In questo "Diario palestinese", in cui i protagonisti non hanno nome né volto, la drammatica storia della Palestina rivive nei ricordi di due uomini. Tutto si svolge dentro la notte, in due tempi di narrazione: il presente, rappresentato dal viaggio verso il nulla, e il passato che riaffiora e s'impone. Come perle in una Terra lacerata e contesa, riemergono anche i pochi ricordi sereni d'infanzia e d'amore. L'autore, nato e cresciuto egli stesso in un campo profughi, crea senza alcun compiacimento una perfetta ambientazione storica, sospesa tra realtà e trasfigurazione poetica.
Il libro è dunque, il ritratto di una terra, dei suoi miti, dei suoi archetipi immutabili, ma nel contempo della sua storia, del suo mutare, del suo divenire nel tempo. Il miele che una volta c'era ed ora è finito, come indica il titolo, sta a significare che la Sardegna non è una terra senza tempo, immobile, ma una realtà nella quale si avverte, nel ritornare, il moto della storia. "Qui nell'isola dei sardi, ogni andare è un ritornare", ma nel ritornare alle cose di un tempo si avverte, pur nella fissità delle sue immagini primitive e originarie, la trasformazione, la diversità, il cambiamento.