Seguito incompiuto de «Il Profeta», capolavoro riconosciuto di Gibran, «Il giardino del Profeta» fu pubblicato postumo nel 1932. Gibran vi lavorò fino al giorno precedente la sua morte, avvenuta a New York il 10 aprile 1931. «Il giardino del Profeta» ha come argomento il rapporto tra l'uomo e la natura, ed esprime in particolare il desiderio che Gibran aveva di dissolversi e congiungersi in essa. Almustafà, l'eletto e l'amato, in cui Gibran adombra se stesso, ritorna alla propria terra natale (il Libano) dopo dodici anni di esilio nella città di Orfalese (New York). E come alla partenza, esaudendo le richieste del popolo, aveva pronunciato i sermoni sugli aspetti principali della vita dell'uomo, così al ritorno in patria egli si rivolge alla propria gente e ai nove che si sono eletti suoi discepoli: nel medesimo ruolo di chirurgo d'anime e con lo stesso tono del dispensiere di saggezza sociale, Almustafà-Gibran sermona ancora sulla vita e sul desiderio, sulle cose inanimate e sul tempo, su Dio e sull'esistenza. Prefazione di Maurizio Clementi.
Le Tempeste, racconti ancora inediti in Italia e ora per la prima volta tradotti dall'arabo, occupano un posto importante nella produzione di Gibran. Precedenti di un anno l'uscita de Il Profeta, sono fondamentali per la comprensione dell'opera principale. Rispetto al Gibran più noto non mancano però le differenze. Anzitutto qui prevale una vena pessimistica. Emblematico a questo proposito l'apologo Il demonio, dove un sacerdote, venuto in soccorso di un ferito grave scopre che questi è appunto il demonio. L'aiuto prestato al più terribile dei nemici, l'impossibilità di fare diversamente, per Gibran significa riconoscere in modo spregiudicato il Male come ineluttabile, o meglio come volto nascosto e necessario del bene. Quella della "tempesta" è un'immagine per dire gli aspetti negativi del mondo, gli sconvolgimenti della natura e della vita interiore, da cui l'uomo uscirà con la riflessione e l'illuminazione. Ma non solo. Il suo significato è anche autobiografico, e rimanda alla presenza in Gibran di due anime, quella orientale e quella occidentale, ancora in conflitto e non in armonia come accadrà ne Il Profeta. Gli interrogativi che attraversano questi racconti troveranno nella figura del Profeta risposte sicure e rassicuranti, tutte positive. Per questa ragione Le Tempeste si pongono come lettura indispensabile per seguire la genesi del pensiero di Gibran.
Dopo alcuni anni trascorsi in terra straniera, Almustafa (ovvero l'eletto di Dio), sente che è giunto il momento di fare ritorno all'isola nativa. In procinto di salpare egli affida al popolo della città di Orphalese un prezioso testamento spirituale: una serie di riposte intorno ai grandi temi della vita e della morte, dell'amore e della fede, del bene e del male. Pubblicato a New York nel 1923, "Il Profeta" viene subito accolto con grande favore di pubblico soprattutto presso i giovani, i quali vedono in Gibran un maestro di saggezza. A distanza di tanti anni l'interesse è rimasto immutato: silloge che abbraccia i problemi fondamentali dell'esistenza, il capolavoro del poeta libanese è anche libro di notevole fascino. Il clima sospeso e rarefatto, il ritmo incantatorio di una scrittura lirica di presa immediata, incisiva e visionaria, l'incontro tra due opposte culture, l'orientale e l'occidentale, sono la cifra di uno stile inconfondibile.
Seguito incompiuto de "Il Profeta", capolavoro riconosciuto di Gibran, "Il giardino del Profeta" fu pubblicato postumo nel 1932. Gibran vi lavorò fino al giorno precedente la sua morte, avvenuta a New York il 10 aprile 1931. "Il giardino del Profeta" ha come argomento il rapporto tra l'uomo e la natura, ed esprime in particolare il desiderio che Gibran aveva di dissolversi e congiungersi in essa. Almustafà, l'eletto e l'amato, in cui Gibran adombra se stesso, ritorna alla propria terra natale (il Libano) dopo dodici anni di esilio nella città di Orfalese (New York). E come alla partenza, esaudendo le richieste del popolo, aveva pronunciato i sermoni sugli aspetti principali della vita dell'uomo, così al ritorno in patria egli si rivolge alla propria gente e ai nove che si sono eletti suoi discepoli: nel medesimo ruolo di chirurgo d'anime e con lo stesso tono del dispensiere di saggezza sociale, Almustafà-Gibran sermona ancora sulla vita e sul desiderio, sulle cose inanimate e sul tempo, su Dio e sull'esistenza. Prefazione di Maurizio Clementi.
Racconti, poesie e aforismi condensano le verità senza tempo, che sanno parlare a tutti, di Kahlil Gibran intorno ad argomenti come il sentimento d'amore, lo splendore dell'amicizia, la bellezza della morte, la ricchezza e il dolore, l'ambizione e il destino. Gli scritti del "Profeta del Libano" possiedono un particolare sapore di antica saggezza che sa fondersi con l'attualità del suo pensiero, per quanto le due cose possano sembrare incompatibili. Scrittore di fine intelligenza, sviluppa parabole sulle grandi questioni dell'esistenza, immergendosi nelle profondità del misticismo. Nel suo stile semplice, essenziale, lapidario, sa spaziare dalla tenerezza che dà sollievo allo spirito alla più amara invettiva che brucia la coscienza.