Negli ultimi anni le democrazie occidentali sono apparse improvvisamente fragili e inadeguate di fronte all'assalto di forze spesso definite populiste o sovraniste, ma in ogni caso ostili al modello liberale. Se tutto ciò sta accadendo con ogni evidenza davanti ai nostri occhi, è spesso più difficile accorgersi di quanto avviene sul piano internazionale - e cioè sul delicato terreno dei rapporti tra Stati e nel quale ha avuto origine il disgregarsi del sogno di pace globale che la caduta del Muro di Berlino sembrava promettere. Con La grande illusione John Mearsheimer, uno dei maggiori esperti al mondo di relazioni internazionali, mostra infatti come alla fine della Guerra Fredda non abbia fatto seguito un "mondo nuovo", libero e unito, ispirato ai principi di un Occidente guidato dagli Stati Uniti d'America, bensì l'emersione di modelli alternativi in un contesto che ha rifiutato nettamente il progetto della egemonia liberale. "La grande illusione", uno studio approfondito, una disamina spietata e anche un appassionato appello al realismo politico, ripercorre la storia del crollo dell'edificio liberale, evidenziando gli errori anche tragici che sono stati commessi, ma che possono oggi essere di insegnamento per una convivenza globale più equilibrata. Introduzione di Raffaele Marchetti.
Gli occidentali sono abituati a dividere il mondo politico tra "buoni" - i governi democratici - e "cattivi" - i regimi autoritari. Eppure, nella Cina degli ultimi trent'anni, è emerso con forza un modello diverso, difficile da inserire in una di queste categorie, per struttura, funzionamento e tradizione. È quello della meritocrazia politica, che con la sua straordinaria efficienza e i suoi sorprendenti risultati sembra mettere a dura prova le nostre convinzioni: crescita economica costante, sempre maggiore prestigio internazionale, una macchina amministrativa efficiente sembrerebbero dimostrare che il modello cinese funzioni molto meglio di quelli ai quali siamo abituati. In questo studio già diventato un classico, Daniel A. Bell analizza a fondo il sistema politico cinese, mostrandone le incongruenze e i possibili limiti, ma evidenziando anche che la meritocrazia politica potrebbe rappresentare un'importante risorsa per la democrazia occidentale oggi in crisi. Intellettualmente provocatorio e ampiamente discusso come capita soltanto alle grandi opere, Il modello Cina rappresenta oggi un contributo di inestimabile valore al dibattito occidentale, e una lettura irrinunciabile per tutti coloro che si interrogano sulle sorti della democrazia. Prefazione di Sebastiano Maffettone.
L'intelligenza artificiale, fino a poco tempo fa confinata nei laboratori di ricerca, ha fatto negli ultimi anni il suo ingresso dirompente nella vita di tutti i giorni. Politici, businessmen e semplici cittadini sembrano esserne quasi ossessionati: le promesse di crescita e sviluppo che essa porta con sé sembrano infinite, e così le possibilità che ognuno degli innumerevoli ambiti di applicazione, sfruttando una tecnologia sempre più efficiente e pervasiva, diventi più affidabile, fluido e ottimizzato. Non mancano gli osservatori che segnalano come il fare affidamento su macchine capaci di performance molto migliori di quelle umane metta a rischio posti di lavoro e renda problematica la sopravvivenza di interi settori industriali: ma persino di fronte a una minaccia così concreta, spesso, ci si limita a formali richiami all'etica, come se brandire questo vessillo potesse fare da scudo supremo contro le deviazioni delle tecnologie digitali. Con "Critica della ragione artificiale", Éric Sadin mette a punto l'opera più compiuta e lucida del suo percorso di acuto critico delle nuove tecnologie, evidenziando come esse, presentate come semplici strumenti al nostro servizio, stiano invece erodendo le facoltà di giudizio e azione, ossia le capacità che più di tutte ci rendono umani. Sadin, recuperando in senso letterale il ruolo politico della filosofia, non sterile riflessione fine a sé stessa ma strumento in grado di decrittare la realtà allo scopo di servire la comunità, svela il retropensiero antiumanistico dei discorsi a sostegno dell'indiscriminato sviluppo tecnologico, e presenta una appassionata difesa dell'umanità - ossia di tutto ciò che dobbiamo tenere a mente e trasmettere ai più giovani se vogliamo evitare che lo stesso strumento che può garantirci prosperità e sviluppo si tramuti in terribile macchinario di oppressione.
L'Italia è in declino: da vent'anni a questa parte, ben poco sembra essere rimasto del Paese del "boom economico", erede ideale del precoce capitalismo delle città italiane che, come scrisse Fernand Braudel, furono capaci per alcuni secoli di "irradiare la propria luce" per tutto il mondo. Dopo aver registrato, nel primo decennio del Ventunesimo secolo, il più basso tasso di crescita al mondo, e aver attraversato la più lunga recessione dell'eurozona, l'Italia sembra destinata a perdere ulteriore terreno rispetto agli altri paesi avanzati. Ma cosa ha provocato questo declino? Cosa frena la nazione che fu teatro di una delle più formidabili vicende del capitalismo contemporaneo? Questo libro tenta un'indagine sistematica delle ragioni della "decelerazione" dell'Italia, mostrando come problemi risalenti anche a periodi lontani siano diventati vincoli per lo sviluppo proprio quando l'economia italiana si affacciò sulla frontiera della produttività, impedendole di completare l'evoluzione del suo modello di crescita. "Declino. Una storia italiana" propone un'originale interpretazione dei principali problemi dell'Italia, che parte dalla produttività dell'economia e giunge ai difetti del sistema politico, e la illustra mediante una rapida cavalcata attraverso la storia unitaria del Paese. Scorrendo le pagine di questo libro, il lettore vedrà sorgere e consolidarsi l'equilibrio politico-economico che, come una spirale, tuttora cinge la società italiana e ne comprime le potenzialità, e ripercorrerà le occasioni che l'Italia mancò per darsi un equilibro più equo ed efficiente. Tutto è dunque perduto? No: l'inversione di tendenza non sarà facile, ma è senz'altro possibile se il Paese sarà di nuovo capace di generare idee innovatrici e crederci. Prefazione di Gianfranco Pasquino.
"La società non esiste": era il 1987 quando Margaret Thatcher pronunciò queste celebri parole che, da allora, sembrano aver preso le sembianze di una profezia. La classe media, che ha assistito negli anni alla secessione delle élite - il "mondo alto" che ha abbandonato il bene comune facendo sprofondare i paesi occidentali nel caos -, si trova ora relegata ai margini del sistema economico, sociale e culturale. Delegittimati, sottorappresentati, costretti a vivere lontano dalle metropoli e, di fatto, dagli occhi e dal cuore di una classe dominante che non ne ha più bisogno, i ceti medi impoveriti possono trasformarsi in una pentola a pressione dove risentimento, frustrazione e rabbia rischiano di diventare qualcosa di ancora peggiore. L'ondata populista che attraversa oggi il mondo occidentale è solo la punta dell'iceberg di un malcontento che potrebbe presto mettere il "mondo di sopra" di fronte a un'alternativa: tornare a far parte del movimento reale della società oppure scomparire.
Nessuna creazione umana è eterna: le grandi opere, le istituzioni e persino le costruzioni politiche degli uomini sono destinate, un giorno, a sparire senza lasciar traccia di sé. Quello che però, spesso, dimentichiamo è che ciò riguarda anche la realtà a cui siamo abituati e l'Unione Europea, come l'Impero asburgico dissoltosi nel volgere di poco tempo dopo l'assassinio di Francesco Ferdinando, come l'Unione Sovietica che sembrava solida ai suoi cittadini nei giorni che ne precedevano il collasso, rischia oggi di essere vicina alla propria fine. Messa alla prova dalla sfida di nazionalisti e populisti, divisa su questioni cruciali come la crisi migratoria, contestata nei tratti salienti della propria ragion d'essere (la democrazia liberale, la libera circolazione di beni e persone), l'Unione è oggi vista con sospetto da molti dei suoi stessi cittadini ed è chiamata a rispondere alla minaccia esistenziale che si trova ad affrontare. Ivan Krastev, che ha vissuto sulla sua pelle il disfacimento del blocco comunista, non ha paura di svelare in questo libro le contraddizioni e le debolezze di un continente che, dalla fine della Guerra Fredda a oggi, è sembrato procedere in direzione inversa a quella che il 1989 sembrava promettere. "Gli ultimi giorni dell'Unione" è, al tempo stesso, una lucida analisi degli errori commessi e dei gravi pericoli che il futuro imminente porta con sé, e l'accorato appello a riconsiderare le proprie posizioni, mettendo in dubbio ciò di cui siamo più convinti, per non ritrovarci un giorno a fissare con occhi increduli le macerie di un sogno, quello dell'Europa "libera e unita", forse mai diventato del tutto realtà. Prefazione di Francesco Saraceno.
L'Italia, tra record negativo di nascite e rapido invecchiamento, è ormai un caso studiato ovunque nel mondo. La crisi demografica costringe a ripensare tutto: sviluppo economico, lavoro, welfare e politica estera. Questo libro racconta come siamo arrivati fin qui e come si può invertire la rotta. Prefazione di Piero Angela.
Viviamo anni di dissesti economici e finanziari, ma per fortuna lo studio della storia economica aiuta i leader politici a evitare errori già commessi in passato. Giusto? Sbagliato: questo libro mostra proprio come la negligenza dei policy makers e persino degli stessi economisti nello studio delle vicende economiche mondiali sia uno dei fattori dell'aggravarsi dei momenti di crisi. "La scienza inutile" ripercorre la lotta delle idee lungo tutta la storia del moderno pensiero economico, dalla Grande Depressione alla crisi attuale, fino ad arrivare alla politica economica di Donald Trump e ai deludenti e tardivi risultati del Jobs Act, dimostrando come i tanti interventi sbagliati a livello politico e istituzionale rientrino tutti all'interno di un ciclo di corsi e ricorsi storici che si ripetono più volte, e ogni volta peggio. Con un saggio di Martin Wolf.
Quasi tutto quello che sappiamo sulle persone è sbagliato. Perché? Il motivo è semplice: le persone mentono. Lo fanno sempre e comunque, con amici, parenti, partner e datori di lavoro, mentono alle ricerche di mercato, ai sondaggi elettorali e al medico, sono pronte a mentire perfino a loro stesse. C'è solo un luogo dove tutti si sentono completamente liberi, dove possono esprimere tutti i loro desideri, dove è possibile soddisfare ogni più strana e perversa curiosità: questo posto è Internet e il loro più fedele confidente sí chiama Google. Nell'era degli algoritmi ogni nostra azione in rete viene tracciata, registrata e analizzata. Google e i social network potrebbero, in qualunque momento, dirci chi siamo veramente. Illuminante, divertente, a volte scioccante, "La macchina della verità" di Seth Stephens-Davidowitz mostra che non c'è niente al mondo che possa farci scoprire in maniera così profonda ogni sfumatura dell'animo umano come la piccola barra rettangolare che abbiamo come confidente. Premessa di Steven Pionker, prefazione di Gianni Riotta.
Le istituzioni sociali - dalle norme costituzionali, al denaro, all'amicizia e ai rapporti personali - regolano il nostro comportamento in qualsiasi contesto. Sono un elemento essenziale della vita umana, addirittura più importante delle risorse naturali: un gruppo ben organizzato può prosperare in un ambiente ostile, mentre una società mal gestita può andare in rovina anche in un ambiente ricco e fertile. Ma cosa sono, in realtà, le istituzioni? Questo libro mostra che non sono altro che credenze e che sono, peraltro, piuttosto precarie: quando Mario Draghi, al culmine della crisi europea, dichiarò pubblicamente che la BCE avrebbe fatto "tutto il necessario" per risolvere la crisi, queste parole da sole furono sufficienti a tranquillizzare i mercati. Vent'anni prima, nell'agosto del 1991, Boris Eltsin venne ripreso dalla tv russa mentre arringava la folla stando in piedi su un carro armato: questa immagine convinse i cittadini che i generali avevano fallito il colpo di stato, e lo fece fallire veramente. Attraverso una serie di esempi e fatti concreti, Francesco Guala offre una nuova teoria su cosa sono le istituzioni sociali, come funzionano, e cosa possano fare per noi. Prefazione di Mario De Caro.
È stato detto che la democrazia sia la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre fin qui sperimentate. Ma se la concezione relativistica dei regimi democratici come "male minore" appare in molte analisi e teorie moderne, da Machiavelli a Sartori, passando per Weber e Schumpeter, nessuno prima di Jason Brennan aveva sottoposto a un processo altrettanto spietato la "miglior forma di governo possibile". A giudicare dai risultati, infatti, il regime che dovrebbe garantire a tutti i cittadini il diritto di essere guidati da leader competenti e capaci di prendere decisioni ponderate, somiglia troppo spesso al regno dell'irrazionalità e dell'ignoranza: molti elettori compiono le loro scelte sulla base dell'emozione o del pregiudizio, non conoscendo neanche, in numerosi casi documentati, la forma di governo vigente o addirittura i nomi dei leader in carica. Inoltre, come dimostra Brennan, che rivolge la sua critica sia alla democrazia rappresentativa che a quella deliberativa, la partecipazione politica tende a rendere le persone peggiori - più irrazionali, arrabbiate e cariche di pregiudizi. Quale alternativa abbiamo, allora? Come superare gli inconvenienti della democrazia se non vogliamo esporci ai rischi che comporterebbe la concentrazione del potere nelle mani di pochi? La proposta di Brennan è di sperimentare una forma di governo "epistocratica" che sia compatibile con parlamenti, elezioni e libertà di parola, ma distribuisca il potere politico in proporzione a conoscenza e competenza. Prefazione di Sabino Cassese. Con un saggio di Raffaele De Mucci.
L'equità è un concetto polisemico, allude all'idea dell'uguaglianza e dell'equilibrio che devono regnare nel mondo degli uomini. Questo lavoro prosegue un itinerario di conferenze e laboratori, giunto alla sua quarta edizione, che ha avuto come obiettivo la ricerca dell'ottimizzazione dell'esercizio pratico della giustizia, in particolare di quei criteri che, nei moderni ordinamenti sociali, possano renderla umanamente efficace e orizzonte perseguibile di bene comune. L'obiettivo primario è quello di evitare, attraverso pratiche concrete di epikéia, e cioè di duttilità, che il summum ius si qualifichi come stimma iniuria, così da promuovere un'idea di giustizia sempre più lontana dal mero legalismo, e più vicina alla tutela delle relazioni positive e costruttive, parte attiva di una società dove ognuno si senta valorizzato, incoraggiato e incluso. Gli autori lo ritengono un vero antidoto, valido in ogni tempo, per motivare i giovani a dedicarsi con passione, energia e impegno a coltivare la straordinaria risorsa delle relazioni umane.