Il tema dei rapporti tra potere economico e potere politico ha una lunga tradizione sia nella storia delle idee che nella storia dei fatti. Il volume ripercorre questa storia secolare mettendo a confronto le parabole della democrazia classica e della democrazia moderna per coglierne gli elementi di continuità e discontinuità. Secondo l'autore, la sfida che i potentati economico-finanziari pongono al primato della politica sono davvero forti e l'esito appare incerto.
I due saggi che compongono questo libro sono, pur nella loro brevità, emblematici della postazione filosofica di Popper, ed esprimono il senso profondo che ne ha animato la battaglia culturale e politica. Interrogarsi e pronunciarsi sulla validità della nostra conoscenza non significa infatti soltanto affinare la speculazione, ma anche offrire visioni del mondo che possono essere fatte da tutti gli uomini. E' un nesso, questo, che il filosofo ha costantemente posto in evidenza anche attraverso il suo insegnamento quasi "militante". Popper non ammette fonti privilegiate di verità e giudica deleterio perseguire idolatricamente la certezza e l'oggettività della scienza.
"Sono figlio di un morto ammazzato": questa è la "confessione" che dà avvio al libro in cui Roberto Vivarelli racconta per la prima volta, con partecipazione ma anche con stupefacente lucidità, la sua esperienza di repubblichino adolescente. Il padre di Vivarelli fu ucciso dai partigiani jugoslavi nel 1942. Alla caduta del fascismo e dopo l'8 settembre 1943, rimanere fascisti per i due figli sarà anche una questione di fedeltà all'ombra paterna. Ma dal 1948 egli avvierà una propria "ricostruzione" culturale e politica, che lo condurrà su posizioni assai lontane da quelle di partenza. Ma solo dopo mezzo secolo riuscirà a far combaciare le stagioni della propria vita e a vedere il filo unitario che le lega.
In questo volume l'autore tratteggia l'evoluzione dell'Inghilterra nel Novecento non solo dal punto di vista politico, sociale ed economico, ma anche in termini culturali. All'inizio del secolo l'Inghilterra era la più grande potenza mondiale; un secolo dopo, tutto è cambiato. L'ossessione del declino è diventata uno stato d'animo nazionale. Clarke adotta una prospettiva diversa: è vero che c'è stato un declino, ma la vicenda del primato internazionale dell'Inghilterra non è l'unica storia che si può raccontare. Accanto ad essa abbiamo anche la storia interna del paese, del suo progresso economico e sociale, del mutamento nei costumi, dell'allargamento della democrazia.
A lungo la rivoluzione francese è stata interpretata come una lotta della borghesia contro l'aristocrazia. In questo libro Sutherland adotta una nuova prospettiva e mette al centro di quei tempestosi decenni di storia francese il conflitto tra rivoluzione e controrivoluzione. L'andamento della rivoluzione fu in gran parte determinato dalla presenza di una forte resistenza alle riforme rivoluzionarie. E in nome dell'ordine del paese furono sacrificati molti di quei valori di libertà e uguaglianza che avevano originariamente ispirato il movimento rivoluzionario.
Queste pagine ripercorrono la storia dell'invenzione e della diffusione delle macchine del tempo, vale a dire gli orologi, i primi apparecchi di precisione che scandiscono e regolano i tempi della vita sociale. Richiamandosi al tema dei rapporti tra progresso tecnologico, cultura e strutture della società, l'autore spazia dalle fucine medioevali, dove i fabbri costruivano insieme orologi e bombarde, al laboratorio di orologi creato alla fine del Seicento nel palazzo imperiale di Pechino. Uno scenario cronologicamente e geograficamente vasto, nel quale vengono studiati in concreto i problemi come l'importanza della migrazione fra tecnica e scienza nel corso della Rivoluzione Scientifica.
Accreditata da una parte della storiografia, la mitologia assolutoria che nega la presenza del razzismo nella storia italiana conserva intatta la propria influenza. Questo mito storiografico narra di un processo di formazione dello stato nazionale immune dalla etnicizzazione della cittadinanza e racconta di un'esperienza coloniale eccezionalmente mite. Questo libro fornisce gli argomenti per confutare tale vulgata autoassolutoria. Esso documenta come anche la storia d'Italia abbia annoverato, tra le sue componenti essenziali, ideologie e pratiche razziste nei confronti dei nemici interni, delle aree di popolazione subalterna, dei nemici esterni e degli ebrei, sintesi di tutte queste dimensioni.
Parole rubate dall'informatore, lettere sequestrate alla censura, relazioni settimanali degli organi di polizia che registrano per il Duce lo "stato d'animo delle popolazioni". Cavallo è riuscito a ricostruire come la pensavano gli italiani, quasi giorno per giorno, sulla guerra. Questo libro non costituisce dunque una storia della guerra in Italia, dei fatti politici e militari, ma una storia dei sentimenti, dell'immaginario che la guerra ha generato: in breve una storia di come essa è stata percepita e vissuta. Un tema in larga parte inedito, studiato anche su fonti e materiali come canzonette, film, commedie e barzellette, ossia tutta quella produzione che al tempo stesso rispecchia e influenza l'immaginario collettivo.