Il libro raccoglie i numerosi scritti di Marta Bellavista - pagine di diario, trascrizioni di dialoghi, lettere e mail -, morta a soli 27 anni. Le sue parole scavano nel profondo, rese carne dal dolore e dalla domanda di infinito vissuta dentro le circostanze ordinarie: "Ho scoperto che neanche un miracolo può soddisfare il mio cuore". "In lei vibra un'intensità di desiderio che investe tutto, a partire dalle sue passioni, dal ballo allo studio agli amici. Desiderio che si condensa in un'unica insistente domanda, quella di essere felice" (dalla prefazione di don Stefano Alberto FSCB).
Andrea Aziani nasce ad Abbiategrasso il 16 gennaio 1953. Fin dall'adolescenza rivela una indole appassionata a tutto, segno di quella tensione alla totalità che lo porterà a entrare nei Memores Domini e a dare tutta la vita perché Cristo fosse conosciuto, abbracciato e amato fino ai confini del mondo: a Siena nel tempo della giovinezza, in Perù negli anni della maturità, dove si dedicherà all'insegnamento, aderendo in seguito al progetto di monsignor Lino Panizza, vescovo di Lima-Carabayllo, di aprire l'Università Cattolica Sedes Sapientiae. Attraverso le lettere agli amici e il racconto di quanti lo hanno conosciuto, il libro fa emergere, come in una polifonia, la sua «febbre di vita» che scaturiva dall'immedesimazione con Cristo e dalla commozione per il destino e la felicità degli uomini. Tanti bambini, giovani e famiglie, specie negli anni vissuti in Perù, hanno sperimentato la sua paternità. Dopo aver letto una sua lettera, in un ritiro, don Giussani commentò: «Ditemi chi parla così dell'amore a Cristo». Ad appena otto anni dalla sua morte improvvisa, avvenuta a Lima il 30 luglio 2008, monsignor Panizza ha aperto la causa di beatificazione.
L'autore di questo libro è testimone oculare del martirio dei quaranta seminaristi. Miracolosamente sopravvissuto, egli documenta non solo l’eccidio, ma soprattutto i molteplici frutti scaturiti da tale martirio. Il suo racconto inizia con una domanda: come mai in un Paese che ha visto susseguirsi numerose crisi politico-militari a base etnica, caratterizzate da orrendi massacri e vendette di un’etnia sull’altra, si possono incontrare luoghi di fraternità così forte? Descrivendo l’esperienza educativa nel seminario di Buta, egli mostra che l’opera di evangelizzazione e di educazione alla comunione con Dio e con i fratelli ha creato tra quei giovani una appartenenza a Cristo e tra loro più forte della loro appartenenza etnica. Se è vero – riflette l’autore – che il Vangelo viene prima dei martiri, è altrettanto vero che la testimonianza dei martiri suscita una nuova ondata di evangelizzazione, perché rende visibile una vita desiderabile, fraterna, più forte dell’odio e delle divisioni. Così un episodio accaduto in un angolo remoto dell’Africa diventa luce per tutti. Esso documenta che la radice della fraternità è racchiusa nella paternità di Dio. Conclude l’autore: "È attraverso la testimonianza di comunità autenticamente fraterne che la Chiesa è in Cristo la luce che attrae le genti". Speranza per il mondo.
«Sono a Parigi, vorrei incontrarla.» La voce di colui che era stato il suo carnefice per quattro mesi risveglia in Maïti il ricordo di un doloroso passato. Si rivede giovane ragazza di diciotto anni, spinta dalle circostanze a entrare nella Resistenza, prima per aiutare la gente del proprio villaggio, poi per fare attraversare la linea di demarcazione a persone in fuga, instradare corrieri, falsificare documenti, fornire cartine agli inglesi, individuare movimenti di sottomarini, proteggere professori di musica ebrei... Arrestata a Parigi nell'autunno 1943 e liberata nel febbraio 1944 sulla soglia della morte, deve ben presto rendersi conto che non potrà realizzare i due grandi sogni della sua vita: diventare pianista e formare una famiglia. Una nuova sfida le si impone: non rimpiangere «ciò che ero stata o che sarei potuta diventare», ma «amare ciò che ero. Non avevo da scegliere il mio cammino, ma da accoglierlo». Restavano l'angoscia per il pensiero che quell'uomo potesse morire deformato dal male compiuto e il desiderio di perdonarlo: agli occhi di Dio anche lui aveva «un valore infinito». Finché un giorno Léo si presentò a casa sua, mettendo alla prova il suo desiderio di perdono.
"STD - sub tutela Dei" era il motto adottato fin da giovane da Rosario Angelo Livatino. Con questa fiducia in Dio ha vissuto una ordinaria quotidianità, come emerge da quanto annotava quotidianamente nelle sue agende. La fede vissuta nel quotidiano connota la sua professione di magistrato che diventa il luogo dell'offerta a Dio di sé, non senza un lungo travaglio interiore, cosciente del "calice" che gli è messo davanti, dei pericoli a cui lo espongono le sue indagini. Tale coscienza è all'origine di un «brutto periodo per il morale» fino a quando accetta la probabilità del "sacrificio" della sua vita. Chiede di poter accostarsi al sacramento della Cresima, maturando progressivamente una disposizione martiriale. Nel suo «Picciotti, che cosa vi ho fatto?» risuona il profeta Michea, associato il Venerdì Santo al Cristo morente: «Popolo mio, che male ti ho fatto?». Una invocazione che penetrerà nel cuore degli assassini e porterà due di loro a chiedere perdono. Dopo avere incontrato i genitori di Livatino, san Giovanni Paolo II pronunciò parole durissime contro la mafia, invitando i responsabili alla conversione. Appello rinnovato da papa Francesco, come a dire che la vittoria sulla mafia è la consegna di sè a Cristo, distanti dal rischio di perdere la vita credendo di guadagnarla. Volume realizzato in occasione della mostra promossa da Libera Associazione Forense, Centro Studi Rosario Livatino, Centro Culturale Il Sentiero. A cura di Guido Facciolo, Matteo Filippi, Roberta Masotto, Salvatore Taormina, Carlo Torti, Carlo Tremolada, Paolo Tosoni.
«Le vite dei santi appartengono alla storia, perché sono loro stessi a fare la storia e, meglio ancora, la fanno come piace a Dio. La storia senza i santi si riduce a guerre, battaglie, nazioni soggiogate o liberate, leggi e decreti, paesi che si avvicendano nella supremazia reciproca. Di tanto in tanto, però, Dio mostra la strada, e ogni volta per indicarla si avvale di un santo.» (Louis de Wohl)
Luigi Valentini è stato un appassionato educatore. La sua vocazione sacerdotale dalla originaria arcidiocesi di Fermo si è dilatata fino alla missione in Brasile. Qui, per rispondere ai bisogni delle persone incontrate, ha realizzato asili, doposcuola, case di accoglienza, laboratori artigianali di avviamento al lavoro, sostenendo analoghe iniziative anche in Argentina. In segno di ringraziamento e di riconoscimento per il valore educativo delle sue opere, nel 2016 la città di San Paolo, capitale dell'omonimo stato del Brasile, gli ha conferito la cittadinanza onoraria. Nel 2019 la città di Porto San Giorgio, dove era nato nel 1935, lo ha proclamato "Sangiorgese dell'anno" annoverandolo fra i suoi più illustri cittadini. Le centinaia di messaggi, lettere, testimonianze, telefonate, e-mail, che sono pervenute da varie parti del mondo ai suoi familiari ed amici dopo la sua morte, avvenuta a Fermo il 4 marzo 2020, testimoniano di quanti sono i cuori e le anime su cui don Luigi ha scritto nel corso di tutta la sua vita. Queste pagine daranno al lettore l'occasione di accorgersi di come Dio scrive nelle anime degli uomini servendosi di chi si affida a Lui e diventa specchio del Suo Amore. Il ricavato dalla vendita di questo libro sarà devoluto alla Associazione Condividere ONLUS per il sostentamento delle opere di assistenza all'infanzia in Brasile.
«Sono stato un testimone privilegiato della vita e della morte di tante persone che si sono presentate a me come uno spettacolo di altissima dignità e di spaventosa fragilità: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?”. Ho visto l’umano e il divino. Quello che ho visto ha combattuto dentro di me. Mi ha ferito. E ha scatenato un dialogo con il Mistero di Dio.»
Ignacio Carbajosa
Lo chiamano “il Santo di Urakami”. Fiero come un samurai nella sua etica giapponese, convinto all’ateismo come un uomo occidentale durante i suoi studi universitari di medicina, Takashi viene travolto dal fiume di fede che vive nel quartiere di Urakami, a Nagasaki. Un fiume sgorgato con l’arrivo di Francesco Saverio nel 1549, alimentato per secoli da migliaia di martiri e santi, passando per l’incredibile vicenda dei cristiani nascosti, durata oltre duecento anni.
Diventa Takashi Paolo: fino alla fine vero giapponese e intelligente medico e scienziato.
Il 9 agosto 1945 viene sganciata su Nagasaki la seconda bomba atomica della storia. Takashi Paolo è già gravemente malato di leucemia, a seguito del suo lavoro da radiologo. Decide di tornare a vivere sulle macerie del quartiere distrutto. Passa gli ultimi tre anni di vita costretto a letto, pregando per la pace, incontrando e confortando persone provenienti da tutto il Giappone, testimone di una fede e di un amore tali da vincere la devastazione della bomba atomica.
Noi dovremmo trasformare la nostra vita in poesia.
Dobbiamo scavare sotto la superficie delle cose, cercare la bellezza nascosta che è dappertutto e scoprire la gloria del creato che è intorno a noi. Allora ogni giorno diventerà una poesia.
Siamo vivi, siamo vivi e un intero giorno ci attende.
Takashi Paolo Nagai
Carmelo vive una vita normale, con le attese e la voglia di vivere tipiche di un ragazzo di sedici anni. Inaspettata giunge una malattia che lo costringe su una sedia a rotelle e fa crollare ogni sua speranza. Si apre, come una voragine, un periodo di buio e di solitudine durato due lunghi anni.
Un viaggio a Lourdes e l’amicizia con alcuni ragazzi di Gioventù Studentesca segnano l’inizio di un nuovo cammino in cui, giorno per giorno, Carmelo si abbandona al volere di Dio fino a scoprire il compito che gli è assegnato: dare testimonianza di fede, di speranza e di carità. Il suo sguardo positivo sulla realtà attrae coloro che lo incontrano: stare con lui è una festa.
A distanza di venticinque anni dalla morte, la sua vita e la sua vocazione continuano ad attrarre. In lui si vede la santità come “perfezione umana” che non dipende dalle circostanze, ma dall’amore a Cristo.
«Desidero consigliarlo a tutti: sia a coloro che cercano sostegno e alimento per la propria fede; sia alle persone che dal cristianesimo si sentono lontane, ma che sono in cerca di un senso e di un fondamento per la loro vita».
Dalla prefazione di Massimo Camisasca
Suor Nazarena, monaca camaldolese morta a Roma nel 1990, ha vissuto per oltre 40 anni volontariamente reclusa in una cella non per una fuga o per disprezzo del mondo, ma per amore a Cristo e ai fratelli: «L'amore per Gesù e i fratelli divori il mio cuore in un martirio di amore ignoto anche a me stessa».
Samuele scopre di essere «una bomba che cammina».
Alla dottoressa che gli chiede se è disposto a lottare per la vita e quali motivazioni ha per farlo, risponde di sì, perché è marito e padre di due bambini ancora piccoli, ha ancora tante cose da fargli vedere, «e poi… devo andare sul Monte Bianco».
Un libro a più voci, in cui il dramma di Samuele è raccontato non solo dal protagonista, ma anche da quanti gli sono stati vicini e lo hanno accompagnato in un cammino sospeso tra la vita e la morte: la moglie, i figli, i medici, gli amici, visibili e invisibili.
Una storia che ha il sapore del miracolo e della gratitudine.