È alla ricerca del fratello piccolo, partito con l'intenzione di raggiungere l'Europa e mai arrivato, che Ibrahima Balde lascia la Guinea e il lavoro di camionista, per intraprendere un viaggio che non voleva fare, ma che è comune a migliaia di africani. Questo romanzo è la cronaca, lucida ed essenziale, della vita di Ibrahima Balde, da lui stesso raccontata, e trascritta dal poeta Amets Arzallus Antia. Una voce che ci fa capire, senza vittimismo ma in tutta la sua drammaticità, cosa sono la traversata del deserto, il traffico dei migranti, la prigionia, le torture, la violenza della polizia, il viaggio in mare, la morte. Una voce ferma, così chiara e profonda da diventare a tratti poetica, che ci racconta cosa significa conoscere la sete, la fame, la sofferenza. Esistono mille motivi e storie che portano una persona ad attraversare il Mediterraneo per cercare di raggiungere l'Europa. La disumanizzazione delle loro morti, le espulsioni, le vite illegali sembrano necessarie per alimentare la nostra indifferenza. In realtà ognuna di queste vite è unica e universale e questo racconto ne è la drammatica testimonianza.
Brooklyn, ai giorni nostri. Durante una tempesta di neve, Richard Bowmaster, professore universitario spigoloso e riservato, tampona la macchina di Evelyn Ortega, una giovane donna emigrata illegalmente dal Guatemala. Quello che sembra solo un banale incidente prende tutt'altra piega quando Evelyn si presenta a casa del professore per chiedere aiuto. Smarrito, Richard si rivolge alla vicina, che conosce a malapena, Lucia Maraz, una matura donna cilena con una vita complicata alle spalle. Lucia, Evelyn e Richard, tre persone molto diverse tra loro, si ritrovano coinvolte in un thriller dalle conseguenze imprevedibili. Tre destini che Isabel Allende incrocia per dare vita a un romanzo molto attuale sull'emigrazione e l'identità americana, le seconde opportunità e la speranza che, oltre l'inverno, ci aspetti sempre un'invincibile estate.
Come si sopravvive allo strappo, alla perdita delle radici? Cosa resta, come ci si inventa di nuovo? Katarína torna da Praga a Bratislava per trascorrere il Natale insieme alla famiglia. Alle vecchie incomprensioni con la madre, si aggiunge la difficoltà di giustificare l'assenza del marito Eugen. Ma in quei pochi giorni ritrova anche le vecchie compagne di università, soprattutto Viera, che si è trasferita in Italia grazie a una borsa di studio e torna sempre più malvolentieri in Slovacchia. Le due amiche si riavvicinano, si raccontano l'un l'altra gli strappi, le ferite - Viera con Barbara, che era stata la loro insegnante di italiano, Katarína con Eugen, che l'ha abbandonata due mesi prima con un biglietto sul tavolo della cucina. Katarína ripercorre il rapporto con lui, dal primo incontro al matrimonio forse troppo precoce, con le tante difficoltà di integrarsi a Praga, fino al dolore, di cui ancora non riesce a parlare. E tra i ricordi emergono frammenti della vita a Bratislava sotto il governo comunista: l'abolizione delle festività cattoliche, la censura, le code per la carne e per qualsiasi cosa. Con "divorzio di velluto" si intende la separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca, che nel romanzo riverbera quelle tra Katarína e il marito Eugen, tra Viera e un paese per lei troppo stretto... È una storia di assenze che pesano, di tradimenti, di desideri temuti e mai pronunciati, di strappi che chiedono nuove risorse per essere ricomposti, di sradicamento e di rinascita - una ricerca di sé della protagonista e del suo paese, entrambi orfani di un passato solido.
Violeta nasce in una notte tempestosa del 1920, prima femmina dopo cinque turbolenti maschi. Fin dal principio la sua vita è segnata da avvenimenti straordinari, con l'eco della Grande guerra ancora forte e il virus dell'influenza spagnola che sbarca sulle coste del Cile quasi nel momento esatto della sua nascita. Grazie alla previdenza del padre, la famiglia esce indenne da questa crisi solo per affrontarne un'altra quando la Grande depressione compromette l'elegante stile di vita urbano che Violeta aveva conosciuto fino ad allora. La sua famiglia perde tutto ed è costretta a ritirarsi in una regione remota del paese, selvaggia e bellissima. Lì la ragazza arriva alla maggiore età e conosce il suo primo pretendente... Violeta racconta in queste pagine la sua storia a Camilo in cui ricorda i devastanti tormenti amorosi, i tempi di povertà ma anche di ricchezza, i terribili lutti e le immense gioie. Sullo sfondo delle sue alterne fortune, un paese di cui solo col tempo Violeta impara a decifrare gli sconvolgimenti politici e sociali. Ed è anche grazie a questa consapevolezza che avviene la sua trasformazione con l'impegno nella lotta per i diritti delle donne. Una vita eccezionalmente ricca e lunga un secolo, che si apre e si chiude con una pandemia.
"Questo Viaggio in Portogallo è una storia. Storia di un viaggiatore all'interno del viaggio da lui compiuto, storia di un viaggio che in se stesso ha trasportato un viaggiatore, storia di un viaggio e di un viaggiatore riuniti nella fusione ricercata di colui che vede e di quel che è visto... Prenda il lettore le pagine che seguono come sfida e invito. Faccia il proprio viaggio secondo un proprio progetto, presti minimo ascolto alla facilità degli itinerari comodi e frequentati, accetti di sbagliare strada e di tornare indietro, o, al contrario, perseveri fino a inventare inusuali vie d'uscita verso il mondo. Non potrà fare miglior viaggio." Una "guida" anomala che va oltre la geografia di un paese amato, per addentrarsi nella psicologia di un popolo. Un invito a perdersi, più che a trovare la strada.
"L'autore si spiega" riunisce alcuni testi importanti di José Saramago sul proprio percorso. Dal rivelatore "Dalla statua alla pietra", scritto nel 1998 in occasione di un incontro all'Università di Torino, dove la metafora scultorea definisce le due grandi fasi della sua produzione - qui presentato da Pilar del Río e seguito da un saggio di Fernando Gómez Aguilera, uno dei massimi esegeti dell'opera dello scrittore portoghese - fino ai Discorsi di Stoccolma, pronunciati da Saramago al ricevimento del premio Nobel per la letteratura, e a una Autobiografia dove torna sulla sua traiettoria letteraria, punteggiandola con episodi chiave della sua vita che risalgono all'infanzia. Questi testi ci offrono non solo la visione dell'autore come punto di partenza per la comprensione di ogni suo libro, e per l'insieme della sua opera, ma anche una riflessione su questioni fondamentali, quali il rapporto tra vita e letteratura, che qui si rivelano come un vero esercizio poetico. Saramago racconta se stesso e ci regala una piccola guida per leggere la sua opera.
Bassam Aramin è palestinese. Rami Elhanan è israeliano. Il conflitto colora ogni aspetto della loro vita quotidiana, dalle strade che sono autorizzati a percorrere, alle scuole che le loro figlie, Abir e Smadar, frequentano, ai checkpoint. Sono costretti senza sosta a negoziare fisicamente ed emotivamente con la violenza circostante. Come l'Apeirogon del titolo, un poligono dal numero infinito di lati, infiniti sono gli aspetti, i livelli, gli elementi di scontro che vedono contrapposti due popoli e due esistenze su un'unica terra. Ma il mondo di Bassam e di Rami cambia irrimediabilmente quando Abir, di dieci anni, è uccisa da un proiettile di gomma e la tredicenne Smadar rimane vittima di un attacco suicida. Quando Bassam e Rami vengono a conoscenza delle rispettive tragedie, si riconoscono, diventano amici per la pelle e decidono di usare il loro comune dolore come arma per la pace. Nella sua opera più ambiziosa, Colum McCann crea Apeirogon con gli ingredienti del saggio e del romanzo, e ci dona un racconto nello stesso momento struggente e carico di speranza.
"Soares va scrivendo minuziosamente, con la maniacale puntigliosità del contabile, il suo diario: grandioso zibaldone fatto di journal intime, di riflessioni, di appunti, di impressioni, di meditazioni, di vaneggiamenti e di slanci lirici che egli chiama Libro e che noi potremmo chiamare romanzo." (dall'Introduzione di Antonio Tabucchi)
In una stazione ferroviaria costruita in mezzo al nulla, tra campi polverosi e qualche timido albero da frutto, c'è un treno che non va più da nessuna parte eppure porta dappertutto. All'interno, non ci sono scompartimenti, ma banchi di legno e una lavagna. All'esterno, qualcuno ha scritto sulla porta in una calligrafia incerta: "Escuela Artículo 123". È una delle scuole-vagone previste dal governo messicano per i figli dei dipendenti delle ferrovie, scuole ambulanti per famiglie nomadi, sempre in viaggio ad aggiustare binari o tirare cavi dell'elettricità. Ikal ha undici anni e sogna di diventare insegnante. È amico di Chico, conta i treni che passano con Tuerto, è segretamente innamorato di Valeria e vive mille avventure con il suo cane Quetzal. I loro volti, immortalati in una foto in bianco e nero, emergono da un fascicolo della Dirección General de Educación sulla scrivania di Hugo Valenzuela. Don Ernesto, l'anziano maestro della scuola, sta per andare in pensione e alcuni politici vogliono approfittarne per archiviare definitivamente un modello educativo giudicato inutile e antiquato. Hugo deve decidere se convalidare la chiusura. In un viaggio nel passato che metterà a rischio anche il suo futuro, scoprirà che ci sono cose che lasciano tracce incancellabili. Come il primo amore o un insegnante che, con passione e coraggio, ci apre le finestre sul mondo.
Siamo in Africa sub-sahariana, da qualche parte nell’interno, nel villaggio del clan dei Mulongo. Una notte, un incendio devasta il villaggio e scompaiono dodici giovani uomini. Dove sono finiti? Chi è responsabile? Una delle madri, Eyabe, continua a sognare un paese fatto di acqua e lascia il villaggio alla ricerca del figlio. Il capotribù Mukano si mette in viaggio con la sua scorta per chiedere notizie alla regina bwele, la tribù vicina con cui intrattengono pacifici scambi commerciali. Suo fratello Mutango invece si allontana perché vuole approfittare della situazione e prendere il comando del villaggio grazie all’aiuto del popolo vicino. Lungo il tragitto, i tre personaggi iniziano a intuire una terribile verità: un popolo straniero giunto dal mare rifornisce di armi da fuoco gli abitanti della costa, in cambio di esseri umani. Léonora Miano ci fa conoscere un mondo che si regge sul culto dei morti e degli antenati, sui riti di purificazione e d’iniziazione, un mondo fatto di magia e superstizione, in cui il dio sole cambia nome nel corso della giornata segnando lo scorrere del tempo e le donne si aggiustano la capigliatura prima di andare a dormire per non fare brutti sogni. E proprio la riflessione sulla condizione femminile attraversa buona parte del romanzo. Se le donne della tribù mulongo vivono la contraddizione di detenere il potere di generare ma di essere considerate come bambini fino all’anzianità, proprio a loro sembra affidata l’unica speranza nel finale del romanzo: cantare le gesta dell’estinto popolo mulongo per tenerne in vita il ricordo.
1939. Alla fine della Guerra civile spagnola, il giovane medico Víctor Dalmau e un'amica di famiglia, la pianista Roser Bruguera, sono costretti, come altre migliaia di spagnoli, a scappare da Barcellona. Attraversati i Pirenei, a Bordeaux, fingendosi sposati, riescono a imbarcarsi a bordo del Winnipeg, il piroscafo preso a noleggio da Pablo Neruda per portare più di duemila profughi spagnoli in Cile - il "lungo petalo di mare e neve", nelle parole dello stesso poeta -, in cerca di quella pace che non è stata concessa loro in patria. Lì hanno la fortuna di essere accolti con generosa benevolenza e riescono presto a integrarsi, a riprendere in mano le loro vite e a sentirsi parte del destino del paese, solo però fino al golpe che nel 1973 fa cadere il presidente Salvador Allende. E allora, ancora una volta, si ritroveranno in esilio, questa volta in Venezuela, ma, come scrive l'autrice, "se si vive abbastanza, i cerchi si chiudono".
Spagna, fine Ottocento. Alla Solariega, la grande casa di campagna della famiglia Ruiz de Peñafiel, tutti sanno che è impossibile tenere a bada la signorina Alba. Curiosa e intelligente, trascorre le giornate all'aria aperta, le gote arrossate dal vento della Sierra e l'orlo della gonna sempre inzaccherato. La botanica è la sua grande passione e perlustra le valli alla ricerca di fiori per la sua collezione, che cataloga in modo minuzioso. Alba ha ereditato l'amore per la natura dalla madre, che crede fermamente nell'emancipazione e nell'educazione femminile e vuole che le sue due figlie, costrette per tutto l'inverno al rigore di Barcellona, d'estate siano libere di coltivare i loro interessi. Un giorno alla Solariega giunge notizia dell'arrivo del botanico tedesco Heinrich Willkomm. Il famoso studioso sta lavorando a un libro destinato a rivoluzionare la botanica e vuole includere la flora locale. L'amore per la scienza che lui e Alba condividono si trasformerà ben presto in qualcosa di proibito, segreto e indimenticabile che, come il fiore che scopriranno insieme, avrà radici così forti e profonde da poter crescere anche tra le pietre. Ispirato alla vita della prima botanica spagnola, Blanca Catalán de Ocón, un inno alla vita, alla natura e a seguire i propri sogni.