Quest'opera in due volumi, risultato di una ricerca scientifica pluriennale condotta da un gruppo di studiose e di studiosi del tema, presenta per la prima volta il quadro nazionale dell'applicazione della legislazione razzista e antisemita del 1938 nell'università italiana. L'«arianizzazione» degli atenei si realizza a partire dalla fine degli anni Trenta nel contesto del già esistente processo di fascistizzazione dell'università italiana e si sviluppa poi negli anni successivi del regime e della guerra mondiale producendo conseguenze immediate, di medio e lungo termine sull'intera istituzione. Questa trasformazione delle università italiane in istituzioni razziste e antisemite viene qui indagata, per quanto lo consentano le fonti disponibili, in tutte le sue diverse fasi e aspetti (censimento, espulsioni, sostituzioni, provvedimenti contro gli studenti, materie razziste e politica della razza, reintegro parziale e incompleto ed epurazione dei razzisti nel dopoguerra). Il primo volume dell'opera raccoglie i contributi sulle realtà universitarie di Trieste, Venezia e Padova, Torino (Università e Politecnico), Genova, Firenze, Pisa (con un lavoro specifico dedicato agli studenti pisani) e Siena, Perugia (l'Ateneo e l'Università per Stranieri), Cagliari e Sassari, Palermo, Messina e Catania.
Alle 10 di sera del 6 ottobre 1938 Mussolini mandò a tutti i membri del Gran Consiglio del fascismo la sua Dichiarazione sulla razza: un testo meditato per settimane, destinato a diventare il riferimento per la politica razzista del regime. Con sua sorpresa, il Gran Consiglio non si limitò ad accoglierlo, ma lo discusse per ben 5 ore, proponendo modifiche su aspetti cruciali. A partire da un documento finalmente emerso nella sua interezza, la copia della Dichiarazione annotata da Italo Balbo, Giorgio Fabre ricostruisce gli interventi di Mussolini e degli altri membri del Consiglio in quella straordinaria circostanza. Emerge come Mussolini cercò di contemperare le varie soluzioni accogliendo o respingendo alcune delle istanze avanzate dai leader fascisti, conoscendo le decisioni prese nel frattempo in Germania, ma mantenendo una certa distanza. Con un'analisi filologica dei documenti nelle diverse stesure, un confronto con le versioni del testo apparse sui vari organi di stampa, italiani e internazionali, le memorie dei protagonisti, nonché alcuni documenti inediti e i principali contributi storiografici sul tema, il libro presenta una lettura originale e ricca di novità testuali e interpretative: in particolare, spiega il successivo destino ministeriale del razzismo fascista.
La tragedia della Shoah rischia spesso di lasciare sullo sfondo le altre gravissime persecuzioni che hanno colpito gli ebrei italiani dal 1938 al 1945. Le leggi razziali, precedute da un subdolo censimento che era in realtà una vera e propria schedatura e anticipate da una violenta campagna antisemita, esclusero gli ebrei dalla scuola, dal mondo del lavoro, dalla vita civile. Dal 1938, oltre 400 provvedimenti di crescente gravità: alla fine, gli israeliti non potevano possedere mia casa, un'impresa, un lavoro, neppure degli oggetti. Una spoliazione sistematica e minuta, confische equivalenti a oltre 150 milioni di euro odierni. Gli archivi restituiscono le vicende di questa Grande razzia, e storie, spesso ignote, di vita e, purtroppo, anche di morte. Il nostro Paese le ha indagate soltanto dal 1998, costituendo una Commissione presieduta da Tina Anselmi. Ma troppo resta ancora sconosciuto. Le stesse restituzioni agli originari proprietari sono state tardive e soltanto assai parziali. Come gli indennizzi, e i riconoscimenti a chi è stato perseguitato. Con una capillare ricerca tra i dati e gli allegati al Rapporto Anselmi e in numerosi archivi, negli ottant'anni dalla più importante tra le leggi razziali che furono l'anticamera della Shoah, Fabio Isman racconta vicende spesso ancora ignorate o troppo poco esplorate, che ci restituiscono lo spaccato di un'Italia non sempre composta da «brava gente». Prefazione di Liliana Segre.
Zargani ripercorre le traversie della sua famiglia nei sette anni di persecuzione antiebraica: la perdita del lavoro del padre violinista, l'esclusione dalle scuole, il fallito tentativo di espatrio e, dopo l'otto settembre, la fuga vera e propria da Torino e infine gli ultimi mesi in una valle di montagna controllata dai partigiani.