La domenica di Pasqua del 1475, il cadavere di un bambino di due anni di nome Simone fu trovato nella cantina di una famiglia ebraica a Trento. I magistrati della città arrestarono tutti gli uomini ebrei che vivevano nella città con l'accusa di omicidio rituale: l'uccisione di un bambino cristiano per utilizzarne il sangue nei riti religiosi ebraici. Sotto tortura, gli uomini confessarono e furono condannati a morte; le loro donne, che erano state tenute agli arresti domiciliari con i figli, avevano denunciato sempre sotto tortura gli uomini, e alla fine si convertirono al cristianesimo. Fu così che ebbe inizio il culto di Simonino, abolito dalla Chiesa solo nel 1965 dopo il Concilio. R. Po-chia Hsia ricostruisce in modo avvincente tutti gli aspetti di questa tragica, infame vicenda, tratteggiando i personaggi coinvolti, svelando gli intrighi politici nei rapporti tra papato e impero e inquadrando il processo agli ebrei di Trento nella più ampia prospettiva dell'antigiudaismo medievale.
Come scrive Ugo Volli nell'introduzione, "questo studio, pubblicato nel 1960 da La Rassegna Mensile di Israel, ha avuto il merito di riportare dopo un secolo all'attenzione del pubblico un episodio che suscitò, moltissima emozione pubblica quando avvenne, fra il 1858 e il 1860. Ma in seguito esso cadde per molti decenni nel silenzio e nell'oblio. Questi sono i fatti: Edgardo Mortara nacque a Bologna il 27 agosto 1851 da Salomone Momolo e Marianna Padovani. La sera del 23 giugno 1858 la polizia dello Stato pontificio, per ordine dell'inquisitore di Bologna, si presentò presso l'abitazione dove i coniugi Mortara vivevano con i loro otto figli per prelevare Edgardo affermando che il bambino era stato battezzato all'insaputa dei genitori. Una giovane domestica aveva raccontato all'inquisitore che durante il periodo in cui era stata a servizio presso la famiglia Mortara aveva fatto battezzare Edgardo, allora di circa un anno, preoccupata del grave stato di malattia in cui il bambino si trovava. Secondo le leggi dello Stato pontificio, il bambino non poteva quindi continuare a vivere in una famiglia ebraica. La comunità ebraica di Roma, subito contattata dai Mortara, si attivò per aiutare la famiglia bolognese a recuperare Edgardo. La notizia rimbalzò in tutto il mondo. La pressione su Pio IX per la liberazione del bambino si fece sempre più intensa. Nonostante i ripetuti appelli, Pio IX si oppose al suo ritorno in seno alla famiglia.