In un mondo in cui ogni giorno si alzano nuovi muri e lo scontro politico si fa sempre più acceso, un nemico comune unisce destra e sinistra, populisti e democratici, reazionari e progressisti. Che siano le aziende a delocalizzare, l'«immigrazione selvaggia», la precarietà del lavoro o il diffondersi del virus Ebola, il libero mercato, il capitalismo o, nella sua definizione più abusata, il «neoliberismo» è il capro espiatorio perfetto per tempi confusi, l'elefante nella stanza che tutti, quando ce n'è bisogno, additano. A livello sia mediatico sia politico, il pregiudizio verso questo presunto ordine mondiale dipinge una realtà governata in segreto da una Spectre di economisti responsabile della distruzione di ogni garanzia sociale e di aver arricchito una ristretta cerchia di speculatori senza scrupoli, a scapito del novantanove percento del mondo. La soluzione per ovviare a queste tragedie sarebbe sempre la stessa: più leggi, più controlli, e quindi più Stato. Per sfatare la presunzione di chi pretende di saperne di più di milioni di persone che ogni giorno comprano e vendono beni e servizi, Alberto Mingardi ridimensiona il mito del mercato pervasivo e tirannico, e ripercorrendone la sua vera storia mostra come in realtà, nell'ultimo decennio, di politiche neoliberiste ce ne siano state meno di quanto si crede. Il che è paradossalmente un problema: è a quel poco di neoliberismo, infatti, che dobbiamo crescita e prosperità.
«Stop all'austerity» è lo slogan da anni sulla bocca di tutti: politici - al governo e all'opposizione -, giornalisti, economisti. L'intento è sempre lo stesso: far passare il messaggio che le misure d'austerità siano fallaci, e addirittura dannose, per conquistare facili consensi. Risolvere la crisi sarebbe a portata di mano, basterebbe tornare a spendere risorse pubbliche, riappropriarsi della sovranità. Ma è davvero così? E, soprattutto, il rigore è stato realmente applicato in questi anni in paesi come l'Italia o la Francia? Veronica De Romanis sgombra il campo dai pregiudizi smontando tutti gli argomenti contro l'austerità, riassumibili nei sei aggettivi che spesso l'accompagnano: eccessiva, recessiva, imposta, ingiusta, inutile e responsabile dell'ascesa di forze populiste. Con esempi concreti e dati alla mano, l'autrice ne mostra i due volti. L'austerità «buona», nelle parole di Mario Draghi, «prevede meno tasse e una spesa concentrata su investimenti e infrastrutture», fa crescere e infatti non ha impedito ai leader che l'hanno praticata di vincere, come in Lettonia e nel Regno Unito, o di ottenere la maggioranza dei voti, in Portogallo e in Spagna. Quella «cattiva», al contrario, privilegia l'aumento delle tasse a scapito di tagli della spesa improduttiva e può alimentare il populismo. Una lettura utile per capire se l'Europa è stata davvero «rovinata dall'austerità», come ebbe a dire Alexis Tsipras, o se questa non rappresenti invece un'occasione per una politica che voglia combinare al meglio responsabilità verso le nuove generazioni e solidarietà verso i soggetti più deboli. Un passaggio necessario, soprattutto per un'economia quale quella italiana, dove il debito dello Stato è percepito come un numero privo di significato, ma è invece una pesante ipoteca sul futuro dei giovani.
È diffusa la convinzione che all'origine dei problemi economici di questi anni ci sia una generale mancanza di principi etici, che dovrebbero invece orientare le dinamiche e gli scopi del mercato. Per porre fine al disordine sarebbe quindi sufficiente ripristinare la funzione originaria che, secondo tale visione, esso dovrebbe svolgere: il perseguimento del bene comune. Così esposto, il ragionamento sembra fondato e persino scontato. La realtà è ben diversa. Come dimostra Paolo Del Debbio in questo libro, basta porsi alcune semplici domande per far emergere le molte contraddizioni che si nascondono dietro un'apparente e seducente ovvietà. I disastri finanziari, l'assenza di un accordo sulla gestione dell'emergenza ambientale e di interventi efficaci nella lotta alla povertà sono frutto dei meccanismi perversi del mercato o forse dell'inadeguatezza dei pubblici poteri? A un'attenta osservazione il richiamo all'etica si rivela infatti un alibi per coprire le responsabilità di chi non compie il proprio dovere. Docente di Etica ed economia all'Università Iulm di Milano, Del Debbio costruisce un percorso che, partendo dalle origini della questione etica in economia, conduce all'analisi di alcuni tra i più recenti modelli e argomenti proposti per affrontarla (Stiglitz, Bergoglio, Latouche, Piketty, Deaton). In particolare, l'autore si interroga sulla possibilità di stabilire un'etica dei diritti.
Imprenditrice partenopea giramondo che conobbe per la prima volta l'Asia da giovanissima, Stefania Tucci riavvolge la pellicola di un quarto di secolo di viaggi in alcuni dei luoghi più affascinanti della terra. Il suo taccuino tiene meticolosamente traccia dei profondi cambiamenti che hanno attraversato e continuano tuttora a sollecitare questo continente carico di enigmi, dove milioni di individui si sono riscattati dalla condizione di povertà assoluta inseguendo il mito del benessere dischiuso dal capitalismo occidentale. L'occhio dell'autrice indaga curioso l'umanità varia e assortita che incrocia: dall'imprenditore all'autista, dall'artista al bagnino, fino a espatriati europei in cerca di un nuovo Eldorado, sono tutti fili che si intrecciano nella trama sapiente di questo libro.
La Chiesa e le sue finanze: questo binomio, di per sé contraddittorio, fonte di frequenti scandali e causa di lotte di potere, è stato al centro dell'attività riformatrice di papa Francesco nei primi due anni di pontificato. Del resto, in un arco relativamente limitato di tempo - dal 2009 al 2015 - si sono susseguiti molti degli eventi chiave che hanno portato a cambiamenti senza precedenti: la Santa Sede prima ha attraversato momenti di conflittualità e di crisi drammatici, poi si è incamminata su una strada di riforme non ancora conclusa e che sta adesso entrando nel vivo. Fra cronaca, retroscena, analisi e riflessioni, il libro racconta la svolta nella gestione e nell'organizzazione delle finanze vaticane, già cominciata con il pontificato precedente e proseguita dopo l'elezione di papa Francesco. Molti gli interrogativi e i nodi da sciogliere: in che misura la riforma finanziaria del Vaticano è stata imposta dall'esterno alla Santa Sede? Quali i "poteri forti" coinvolti in questo processo? Che ruolo hanno avuto le multinazionali esperte in antiriciclaggio e gestione finanziaria? Quanto ha pesato quest'insieme di fattori nel determinare le dimissioni di Benedetto XVI? Ancora, perché sta finendo il potere italiano nella Curia e nel papato? Infine, riuscirà Bergoglio a coniugare la sua idea di una Chiesa "povera per i poveri" con la trasparenza?
Il volume presenta una "nuova storia economica" dell'Italia nei primi 150 anni di unità nazionale. Attraverso ua visione ampia dei successi e dei ritardi delle imprese italiane, dei lavoratori, dell'azione pubblica nel rispondere alle sfide del mutamento economico internazionale, il libro delinea le ragioni dell'attuale insoddisfacente risposta dell'economia Italiana alla "seconda globalizzazione". La prospettiva storica è essenziale per afferrare le debolezze presenti, come il divario Nord-Sud, il basso livello di capitale umano, il fragile sistema d'innovazione e l'inefficienza della pubblica amministrazione. Gli ultimi vent'anni di stagnazione rivelano radici antiche, i recenti shock aggravano i problemi irrisolti.
Cosa possiamo fare noi - cittadini-attivi, consum-attori, società civile - per evitare gli sprechi di cibo, acqua, energia? Come possono le imprese prevenire perdite e inefficienze che comportano impatti economici, ambientali e anche sociali assai negativi per tutta la collettività? Cosa dovrebbero fare i nostri amministratori locali e la politica nazionale ed europea per promuovere una società che metta al bando gli sprechi a trecentosessanta gradi: non solo alimenti, acqua ed energia ma anche rifiuti, mobilità e logistica, acquisti e forniture, comunicazione... ? Come potrebbero intervenire le istituzioni internazionali per promuovere un modello di produzione e di consumo che consenta di risparmiare e rinnovare le risorse naturali limitate? Andrea Segrè tratteggia in questo libro un orizzonte che porta concretamente alla progressiva riduzione del consumo di risorse naturali e le emissioni nell'ambiente mediante il controllo e la prevenzione delle attività pubbliche e private. Una nuova visione nel rapporto fra ecologia ed economia, dove la seconda - letteralmente "l'amministrazione della casa" è parte integrante della prima: la nostra grande casa, il mondo. Ma anche una vetrina di buone pratiche - in parte già esistenti come il Last Minute Market - che se replicate su scala nazionale ed europea porteranno a una società più giusta e responsabile, equa e solidale e soprattutto sostenibile rispetto ai bisogni e ai diritti dell'umanità.
Molte cose sono cambiate da quando Angela Merkel, l'ex "ragazzina" di Kohl, al suo primo mandato, governava a capo di una grande coalizione. Oggi tutta l'Europa deve fare i conti con la peggiore crisi economica e finanziaria dal dopoguerra e la Germania, che l'affronta in una posizione di forza, viene messa sul banco degli imputati, accusata di non essere sufficientemente solidale. Sentimenti nazionalistici e pregiudizi antitedeschi riemergono, con la complicità di una stampa internazionale che parla alla "pancia" dei cittadini europei, mentre spesso trascura di fornire un quadro chiaro delle dinamiche in corso. Dopo aver raccontato per prima, nel 2009, la leader che si apprestava a essere eletta al suo secondo mandato, in questo libro Veronica De Romanis, forte di una profonda conoscenza della realtà tedesca, offre una chiave di lettura alternativa degli eventi che hanno portato la cancelliera a subire un così radicale cambio di immagine: da donna "più potente del mondo" a "più criticata", quando non addirittura odiata. Partendo dagli errori che da più direzioni vengono attribuiti ad Angela Merkel, il libro mette in luce i punti chiave della sua strategia per affrontare la crisi, le ragioni da cui ha origine e gli ostacoli che ha dovuto fronteggiare, non ultimi i vincoli istituzionali interni e un'opinione pubblica tedesca sempre più riluttante verso i salvataggi degli stati che non hanno rispettato le regole e non hanno fatto le riforme.
Lo strapotere dell'economia di mercato - sostiene Alberto Mingardi - è solo apparente. In realtà nelle nostre vite c'è ancora troppo Stato e troppo poca concorrenza. La crisi di questi anni testimonia proprio l'inevitabile epilogo di una storia fatta di dirigismo e continui interventi che turbano quell'infinita ragnatela di liberi scambi fra persone che è il mercato. Questo libro giunge a smentire i pregiudizi e a rompere gli indugi presentandoci il mercato come non l'abbiamo mai visto: l'esito, ovviamente sempre imperfetto, della libera interazione di milioni di individui, la sorgente ultima di ogni innovazione, l'unica palestra possibile per la libertà degli esseri umani. In quest'ottica se ne descrivono i protagonisti, ciascuno con le proprie peculiarità, si evidenziano gli errori concettuali e i pericoli di regolamentazioni asfissianti. Ostacolare o limitare la libertà del mercato significa togliere alle persone la possibilità di manifestare la loro libertà di farsi scegliere e ha un costo implicito: sono i prodotti e i servizi che non potremo sperimentare, che a nostra volta non ci sarà dato di poter scegliere. Lasciare spazio all'imprevisto, invece, rende. Per questo - dice Mingardi - "varrebbe la pena di rinunciare alle spiegazioni semplificanti, al divorante bisogno di un ordine sovrimposto che abbia il pregio di risultarci immediatamente chiaro sulla carta. La chiarezza del progetto non garantisce la bellezza dell'esito".
Il lobbying, se ben fatto, può essere utilissimo: aiuta a scrivere leggi migliori, contribuisce a sentire campane diverse, serve a decrittare tortuosi giri di parole e circolari marziane. I sospetti e le accuse che si concentrano sui lobbisti oggi in Italia derivano dall'assenza di norme generali. A una martellante campagna mediática in negativo non corrisponde un eguale sforzo di regolazione. Questo libro getta nuova luce sull'attività di lobbying e su coloro che la praticano, e svela quali sono realmente gli ostacoli che impediscono anche al nostro Paese di dotarsi di una legislazione adeguata. Un'analisi chiara che culmina nella formulazione di proposte concrete per assicurare la correttezza delle informazioni disponibili e mantenere la fiducia del pubblico nelle istituzioni. Prefazione di Mario Sechi.
Risultato del compromesso tra la prepotenza statale, la mania di spesa dei governanti e la vanità che spinge a consumare beni inutili, il capitalismo si manifesta oggi nel suo esito cinese e omologante. Con l'autonomia di giudizio e la libertà d'intelletto che lo contraddistinguono, Geminello Alvi si cimenta nell'impresa di una nuova definizione del capitalismo. Capitolo conclusivo della trilogia iniziata con "Le seduzioni economiche di Faust" e "Il secolo americano", il libro prende le mosse dalla crisi del 2008 e dall'ambigua posizione dell'economia cinese per tracciare le vicende delle varie spiegazioni e restituzioni del capitalismo, gli errori e gli abbagli, e giungere a una descrizione opposta a quella marxista. Dopo averci mostrato perché il Novecento è stato "il secolo americano" e averne messo a nudo i tratti della storia segreta, Alvi ci guida attraverso la lettura di un percorso storico che sembra, inevitabilmente, condurci verso "l'ideale cinese". E spiega perché il dono debba tornare a essere elemento centrale della vita economica.
Molto si discute di capitalismo ma raramente ci si domanda cosa sia il capitale. Perché? Si tratta di un concetto che non si lascia afferrare, e disorienta mutando continuamente forma. Tuttavia, affrontarlo è un passaggio obbligato per capire l'economia moderna. La tesi di questo libro è che si possa pensare il capitale come un mezzo oppure come un fine. Nel primo caso esso acquista una valenza sociale, nel secondo risulta svuotato di ogni istanza di giustizia. Boldizzoni ripercorre la storia di una dicotomia che ha lacerato l'Occidente dal Rinascimento ai nostri giorni istituendo una relazione sistematica tra la dimensione intellettuale e le trasformazioni materiali e culturali di scenario. L'altalena delle grandi potenze: dalla Spagna degli Asburgo alla Francia di Luigi XV, dall'Inghilterra vittoriana alla Germania del Terzo Reich, entra in gioco con un peso a volte decisivo nello spiegare il successo o la sfortuna di ciascuna visione teorica. La centralità dell'Europa rispetto a questo dibattito viene bruscamente meno con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Un'analisi disincantata del primato culturale degli USA nei successivi decenni apre uno scorcio imprevedibile sulla crisi del pensiero economico contemporaneo.