«Siamo tutti imbarcati», dirà Pascal. Dove? Sulla Nave dei folli, risponde Hieronymus Bosch. A inseguire vanità delle vanità, dominati dalla «maledetta lupa» dell’invidia e dell’avarizia. Ci salveremo dalla perdizione e dal naufragio? Sarà la misura dell’ironia e la ragionevole fede dell’umanista Erasmo a offrirci una speranza? O soltanto la follia della fede nel Cristo deriso e crocefisso potrà riscattarci? Ma negli inverni e nei sinistri carnevali di Bruegel il Vecchio regnano unicamente la violenza e la lotta per sopravvivere, in un gioco tremendo e crudele che nessuno ormai ha la forza di trascendere.
Potrà mai risorgere quel piccolo Cristo smarrito, che Bruegel nasconde tra la folla, ignorato e affondato nell’indifferenza degli uomini? Qui la croce non sembra aprire il movimento della storia, ma piuttosto precipitare nella lunga notte del mondo. Con Rembrandt, nell’atmosfera sfibrata della «Cena in Emmaus», anche l’evento della resurrezione si stempera: il risorto, seduto al tavolo dei viandanti, viene risucchiato indietro dalle tenebre verso un’esile luce. La sparizione del Cristo, l’assenza di ogni Dio su questa terra sono forse segni con cui oggi dobbiamo confrontarci.
Gabriella Caramore è autrice della trasmissione di cultura religiosa di Rai Radio 3 «Uomini e Profeti». Per il Mulino ha pubblicato «Pazienza» (2014).
Maurizio Ciampa, saggista, ha pubblicato tra l’altro «L’epoca tremenda. Voci dal Gulag delle Solovki» (Morcelliana, 2010). Sono autori di «La vita non è il male» (Salani, 2016).
Dei settecento chilometri della Via Francigena del Sud, che da Roma porta a Brindisi, porto d'imbarco per i pellegrini che nel Medioevo si recavano in Terra Santa, circa la metà attraversano la Puglia. Un itinerario fra i più suggestivi, soprattutto se percorso a piedi. Si potranno incontrare, fra i molti esempi di romanico svevo, la Cattedrale di Ruvo, quella di Bitonto e la Basilica di San Nicola a Bari: testimonianze mirabili della forza di una religiosità essenziale.
Il volume è in larga parte centrato sull'opera del cardinale Gabriele Paleotti, che con un suo celebre trattato pose con forza il problema dell'aderenza dell'arte alla nuova spiritualità tridentina. La Roma papale, già avviata agli splendori della propria autocelebrazione, respinse tuttavia la rigorosa precettistica di Paleotti. Due posizioni inconciliabili che nell'arte figurativa conducono da una parte alla quotidianità sofferta di Caravaggio e dall'altra all'esaltazione atemporale del divino e delle sue manifestazioni nel barocco trionfante.