mahahual il cemento non ha ancora invaso la vista, tra casupole, palafitte e hotel con il tetto di palme. Ma un'insidia minaccia costantemente questi litorali: per un capriccio delle correnti oceaniche, la plastica vi arriva da tre continenti, e ogni mattina all'alba, una miriade di volenterosi la raccoglie dalle spiagge, rendendole splendidamente bianche e pulite per un altro giorno, in un incessante "mito di Sisifo". Mari e terre ricchi di storia e leggende, dove i corsari ingaggiarono sfide mortali con i dominatori spagnoli, e i fieri maya non si lasciarono assoggettare da nessuno dei contendenti stranieri. Qui si narra di Gonzalo Guerrero che si schierò con gli indios, di Diego Grillo, il Mulatto, che si unì a Francis Drake per odio contro chi lo fece nascere schiavo, di Elvia Carrillo Puerto, indomita ribelle, che non attese la Revolución per affermare la propria libertà individuale e gli ideali di emancipazione collettiva.
"Entrai in uno spazio, in un tempo, in una dimensione completamente nuovi. Mille anni si comprimevano in un giorno e ogni mio passo durava secoli. Le querce del deserto sospiravano e si chinavano su di me, come se avessero voluto afferrarmi. Le dune andavano e venivano, sempre uguali. Le colline si innalzavano verso il cielo, e poi scivolavano dolcemente in basso. Le nuvole ondeggiavano nel cielo, sparivano, ritornavano di nuovo. E sempre la strada la strada la strada la strada."
Il titolo di questa raccolta di reportage sui movimenti rivoluzionari a cavallo tra la fine degli anni sessanta e settanta richiama la figura del sacerdote colombiano vissuto tra i contadini dell'America Latina e che, in sottana e con il fucile in spalla, andò a combattere in un reparto partigiano in Colombia, dove morì. Al centro del libro, il tema del sacrificio e la lotta dell'essere umano per la dignità, la figura del ribelle dotato di una ferma convinzione etica. Uscito per la prima volta nel 1975 "Cristo con il fucile in spalla" fu immediatamente acclamato come il libro dell'anno e continuamente ripubblicato. Mai apparso in Italia, fa conoscere gli inediti punti di vista di Kapuscinski, soprattutto noto per i suoi reportage africani, su altre parti del mondo, altre genti, altre tragedie. Sono reportage dal Medio Oriente, dall'Africa orientale e dall'America Latina, di cui sono protagonisti palestinesi, siriani, libanesi, giordani, ebrei, i partigiani del Mozambico e del Salvador, l'ambasciatore della Repubblica federale tedesca in Guatemala Karl von Spreti e, infine, il presidente Salvador Allende e il rivoluzionario Che Guevara, di cui nel 1969 Kapuscinski, aveva tradotto in polacco e pubblicato il "Diario dalla Bolivia". Un'opera chiave del maestro polacco del reportage perché è uno sguardo inedito, e ancora di grande attualità, ma anche perché permette di comprendere la sua visione del mondo, la sua sensibilità sociale e la sua empatia come metodo e attitudine.
Gerusalemme è una città dilaniata da millenni di guerre, scontri tra religioni, conflitti tra politiche contrapposte, che ne hanno fatto di volta in volta un simbolo, un avamposto strategico, un luogo da conquistare e controllare all'interno di un mercato di territori e popolazioni. Paola Caridi ha vissuto per dieci anni a Gerusalemme. Le sue pagine ci restituiscono una città vissuta intimamente, indimenticabile per la bellezza delle mura antiche, delle pietre bianchissime, della sua umanità dolente. Ma ci restituiscono anche una città crudele, dove israeliani e palestinesi fanno talvolta la spesa negli stessi supermercati, per poi rinchiudersi nei confini dei rispettivi quartieri, invisibili gli uni agli altri. Una città costellata di posti di blocco che controllano gli spostamenti di donne e uomini, merci e idee, nemici e potenziali attentatori. Una città densa di segni e memorie antiche e recenti, in cui ogni stagione politica porta con sé nuovi vincitori, nuove versioni della storia passata, nuove ripartizioni degli spazi urbani, nuove abitudini di vita. Gerusalemme si è aperta per un breve periodo alla modernità, per poi rinchiudersi dentro i propri muri. Rimane comunque un laboratorio, in cui si scontrano politica e vivere quotidiano. Sopravvive la speranza: che Gerusalemme, una e condivisa da tutti, torni a essere una città per gli uomini e le donne che lì vivono.
Lui è grande e grosso, una matassa di riccioli ingovernabili, e proprio non riesce a stare fermo. Non sopporta i tour operator ma non ama neanche chi si improvvisa avventuriero perché stufo della grande città. Per lui la porta di casa è solo il confine facilmente valicabile tra sé e il mondo. Basta un passo e il viaggio comincia. "Mondoviaterra", dice Eddy Cattaneo, "parla di un sogno: fare il giro del mondo via terra, senza prendere aerei. In solitaria. A contatto con la Natura, senza bucarla dall'alto. Pulito, lento e circolare. Un'avventura d'altri tempi per sentire la terra cambiare sotto i piedi giorno dopo giorno, per attraversare gli oceani a bordo di cargo mercantili, come fantasticavo da piccolo, con acqua e solo acqua ovunque intorno. Uscire, chiudere la porta e unire il vialetto di casa mia con la via della seta, Karakorum e Himalaya, India, Cina, le risaie del Mekong, i templi buddhisti con le rovine Maya, Macchu Picchu e la Tierra del Fuego, la Panamericana...". Eddy Cattaneo racconta il suo giro del mondo via terra con orecchie e occhi sempre ben aperti, pronti a cogliere sguardi, suoni, sapori, musiche. Vite. Tutte diverse. Tutte simili.
Il Po, anzi Po senza articolo, è il grande fiume, il fiume per eccellenza. Sembra facile collocarlo, leggerlo sulle carte, menzionarne la storia. Invece no. Forse ne sappiamo pochissimo, e conoscerlo significa lasciarlo apparire là dove muore un mondo perché un altro nasca. Paolo Rumiz ci racconta che quando gli argonauti, lui e il suo equipaggio, hanno cominciato a solcarne le acque è andata proprio così: Po visto dal Po è un Dio Serpente, una voce sempre più femminile irruente e umile, arrendevole e solenne, silente fra le sue rive deserte. Paolo Rumiz sa fare del Po un vero protagonista, per la prima volta tutto narrato a fior d'acqua, in un abbandono dei sensi inedito, coinvolgente, che reinterpreta i colori delle terre e dei fondali, i cibi, i vini, i dialetti, gli occhi che lo interrogano, lo sfiorano, lo scrutano. E poi ci sono gli incontri con il "popolo" del fiume, ma anche con personalità legate dall'amore per il fiume come la cacciatrice di luoghi Valentina Scaglia, il raffinato corsaro Paolo Lodigiani, il traghettatore dantesco Angelo Bosio, il collezionista di immagini Alessandro Scillitani, l'amico dei venti Fabio Fiori, l'esploratore Pierluigi Bellavite, lo scrittore Valerio Varesi e l'amico Francesco Guccini. Cominciata come reportage e documentario, l'avventura sul Po è diventata un romanzo, un viaggio interiore, un'avventura scavata nell'immaginazione, carezzata da fantasmi, a due passi dall'anima.
Dice Antonio Tabucchi: "Sono un viaggiatore che non ha mai fatto viaggi per scriverne, cosa che mi è sempre parsa stolta. Sarebbe come se uno volesse innamorarsi per poter scrivere un libro sull'amore". Eppure, in "Viaggi e altri viaggi" ci sono i luoghi del mondo, un mondo sufficientemente grande per non essere quel "villaggio globale" che vorrebbero i sociologi e i mass media. Vi entrano "alla rinfusa" la Lisbona di Pessoa, il Brasile distante dalle mete obbligate di Congonhas do Campo, la Madrid dell'Escorial, il Jardin des Plantes a Parigi, l'Australia di Hanging Rock, la Séte di Paul Valéry, e poi Creta, la Cappadocia, Il Cairo, Bombay, Goa, Kyoto, Washington. Tabucchi ci accompagna con sovrana gentilezza a conoscere e a riconoscere i luoghi di una mappa singolare, certo, ma condivisibile attraverso la lingua familiare del racconto. Una mappa che si apre volentieri ad "altre" forme di viaggio la rassegna delle città fantastiche degli scrittori, le letture di Stevenson, la misteriosa frase di uno zio davanti agli affreschi del Beato Angelico, le montagne di Eça de Queirós, l'Egitto di Ungaretti, l'evocazione dell'Amazzonia attraverso un grande libro come Il ventre dell'universo. Nell'uno e nell'altro caso - nei viaggi effettivi e in quelli evocati dalla letteratura - Tabucchi ci invita a vedere e a restare, a muoverci e a ritornare. Ogni volta l'appuntamento è una sorpresa, perché il mondo è sempre un altrove, una scoperta di noi stessi attraverso gli altri.