In questa raccolta di articoli si può cogliere il modo in cui padre Spidlík ha articolato una visione teologica che corrisponda al fondamento trinitario e personale della fede: un Dio che non è un’oggettività anonima, ma un Padre che ama e che racchiude tutto quello che fa, compresa la creazione del mondo e dell’uomo, nel mistero della generazione del Figlio; Cristo che unisce in sé il creato e l’increato, assumendo nella sua persona l’umanità ferita dal peccato – cioè dall’isolamento, dalla non-relazione –, per vivere in tutto come Figlio del Padre; lo Spirito come il grande artefice della relazione, colui che il Padre fa abitare sia in Cristo che in ciascuno dei credenti, facendo di tutti una comunione nel suo Spirito; la preghiera come l’esercizio più profondo e ampio di questa dimensione relazionale; il cuore come l’organo che intreccia in un tessuto organico tutto ciò di cui siamo fatti; la responsabilità che questa visione comporta per la cultura e per il cosmo… L’accoglienza del dono della comunione qualifica il nostro tempo, la nostra esistenza, determina la nostra vocazione sacerdotale nei confronti del mondo e fa della Chiesa un mondo in via di trasfigurazione, il mondo che in Cristo diventa trasparente alla pienezza del paradiso, pienezza di presenza e di relazioni.
“La religione non riguarda la religione, tanto meno le religioni”, afferma decisamente Zizioulas. “La religione riguarda gli esseri umani e la loro relazione con Dio, gli uni con gli altri, e con la creazione. Le religioni devono far fronte alle sfide del nostro tempo”. Davanti ai problemi dell’evangelizzazione e dell’inculturazione, la teologia o si chiude a riccio, rivendicando l’accesso ad un ramo particolare della conoscenza e rendendosi un oggetto specialistico, oppure risponde a tali sfide non applicando criteri teologici, ma semplicemente etici. Zizioulas raccomanda invece la prassi dei Padri greci, che “non assunsero semplicemente una visione critica della cultura greca, ma entrarono profondamente in essa e stabilirono legami creativi con le sue premesse…”. uttavia lo fecero rispondendo alle questioni culturali non con l’etica, ma con la vita nuova, e dunque con il dogma. L’etica infatti è solitamente determinata dal concetto di natura, mentre la fede nel Dio trinitario, con al centro la nozione di koinonia, è la rivelazione della persona, cioè di un modo di esistere sconosciuto nelle condizioni decadute dell’esistenza. Questo libro del metropolita Ioannis di Pergamo offre una raccolta di suoi articoli apparsi in varie riviste teologiche, non sempre facilmente accessibili, che presentano la teologia trinitaria come il fondamento e la novità di tutta l’esistenza cristiana, costituita pertanto da un’identità relazionale: nel suo stile di vita, nelle sue strutture, nella sua missione… La fede trinitaria presenta una nozione di libertà e di comunità cosí profonde da costituire una sfida radicale alle concezioni moderne della persona e al problema dell’unità e della diversità che occupano il pensiero umano fin dagli inizi.
La vera secolarizzazione è avvenuta con una cultura centrata sull’individuo. L’individuo è lo scoglio contro il quale si è frantumata ogni impostazione teologica, pastorale, della vita spirituale, dell’ecclesiologia, di tutto. E ogni tentativo di aggiustare l’individuo, di sottolineare il mistero dell’uomo, di mettere al centro la solidarietà, la comunità, la condivisione – tutte queste realtà si sono dimostrate impotenti perché non sono in grado di superare ontologicamente l’individuo. Si sono semplicemente spostate a livello dei valori desiderabili. È come se avessimo paura di ripartire dalla teologia nel senso squisito e di ripensare il nostro approccio al mistero fondante che è la Trinità, dove l’amore, la solidarietà, la condivisione, la comunione non sono valori etico-morali da raggiungere, ma sono la realtà fondante di ciò che teologicamente viene chiamata persona. Kallistos di Diokleia ha colto dal didentro la crisi verso la quale la nostra cultura, la nostra storia ci portano sempre più decisamente ed ha avuto il coraggio esemplare di ripartire dal mistero centrale della nostra fede. Proprio per la sua capacità comunicativa, egli rende fruibile in modo gustoso le grandi aperture che fanno respirare una visione dell’uomo organica, unitaria, divino-umana, dove la comunione è veramente l’ontologia dell’antropologia.
"In quanto mistero, l'essere umano non può mai essere 'definito'. Eppure c'è una via che ci permette di dire l'uomo, la via che Dio stesso ha preso per rivelarci chi siamo: il Figlio, Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Questo libro ha dunque scelto la via migliore per parlarci dell'uomo: partire da Cristo, dalla risurrezione per parlare dell'uomo, del corpo risorto. C'è un'antropologia che non parte da Cristo, ma dal fenomeno umano, e che per questo, senza rendere conto della fede nella risurrezione, inciampa nella questione del corpo, e dunque non garantisce l'unità di tutto ciò che è l'uomo" (dalla Presentazione).