Furono molti, nel 1946, i giornalisti che accorsero nella Germania della disfatta per vedere con i loro occhi e raccontare poi ai propri lettori come si viveva tra le macerie di quello che doveva essere il Reich millenario. Stig Dagerman arrivò il 15 ottobre e ripartì il 10 dicembre. Per tutto il viaggio raccolse una grande quantità di appunti che rielaborò in forma di articoli e successivamente presentò in volume. Quando "Autunno tedesco" fu pubblicato per la prima volta, nel 1947, la critica fu unanime nel riconoscerne l'alta qualità letteraria. Gli articoli di Dagerman erano opera di un poeta e si distaccavano nettamente dalla produzione giornalistica corrente. Colpiva in essi la descrizione acuta, nitida e diretta, di una situazione per molti versi estrema; la partecipazione appassionata alle sofferenze dei vinti, la volontà di comprenderne le ragioni, senza per altro consentire a nessun tipo di facile assoluzione, la libertà da ogni schema ideologico e da ogni preconcetto. "Autunno tedesco", tuttavia, non rappresenta soltanto una straordinaria lezione di giornalismo: oggi si rivela anche, e soprattutto, come la terribile rappresentazione di un passato che, in tempi e luoghi diversi, non ha cessato di ripetersi.
È mai esistita una atomica tedesca? La questione dell'arma segreta con cui Adolf Hitler avrebbe potuto rovesciare le sorti della seconda guerra mondiale appassiona e divide gli studiosi. Per dare a questa domanda una risposta definitiva, l'autore - con la collaborazione del giornalista Heiko Petermann, e con l'aiuto di storici, fisici e radiochimici di fama internazionale - ha lavorato per quattro anni sulla storia della ricerca nucleare nella Germania nazista. Il risultato è sorprendente: basandosi sulle scoperte di illustri scienziati tedeschi - tra cui Werner Heisenberg, Otto Hahn e Carl Friedrich von Weizsäcker - e grazie al fattivo sostegno di gerarchi del calibro di Heinrich Himmler e Albert Speer, alcuni fisici furono in grado di eseguire, nel 1944-45, test nucleari sull'isola di Rügen e nella regione della Turingia; test durante i quali morirono molte migliaia di prigionieri di guerra e detenuti dei campi di concentramento. Rainer Karlsch, tuttavia, non si è limitato a raccogliere le prove degli esperimenti finalizzati alla costruzione dell'arma atomica, ma ha riportato alla luce un brevetto per una bomba al plutonio che risale al 1941 e ha ritrovato, nei dintorni di Berlino, il primo reattore nucleare tedesco funzionante. Rigorosamente documentato, questo libro getta una luce nuova su una delle vicende più controverse della storia del '900.
C'era una volta l'Europa dell'Est, un mondo che nell'immaginario collettivo è scomparso in una notte con la caduta del Muro il 9 novembre 1989. Sparito, come la mitica Atlantide. In realtà la fine del comunismo è maturata nel corso di lunghi anni di sofferenze e di lotte non violente condotte da migliaia di cittadini, in forme più o meno organizzate, al prezzo di grandi privazioni e sacrifici. Quel cammino verso la libertà Luigi Geninazzi l'ha vissuto da testimone diretto, come inviato speciale sul campo, da Danzica e Varsavia a Mosca, da Praga a Vilnius, da Berlino a Bucarest. In questo libro l'autore rievoca quell'esperienza facendo scorrere sotto i nostri occhi grandi eventi e piccoli aneddoti di vita quotidiana, personaggi storici visti da vicino - come Giovanni Paolo II, Lech Walesa, Vaclav Havel - e anonimi coraggiosi e intrepidi. Il risultato è la cronaca appassionata di un decennio fondamentale del XX secolo, che segnò il passaggio - quanto mai complesso, problematico e pieno di ombre e mezze verità - dall'epoca dei blocchi contrapposti all'Europa dei nostri giorni. Prefazione di Lech Walesa.
Tra il 1925 e il 1929, nell'indifferenza del mondo cosiddetto civile, il Messico visse una tragedia senza precedenti. Il governo della Repubblica nelle mani di un piccolo gruppo di potere, gli "uomini di Sonora" - inasprì a tal punto la legislazione antireligiosa che già aveva colpito la comunità cattolica, da rendere impossibile qualsiasi manifestazione della fede. Il clero fu espulso, ogni cerimonia e rito cancellati. Tutti i luoghi o gli istituti in qualche modo collegati al culto (chiese, conventi, seminari, scuole, istituti di carità) furono chiusi o confiscati. Di fatto, dopo il 31 luglio 1925 la Chiesa sparì dalla vita del popolo messicano. A quel punto accadde però qualcosa che nessuno aveva previsto: centinaia di migliaia di messicani, appartenenti a tutti gli strati della popolazione, insorsero dandosi alla macchia. I generali dell'Esercito federale pensarono di poterli sconfiggere in breve tempo, ma l'insurrezione di Cristo Re, la "Cristiada", coinvolse presto milioni di cittadini e interi Stati della Federazione caddero sotto il controllo di un esercito "cristero" sempre più potente e benvoluto. La reazione del Governo non si fece attendere e fu di straordinaria durezza: massacri indiscriminati, campi di concentramento, impiccagioni di massa. Ma i "Cristeros" moltiplicavano le forze a ogni sconfitta, mostrandosi pronti al martirio. E infatti non furono le armi a sconfiggerli, ma la diplomazia internazionale con gli Accordi del 1929.
Nel 1960 l'archeologo inglese James Mellaart scopre a Çatal Hüyük, nel cuore dell'altipiano anatolico, una straordinaria città senza tetti, senza strade e senza porte, fiorita 9000 anni fa. Gli stupendi affreschi delle sue case-tempio narrano una storia grandiosa e antichissima, che Giuseppe Sermonti - biologo, saggista ed ermeneuta di fiabe - ripercorre in questo volume, ricostruendo un'affascinante trama di risonanze e di rimandi. Tra gli affreschi di Çatal Hüyük si intravedono il mito della nascita di Venere dalle membra uraniche e quello di Perseo, ma anche la forma delle costellazioni, segni eterni dell'alfabeto celeste. L'autore, basandosi su una mansione lunare per ogni costellazione, dimostra la corrispondenza tra segni zodiacali e grafemi, fra le costellazioni dell'emisfero boreale e le lettere degli alfabeti fenicio-greco-latino. In quale plaga giace un'altra dozzina di lettere a completare l'alfabeto? Queste splendono sulla grigia pista delle notti, intitolata alla Via Lattea. Continuando il corteo zodiacale, esse si inerpicano verso il Polo splendendo nel pulviscolo galattico. Le riconosciamo partendo dall'Equatore e confrontandole con le lettere latine. L'alfabeto astrale scavalca la cupola della notte su due immense circonferenze. L'una, l'eclittica, abitata da animali (Zodiaco), l'altra, la Via Lattea, pista di eroi caduti. Vi si narra la saga di Perseus, che una strettoia della via cinerea taglia, come cintura alla vita della grandiosa pi greca.
Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1576 al 1611, è molto amato dalla letteratura, ma poco dalla storia. La sua vita e il suo regno non furono segnati da eventi particolari: accadde tutto prima di lui - il nonno Carlo V diede vita all'impero più vasto mai conosciuto, sul quale "non tramontava mai il sole" - o dopo di lui - la Guerra dei Trent'anni scoppiò nel 1618, poco dopo la sua morte. Ispirato cultore del bello e dell'arcano, Rodolfo popolò la sua corte stravagante di artisti, esoteristi, stregoni e scienziati, in un clima di tolleranza, favorevole al progresso della scienza e alla circolazione delle idee, di cui si avvalse anche Giordano Bruno. La sua passione per l'occulto attirò alchimisti come Oswald Croll e maghi come John Dee ed Edward Kelley, che guardavano in sfere di cristallo e traevano auspici parlando con gli angeli; intanto gli astronomi dovevano conquistare la sua volubile generosità elaborando oroscopi e interpretando l'apparizione di nuove stelle e il passaggio delle comete. Esautorato dai suoi nobili, lasciò la corona scagliando una maledizione su Praga e sulla nazione ceca, che in qualche modo si avverò. Durante la Guerra dei Trent'anni ogni esercito di passaggio saccheggiò il Castello e le sue inestimabili collezioni e la Boemia perse la propria indipendenza per trecento anni. Peter Marshall ha scritto questo libro per amore di Praga, della sua storia e di un uomo che ha saputo incarnare lo spirito di un'epoca, dando vita ai suoi demoni e alle sue speranze.
Il piccolo Ruben è un "giudeo cacasotto": così lo deridono i compagni di classe, fino a quando un giorno la scuola gli viene per sempre preclusa. Ma lui non ne fa un dramma. Meglio le lezioni private di clarinetto dal professor Nussbaum, uno che suonava con i Wiener Philarmoniker prima che lo cacciassero perché ebreo. Meglio gironzolare per le strade della città. Meglio starsene a casa, nonostante il clima in famiglia si faccia ogni giorno più cupo e agitato. Una notte, però, tutto precipita, arrivano i soldati e si possono raccogliere solo le cose più importanti, perché non c'è tempo, alla stazione c'è un treno che aspetta. Auschwitz ingoia gli ebrei, ma non Ruben. Il ragazzo viene salvato da un ufficiale delle SS, Klaus von Klausemberg, un raffinato melomane che si invaghisce del suo talento musicale. Il militare lo prende sotto la sua protezione, gli dà una certa libertà all'interno del lager, lo ospita nell'ospedale del campo. Ruben vive così una prigionia dorata e Klausemberg diventa per lui una specie di padre, protettivo e prodigo di consigli, oltre che un amico con cui suonare il prediletto Mozart. La tragica verità del lager affiorerà poco alla volta, insinuerà in Ruben prima dubbi e sospetti, poi inquietudini e orrori, in un crescendo di scoperte sconvolgenti, che, al momento della liberazione, si trasformeranno in un lutto assai difficile da elaborare. Solo due decenni più tardi, rivivendo attraverso un diario postumo la tragedia di Auschwitz, Ruben potrà scacciare i fantasmi.
Rommel è stato forse il solo comandante tedesco a ricevere attestati di stima dagli stessi nemici. Ma è proprio vero che fu soltanto il servitore efficiente e leale di una causa sbagliata? Diversi elementi sembrano dimostrare il contrario. Il Feld-maresciallo ha sempre mantenuto rapporti stretti con il regime e con Hitler, non si è mai attivamente opposto alla barbarie, non ha favorito in alcun modo i nazisti critici e il suo stesso suicidio è da interpretare come un supremo atto di fedeltà al suo Führer.
Nella Cecoslovacchia degli anni '30, Ilse Weber è una giovane donna ebrea, colta e vitale, che ha rinunciato a una brillante carriera di scrittrice per l'infanzia e autrice di radiodrammi, per amore del marito Willi e dei suoi due bambini. È una parentesi felice che non è destinata a durare: con l'occupazione tedesca del Paese, gli ebrei sono fatti oggetto di una persecuzione crudele e inesorabile. Ilse deve progressivamente rinunciare a tutto - alla propria casa, ad andare al cinema, a teatro, nel parco, persino a uno dei suoi bambini, Hanu, che a nove anni lascia la famiglia per raggiungere prima l'Inghilterra e poi la Svezia -, conformarsi ai divieti più umilianti, vedere gli amici di un tempo evitarla o girarle le spalle. Fino alla suprema prova dell'internamento a Theresienstadt nel febbraio 1942. Tutte queste vicende ci sono restituite, nello stile semplice e immediato di una conversazione, dalla sua corrispondenza con Lilian, l'amica che accoglie Hanu in casa sua, e con pochi altri interlocutori. Ma della Weber ci sono miracolosamente giunte anche le poesie e le canzoni composte per i bambini del reparto medico pediatrico del campo di concentramento. Raccolte e seppellite in un capanno degli attrezzi prima del trasporto finale ad Auschwitz (avvenuto nell'ottobre 1944), sono state recuperate dal marito dopo la liberazione e riunite con altre ottenute direttamente dai sopravvissuti. Se lei non ebbe scampo, il suo ricordo si conservò infatti tenacemente...
Quelle contenute in questo libro sono fotografie segnaletiche di condannati a morte. Negli anni del Grande Terrore staliniano migliaia di semplici cittadini furono arrestati e accusati dei più inverosimili delitti: spionaggio, terrorismo, trame controrivoluzionarie. E nel giro di pochi giorni, senza processo, fucilati. Molti di loro sono stati seppelliti in fosse comuni a Butovo, alla periferia sud di Mosca, ma nessun documento ne dà notizia. Col tempo, di Butovo si sono perse le tracce, e gli autori delle fucilazioni sono morti portando con sé il proprio segreto. Anche delle vittime si sono perse le tracce, dei loro nomi come dei loro volti. Per decenni ai parenti sono stati consegnati falsi certificati di morte che parlavano di lager e di decesso per polmonite o arresto cardiaco. Solo dopo la caduta del regime è stato possibile rintracciare questo luogo di morte, i fascicoli giudiziari, le foto segnaletiche. Ora sappiamo che tra l'agosto 1937 e l'ottobre 1938 a Butovo sono stati fucilati e seppelliti 20.765 innocenti. Le fotografie qui raccolte sono state fatte poco prima della fucilazione, e sono l'ultima immagine di queste persone. Vediamo volti di uomini e donne sconvolti dall'improvvisa catastrofe, spezzati dall'enormità delle accuse, prostrati dall'incertezza e dal timore della morte. E il mistero dell'uomo che ci fissa da queste immagini, un mistero che fa risaltare per contrasto l'oscenità dell'arbitrio che ha cercato di schiacciarlo.
La prima grande insurrezione contro il sistema sovietico dopo la fine della seconda guerra mondiale si consumò in Ungheria tra il 23 ottobre e il 4 novembre 1956. Di quel lontano episodio sono noti pressoché tutti gli sviluppi: dalla scintilla accesa con le manifestazioni studentesche a Budapest alla prima repressione all'alba del giorno successivo, dai vacillanti governi guidati da Imre Nagy al "fraterno" intervento dell'Armata Rossa. Nei confronti di quella tragica vicenda il PCI (e l'industria editoriale a esso collegata) adottò un atteggiamento fermo e intransigente, salutando benevolmente la sanguinosa repressione messa in atto dai sovietici. Ma non si limitò a questo. In realtà avviò un'opera di capillare disinformazione - tacendo alcuni fatti, falsificandone o distorcendone altri - organizzata con la complicità di tutte le sue più autorevoli testate. Attingendo alle pagine de "l'Unità" e di periodici come "Rinascita", "Vie Nuove", "Nuovi argomenti", "Ragionamenti", "Realtà sovietica" e "Mondo Operaio" (rivista vicina al PSI), Alessandro Frigerio ricostruisce in questo libro la "macchina del fango" allestita a Botteghe Oscure, evidenziando non solo i dispositivi concettuali che la resero così efficiente ma anche il costante alimento fornito dal conformismo dottrinale di direttori, giornalisti e intellettuali di partito, pronti a mettere l'ideologia al servizio della delegittimazione della rivoluzione.
Nella prima metà del XX secolo ebbe una grande notorietà la geopolitica, una teoria secondo la quale il destino dei popoli è determinato dall'ambiente geografico in cui vivono. Applicata al quadro storico e ideologico di allora, questa teoria rappresentò più di una giustificazione al nazionalismo e all'espansionismo di paesi quali la Germania nazista o l'Unione Sovietica di Stalin, che furono alla base del secondo conflitto mondiale. I suoi fautori tra gli altri, l'inglese Mackinder e i tedeschi Ratzel e Haushofer, il consigliere spirituale di Rudolf Hess - erano convinti che la conquista di alcune regioni avrebbe garantito il dominio universale. In particolare Mackinder era persuaso che il cuore del mondo, l'Heartland, fosse la vasta regione russa, inattaccabile dal mare e ricca di enormi risorse economiche e naturali: chi l'avesse controllata avrebbe governato l'"isola del mondo", l'enorme distesa di terre e acque dell'Europa e dell'Africa. L'Heartland rappresentò la grande scommessa di Hitler dopo il fallimento del volo aereo di Hess verso l'Inghilterra, probabilmente alla ricerca di un accordo di spartizione della regione russa. Assorbendo idee e dogmi positivisti, razzisti e darwinisti, combinandosi con suggestioni esoteriche e magiche, la geopolitica, più di altre teorie novecentesche, ha incarnato le diverse anime del "secolo delle ideologie e del mattatoio", tra i cui risultati vi è la configurazione del mondo di oggi. Prefazione di Giorgio Galli.