L'umanità si trova a un bivio. Le crescenti disuguaglianze, l'acuirsi della violenza a livello politico, i fondamentalismi in conflitto e una crisi ambientale di proporzioni planetarie rappresentano l'attuale scenario cui far fronte. Come modellare un mondo che abbia spazio per tutti, incluse le generazioni future? Quali le possibilità per un vivere collettivo? A queste urgenti questioni cerca di rispondere l'antropologia, mettendo in campo la saggezza e l'esperienza delle persone, indipendentemente da background e percorsi di vita. L'autore ripercorre le tappe di sviluppo di questo campo di studi; nato per supportare gli ideali del progresso, crollato tra le rovine della guerra e del colonialismo, rinasce oggi come disciplina della speranza, destinata ad assumere un ruolo centrale nel dibattito sulle impellenti questioni intellettuali, etiche e politiche contemporanee. Con appassionate argomentazioni, Tim Ingold dimostra perché l'antropologia è importante per tutti noi.
Il riconoscimento è diventato una parola chiave del nostro tempo, fondamentale per concettualizzare le lotte contemporanee sull'identità e la differenza. Che si tratti di rivendicazioni territoriali degli indigeni, di matrimonio omosessuale o di velo islamico, i filosofi morali utilizzano sempre più il termine per ricostruire le basi normative delle rivendicazioni politiche. Meno investigato rimane il suo rapporto con il paradigma della giustizia distributiva: le lotte intorno alla religione, alla nazionalità e al genere, nonché le crescenti disuguaglianze economiche impongono ai filosofi della politica di oggi di affrontare tale relazione. E proprio questo è lo scopo del libro, scritto a quattro mani da due dei principali pensatori contemporanei.
Un antropologo studia sul campo una strana tribù: i bambini di una scuola dell'infanzia. In particolare, cerca di capire come questi utilizzino spontaneamente e per i propri scopi uno strumento di comunicazione a loro congeniale, il disegno. Evitando estetiche primitiviste e valutazioni psicologico-cognitive, l'analisi fa emergere, con uno sguardo relativista, come i bambini attraverso il disegno agiscano in modalità peculiari, con precise intenzioni, nel loro mondo sociale: comunicare la propria identità, mettersi in relazione con il contesto, dare vita a giochi che nascono nell'immagine, negoziare e stabilire relazioni sociali. Per cogliere quindi il significato di un disegno è necessario valutarne le condizioni di produzione e comprenderne l'uso all'interno del gruppo. In questo testo, si propone una selezione di strumenti interpretativi per analizzare la complessità e il significato del disegno infantile colto nel suo stato "selvaggio".
Bisogna rifondare i presupposti su cui si regge una città. E ogni rifondazione richiede un nuovo patto sociale, un nuovo modello di società. Del disastro urbano in corso negli ultimi decenni non sono colpevoli direttamente gli architetti o gli urbanisti, si tratta di una crisi di civilizzazione. La nozione di decrescita soccorre questo vuoto di prospettive: un'uscita dal valore, di cui il PIL, volto statistico dell'obbligo della crescita sociale secondo i parametri della produttività, ne è l'immagine perversa più propagandata. Con questo agile e graffiante pamphlet, il teorico della decrescita Latouche e Marcello Faletra smontano l'ideologia di un capitalismo che si fa estetico, vettore di controllo sociale attraverso la cultura. L?architettura contemporanea, con le sue spettacolarità, è smascherata come l?espressione più visibile dell'economia globale, uno spazio governato dai flussi finanziari privati.
"La società automatica" risponde politicamente e teoreticamente alle previsioni di un'eclissi dell'impiego salariato in Europa causata dall'automatizzazione generalizzata della produzione. La sua risposta, tuttavia, si estende anche alla crisi finanziaria, alla decadenza dei saperi, al potere dei big data, allo sfruttamento 24/7 delle facoltà cognitive e alle innovazioni dell'intelligenza artificiale, così come all'emergenza ecologica relativa al cambiamento climatico. Di fronte a questo scenario, Stiegler invita a concepire una società automatica degna di tali sfide, ossia in grado di adottare criticamente l'automatizzazione con il fine di salvaguardare e potenziare quel che non è calcolabile e non deve essere automatizzato: i saperi, gli affetti, il desiderio e le relazioni, vale a dire ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta.
Il genocidio non è prerogativa dei soli Stati autoritari. Tenendo costantemente in tensione analisi concettuale e indagine storiografica, "I dannati senza terra" ricostruisce, nelle sue inquietanti sfaccettature, la storia della catastrofe indigena perpetrata dalle "democrazie" occidentali: dagli Stati Uniti al Canada, dall'Australia alla Nuova Zelanda. Veri e propri genocidi, realizzati per mezzo di politiche eliminazioniste di natura fisica, biologica e culturale: dal massacro all'assimilazione coatta, passando per la sterilizzazione eugenetica. Ne emerge un quadro al tempo stesso commosso, provocatorio e rigoroso, che intende restituire dignità alle vittime dimenticate e rispondere alla sfida lanciata dal revisionismo storico e al suo tentativo di cancellare i crimini più efferati dell'Occidente.
"Cari zingari, cari nomadi, cari gitani, venuti da ogni parte d'Europa, a voi il nostro saluto." Con queste parole il 26 settembre 1965 papa Paolo VI inizia il suo discorso in un grande raduno che viene considerato oggi il punto di partenza per nuove strategie pastorali verso rom e sinti. Il libro analizza il modo in cui la Chiesa cattolica contribuisce alla metamorfosi dei "nomadi" nell'Italia (e in parte nell'Europa) della seconda metà del Novecento attraverso quelle nuove strategie pastorali. Si tratta di strategie che portarono decine di preti, suore e laici a vivere con i "nomadi" in nome della condivisione in Cristo, che svilupparono un'editoria cattolica rivolta ai "nomadi" o riguardante i "nomadi", che favorirono la traduzione in romanes di testi ezvangelici e liturgici e che portarono agli onori degli altari, per la prima volta nella storia, un "nomade". Ma le strategie pastorali non appaiono sempre omogenee e concordi all'interno della Chiesa, né nei rapporti con i "nomadi", né nei rapporti con le autorità diocesane e parrocchiali. Partendo dalle esperienze etnografiche dell'autore, il volume analizza tali rapporti, tenendo in considerazione le storie di vita di singoli missionari e attivisti religiosi che hanno vissuto per decenni nei campi nomadi o nei quartieri rom della Penisola.
Il volume, attraverso un caso di ricerca-azione, illustra i temi dell'etnografia della scuola, dell'approccio interdisciplinare all'educazione alla complessità e allo sviluppo delle competenze individuali, e offre strumenti teorici e metodologici per affrontare le questioni della diversità e dei processi interculturali, così centrali nella scuola di oggi. Con preciso riferimento alla recente normativa ministeriale, il volume intende servire da strumento di formazione per i docenti di tutte le classi di insegnamento, fornendo conoscenze e competenze metodologiche per la promozione della cittadinanza attiva e dell'interculturalità come esperienza di relazione. Il libro racconta come, attraverso strumenti quali l'antropologia applicata, il design partecipativo, le tecnologie digitali e le "geografi e del quotidiano", i partecipanti al progetto di ricerca-azione Sguardi Oltre abbiano potuto considerare in modo nuovo e trasformativo il problema pressante e ubiquo delle discriminazioni multiple e del bullismo, e comprendere i processi relazionali, affettivi e socioculturali che li sottendono.
In questo libro Jeffrey C. Alexander sviluppa un'originale teoria sociale del trauma, utile a comprendere i processi culturali e simbolici che generano il dolore collettivo e i conflitti attorno alla sua interpretazione. Gli eventi, anche i più nefasti, non sono traumatici in sé: lo diventano attraverso sofisticati processi di interpretazione e rappresentazione collettiva che - a partire dalle vittime e, nei casi più riusciti, fino all'intera umanità - costruiscono culturalmente i traumi. Attraverso l'analisi di casi emblematici come quello dell'Olocausto e casi meno noti come le battaglie per la spartizione di India e Pakistan o il massacro di Nanchino, Alexander mette in evidenza come ogni trauma sia costantemente mediato dalla capacità persuasiva degli attori e dalle strutture di potere in cui gli eventi accadono.
Quali interessi si muovono dentro al macromondo della beneficenza in Italia? È possibile descrivere quei meccanismi che legano il lavoratore al proprio posto di lavoro in un rapporto di fidelizzazione perversa, a fronte di guadagni e tutele quasi inesistenti? Zoe Vicentini, con questa coraggiosa ricerca, ci mostra il funzionamento della piramide del dono; ci mostra dove vanno davvero a finire i soldi raccolti nei quartieri così detti "qualificati" della città e attraverso quali trucchi di marketing i dialogatori riescono a convincere migliaia di persone a sostenere un progetto umanitario. Frutto dell'esperienza diretta dell'autrice (per diverso tempo collaboratrice di una onlus), "Viaggio al termine delle onlus", senza rinunciare al rigore della ricerca etnografica, seziona il business della beneficenza, svelandone le ipocrisie e le logiche di sfruttamento.
"L'artista [...] è incaricato del compito di creare un'immagine atemporale e distaccata, in contatto con il cielo piuttosto che con l'umanità, un'immagine in grado di rispecchiare, come attraverso un riflesso diretto, il suo divino o santo archetipo e, inoltre, di servire come veicolo di forze divine, come ricettacolo della divina sostanza. Autosufficiente in relazione allo spettatore, l'immagine deve allo stesso tempo configurarsi in modo "aperto" nei confronti del cielo. Ciò che l'artista è chiamato a creare è un guscio, privo di forma e di senso in quanto tale, pronto a ricevere potenza • vita dall'alto, dallo Spirito Santo che lo coprirà della sua ombra, dalle entità celesti che vi eleggeranno la propria dimora."
"Islam" e "musulmani" sono temi ormai sempre più attuali nei dibattiti pubblici in Europa, in grado di generare un forte impatto emotivo, anche e soprattutto in Italia. L'autore in questa ricerca propone un'analisi ragionata sull'impatto e sul significato della presenza delle comunità islamiche nella città di Roma, cercando di rispondere ad alcune domande: da quali Paesi provengono i musulmani presenti nella Capitale? Quanti sono? Come si ridistribuiscono all'interno del territorio romano? Quale impatto socio-urbano produce la minoranza religiosa islamica sulla città? Il quadro che ne emerge è quello di un "piccolo" Islam su scala, multietnico e multinazionale, composto da oltre centomila soggetti e quaranta nazioni: una comunità di fedeli, la "umma", molto eterogenea a causa di fattori etnici e culturali. La presente ricerca mira a fornire al lettore una "bussola" su un tema complesso, che coinvolge aspetti sociali, urbanistici, religiosi e identitari.