Qual è stato il contributo dei cattolici italiani ai rapporti tra Roma e Pechino nel periodo della Guerra fredda? Analizzando l'operato di diverse personalità del mondo cattolico e democristiano come Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Vittorino Colombo e Giulio Andreotti, il volume ricostruisce un'importante azione di promozione del dialogo tra l'Italia e la Repubblica popolare cinese sul piano politico, economico, culturale e religioso. Nel corso della Guerra fredda, Pechino venne sempre più visto come un attore fondamentale per favorire la pace e superare la divisione in blocchi. Questa convinzione permise ai cattolici italiani di andare oltre le distanze ideologiche, politiche, storiche e culturali che separavano i due Paesi, all'insegna dei valori del dialogo e della conoscenza reciproca.
Xu Guangqi (1562-1633), alto funzionario imperiale vissuto alla fine dell'epoca Ming, è il più celebre tra i letterati confuciani che abbiano aderito alla fede cattolica. Il «dottor Paolo», come venne spesso chiamato usando il suo nome cristiano, fu amico e difensore dei gesuiti che operarono in Cina in quel periodo. Questo libro è una vivida testimonianza della straordinaria sintesi tra culture diverse, tra confucianesimo e cristianesimo, che seppe elaborare, con apertura e originalità, nella sua vita e nelle sue opere. I testi qui raccolti, tradotti integralmente in italiano, in maggioranza per la prima volta, hanno in comune l'idea degli «studi celesti» o dell'«insegnamento celeste», il cui oggetto di studio è il Cielo inteso nel suo senso più ampio, alla ricerca di un sapere al tempo stesso scientifico e spirituale.
Le leggi razziali del 1938 rappresentarono un drammatico spartiacque, che mise in luce le divisioni all'interno della Chiesa e di tutto il mondo cattolico riguardo al tema dell'antisemitismo. La coscienza di una parte dei credenti entrò in conflitto con i sentimenti filofascisti che fino ad allora aveva nutrito. Quali ripercussioni vi furono sull'atteggiamento della Chiesa verso il regime? La sfida dei totalitarismi alla tradizione cattolica fu colta in tutta la sua portata, o venne sottovalutata nella convinzione di poter "cattolicizzare" queste nuove e rivoluzionarie esperienze politiche?
Un «uomo che ha visto anticipatamente la storia»: così papa Francesco ha definito Paolo VI. Giovanni Battista Montini è stato un uomo del suo tempo, che si è confrontato e scontrato con le questioni della modernità europea e occidentale. Ma la crisi della Chiesa alla fine degli anni Sessanta aprì una fase nuova della sua vita. Dopo essersi lungamente impegnato nel governo della Chiesa, riformandone i retaggi temporalisti e anacronistici, Montini ha dovuto affrontare uno sconvolgimento dell'orizzonte storico che ha reso impossibile una gestione dall'«alto» e dal «centro» dell'istituzione ecclesiastica, come spiega Andrea Riccardi. Questo volume mette a fuoco l'attualità dell'«ultimo» Paolo VI, che si aprì al mondo nuovo della globalizzazione attraverso un confronto sempre più ampio con le grandi questioni della pace (ne parla in questo libro il cardinale Parolin); le realtà dell'America Latina, dell'Africa e della Cina; i nuovi rapporti tra Nord e Sud; la situazione nei paesi comunisti dell'Europa Orientale. Nell'impossibilità di definire un modello unico di Chiesa all'interno di un cambiamento sempre più imprevedibile, Paolo VI si è affidato soprattutto a due bussole: il primato del Vangelo e il «sacramento del povero», che - attraverso l' Evangelii Nuntiandi - hanno orientato anche il rinnovamento della Chiesa latino-americana e la «teologia del popolo» argentina cui si è ispirato papa Francesco.
La nascita e la rapida diffusione dell'antisemitismo moderno, politico e razziale, tra Otto e Novecento, ha messo in difficoltà la Chiesa cattolica: da un lato, essa aveva da secoli un atteggiamento antiebraico, che in passato aveva prodotto, nell'Europa cristiana, un regime di segregazione in cui la minoranza ebraica era preservata ma discriminata; d'altro lato, l'antisemitismo razziale, fenomeno pienamente secolarizzato, non teneva in alcun conto il battesimo, ritenendo che un ebreo restasse tale anche convertendosi al cristianesimo. Inoltre, l'antisemitismo metteva in discussione l'unità del genere umano e aveva componenti anticristiane. In quel frangente, la Chiesa ha operato una debole distinzione tra la propria tradizione antiebraica e l'antisemitismo, tentando di salvare la prima pur condannando il secondo, ma ha anche avviato una riflessione complessiva sul rapporto con l'ebraismo. In questo libro si ricostruisce il percorso di riscoperta, da parte cattolica, del legame spirituale tra ebraismo e cristianesimo, come risposta all'antisemitismo, in un processo che porta al Concilio Vaticano II e alla dichiarazione "Nostra aetate", con il superamento dell'antica ostilità religiosa e l'apertura di una stagione nuova nei rapporti tra le due fedi.
Negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, insieme all'incremento dei consumi e al boom economico in Europa e in Nord America, emergevano le contraddizioni di un mondo che iniziava a scoprirsi globale: la questione della povertà assumeva contorni nuovi e drammatici, nel volto delle «periferie» prodotte dai neo-colonialismi. Giovanni XXIII, pochi giorni prima che iniziasse il Concilio Vaticano II (1962-1965), affermò che di fronte a quelle contraddizioni la Chiesa si presentava come «Chiesa dei poveri». Da quelle parole scaturì un dibattito che coinvolse un movimento di vescovi e teologi nel tentativo di promuovere, da una parte, una radicale semplificazione degli apparati ecclesiastici e, dall'altra, l'evangelizzazione dei poveri come la principale missione ricevuta dalla Chiesa cattolica. Muovendosi tra diverse fonti - documenti di archivio, diari dei protagonisti, saggistica e articoli di stampa - il volume vuole ripercorrere e ricostruire, con un interesse storico, le trame di quel dibattilo per rispondere all'interrogativo se l'esperienza della «Chiesa dei poveri» sia riducibile a un «pezzo» della storia istituzionale del Concilio Vaticano II, oppure se possa essere compresa come ima dimensione embrionale e rappresentativa delle evoluzioni del cattolicesimo in età contemporanea, lino alla ripresa di quegli stessi temi, cinquant'anni dopo, da parte di papa Francesco.
Il principio di sussidiarietà non solo occupa un posto centrale nella Dottrina sociale della Chiesa, ma costituisce una novità rilevante nel pensiero filosofico, politico, economico e giuridico dell'Occidente. Nel corso dei secoli, ancor prima della sua esplicita formalizzazione, esso ha determinato la nascita e la crescita dal "basso" delle più varie iniziative di risposta ai bisogni della collettività. Tale azione non è venuta meno con l'affermarsi dello Stato moderno, anzi si è ampliata per far fronte ai nuovi bisogni creati proprio dall'avvento della modernità. Parlare di sussidiarietà significa porre al centro dell'azione sociale, economica, politica, un soggetto umano caratterizzato dalla libertà intesa come desiderio di bene, per sé e per gli altri, e non solo come propria indipendenza e capacità di scelta. Come emerge dall'ampiezza degli interventi di questo libro, la sussidiarietà è un modo diverso di guardare tutta la vita sociale e istituzionale, che nasce da una riflessione sull'esperienza della singola persona umana e diventa capace di costruire risposte più adeguate ai reali bisogni di tutti.