Questo saggio è il manifesto di un gigantesco progetto transdisciplinare di filosofia e antropologia della complessità. Edgar Morin sostiene che bisogna porre fine alla riduzione dell'uomo a homo faber e homo sapiens. Homo, che apporta al mondo magia, mito, delirio, è dotato nello stesso tempo di ragione e sragione: è sapiens-demens. Rifiutando una concezione ristretta e chiusa della vita (biologismo), una concezione insulare e sopra-naturale dell'uomo (antropologismo), una concezione che ignora la vita e l'individuo (sociologismo), Edgar Morin delinea una concezione complessa dell'uomo come a un tempo specie, società e individuo. È una visione radicalmente ecologica della nostra condizione terrestre, che raccoglie la sfida di inventare una nuova immagine dell'umano, nell'avventura spaesante dell'era planetaria.
Quanto si può imparare dell'esistenza in cento anni? Edgar Morin ha attraversato gran parte del Ventesimo secolo e ancora oggi continua a solcare il Ventunesimo come un marinaio del pensiero. Nato a Parigi nel 1921 da famiglia ebrea sefardita originaria di Salonicco, il filosofo e sociologo francese ha condiviso con gli altri esseri umani peregrinazioni e speranze, crisi e turbamenti di una fase storica senza precedenti. Questo libro custodisce uno straordinario patrimonio di esperienze, riflessioni e incontri. La testimonianza unica di un intellettuale che non ha mai separato la sua opera dalla sua vita, la sua riflessione teorica dal suo impegno per i popoli.
Trasmettere l'eredità è un atto di consegna del Padre, atto che esige fedeltà al mandato ricevuto, in un mondo che ci addestra a un godimento senza freni e senza limiti, con il dovere di comprare secondo l'imperativo di mercato. Particella vagante, il soggetto si sfalda nell'anonimato perché la contemporaneità ha smarrito la funzione del Padre, con effetti decostruttivi operanti nella lingua, nella politica, nell'economia e nel sociale. Queste sono le conseguenze visibili di una crisi che parte da lontano e che si può definire con le parole dell'autrice "l'evaporazione del Nome-del-Padre".
La fiducia è ogni giorno analizzata, desiderata, prescritta sia nelle relazioni interpersonali che nei contesti macrosociali. È tanto più invocata quanto più sembra mancare. Non è facile però definire se la fiducia sia un tema inflazionato o se resti una dimensione sfuggente, di difficile definizione e collocazione. Il rischio è che normalmente si attribuisca l'etichetta "fiducia" a dinamiche, situazioni, atteggiamenti molto diversi tra loro. Il volume esplora la fiducia come dimensione emergente nelle relazioni interpersonali e si propone di comprendere attraverso quali processi dialogici si possano costruire identità/vite buone a livello personale, familiare e comunitario. In altre parole: quali fattori permettono la costruzione di legami di reciprocità, di impegno comune, di cooperazione, di significati condivisi, in famiglia e nella comunità?
Zygmunt Bauman, il pensatore della modernità liquida, si è spento il 9 gennaio 2017, lasciandoci una mole sterminata di libri, articoli, lezioni, appunti e interviste che continuano a essere pubblicati e ripubblicati con inesauribile interesse. Queste confermano la complessità del suo pensiero, non riducibile alla sola idea della liquidità, che pure è stata la sua intuizione più felice e di più vasta risonanza mediatica. Questo volume a cura di Carlo Bordoni raccoglie una serie di contributi critici di Massimo Arcangeli, Peter Beilharz, Andrea Borghini, Vanni Codeluppi, Luca Corchia, Gustavo Dessal, Maria Caterina Federici, Per Bjørn Foros, Chiara Giaccardi, Michael H. Jacobsen, Aleksandra Jasi n'ska-Kania, Carmen Leccardi, David Lyon, Mauro Magatti, Gerardo Pastore, Rein Raud, Keith Tester, Arne Johan Vetlesen, Jerzy J. Wiatr e un inedito dello stesso Bauman.
Per chi e perché lavoriamo? Perché sacrifichiamo così tante energie in un’attività che spesso ci porta a vivere tante ore lontano dalla famiglia, dagli amici, dalle nostre passioni? Vivendo in contatto quotidiano con persone che hanno perso il lavoro e che si trovano in condizioni socio-economiche di marginalità, non posso che affermare che lavoriamo per la dignità, per non sprofondare nella miseria, per non perdere il diritto di partecipare attivamente alla vita sociale ed economica. Le persone escluse da molto tempo dal mondo del lavoro o che non hanno mai lavorato e non riescono ad entrare nel mondo del lavoro, si trovano in una situazione assurda e dolorosa: vivono in una Repubblica “fondata sul lavoro” dove la partecipazione attiva alla vita sociale passa necessariamente attraverso un reddito fornito dal lavoro ma loro sono escluse da tutto questo perché afflitte dalla peste del non lavoro. Un cittadino che non lavora non riesce a vivere pienamente la sua cittadinanza. Vive senza un fondamento civico che lo rende riconosciuto e riconoscibile. Non ha un posto, non ha un impegno che lo rende visibile agli occhi della società. Sostenuto quasi unicamente dalle politiche di welfare può anche sprofondare in una passività priva di uscita. In una progressiva perdita di dignità che è disumana. Senza un lavoro dignitoso, sensato, necessario, ben retribuito, non ci sarà dignità per tutti. È questa la chiave di volta nella fase di rapida trasformazione sociale che stiamo attraversando. Ma è veramente possibile realizzare una condizione di piena occupazione in una società come la nostra? Possiamo costruire le basi per una nuova condizione socio-economica mantenendo inalterati gli attuali rapporti di produzione?
Pietro Piro (Termini Imerese 1978) sociologo. Ha lavorato come ricercatore e come educatore sociale e culturale in diverse istituzioni per la realizzazione d’interventi di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. I suoi più recenti contributi sono: Desiderio di volti. Scritti d’occasione (2017); Auschwitz è ancora possibile? Temi e argomenti per un pensare civile (2016); La comunità dei virtuosi. Una sfida al conformismo sociale (2016).
Attraverso prospettive che attingono alle varie anime delle scienze sociali, e prevalentemente dalla geografia umana, il volume analizza come i turisti e le loro pratiche di consumo di oggetti, cibi e servizi trasformino i luoghi e le strategie di sviluppo dei territori. Molti spazi geografici sono infatti prodotti e plasmati in profondità da questi fenomeni. Non a caso numerose strategie di promozione del territorio in Europa si basano oggi proprio sulla costruzione di marchi e immaginari che mescolano merci e paesaggi, idee di autenticità e geografie del consumo transnazionali. In questo scenario, si avanza la tesi che la promozione turistica dei luoghi possa essere intesa non solo come costruzione di politiche istituzionali sollecitate dall’alto, ma anche come un insieme di strategie complesse che consentono la “messa in scena” di performance da parte di un’ampia gamma di attori, inclusi i turisti.
Chiara Rabbiosi, ricercatrice, è nata a Milano nel 1980. Si occupa delle relazioni tra società e territorio con particolare riferimento alla rigenerazione urbana e agli spazi del turismo e del consumo, privilegiando metodologie di ricerca qualitative e partecipative. Dopo aver frequentato un dottorato interdisciplinare in Studi Europei Urbani e Locali, ha svolto attività didattica e di ricerca in Italia e all’estero presso diverse istituzioni, tra cui l’Institut de Recherche et d’Études Supérieures du Tourisme dell’Università Paris I Panthéon Sorbonne, il Dipartimento di Geografia dell’Università di Sheffield, e l’Accademia Estone di Belle Arti di Tallin. Dal 2012 lavora nel campus di Rimini dell’Università di Bologna presso il Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita, dove collabora anche alle attività del Centro di Studi Avanzati sul Turismo.
Dalla fine delle “grandi narrazioni” teorizzata da Lyotard alla liquefazione della società indicata da Bauman, sono molti i filosofi ad aver messo in guardia l’Occidente a proposito del suo stato di declino. A cento anni dall’uscita de Il tramonto dell’Occidente (1918), la crisi della società occidentale assume contorni ben differenti da quelli prospettati da Oswald Spengler nella sua celebre opera.
Da molto tempo ormai il genere è una delle questioni fondamentali del dibattito sociale e scientifico a livello mondiale. Per comprenderlo, c'è bisogno di molteplici punti di vista, metodologie di analisi, elaborazioni individuali e collettive. Per questo il testo offre l'opportunità - invero rara in Italia - di mettere a confronto sulle tematiche relative al genere specialisti appartenenti a campi disciplinari differenti: un antropologo (Giuseppe Remotti), una filosofa (Vera Tripodi), un ricercatore cattolico con formazione sia in filosofia che in teologia (Damiano Migliorini), una teologa protestante (Letizia Tomassone), due psicologi e psicoterapeuti (Enrico Maria Ragaglia e Federico Ferrari, che è presente in due contributi) e il curatore del libro, psichiatra e psicoterapeuta. Gli Autori producono domande, piste di ricerca innovative e punti di vista originali, indicando le sfide che le tematiche relative al genere oggi ci pongono e le prospettive più feconde.
Ancora inedita in Italia, questa opera costituisce il quarto di una serie di testi attraverso i quali Luhmann tematizzò uno per uno i sistemi funzionali della nostra società applicando loro la sua teoria più famosa: quella dei Sistemi sociali (1984). "L'arte della società" sviluppa e documenta sulla base di testi storici i temi della differenziazione e dell'organizzazione del sistema dell'arte all'interno della società. Particolare attenzione viene rivolta al salto evolutivo compiuto a cavallo tra il Quindicesimo e il Sedicesimo secolo, momento nel corso del quale, secondo Luhmann, avvenne una cruciale trasformazione per ciò che il sistema arte rappresenta oggi. Il testo si chiude con un'illustrazione storica e una discussione dell'autodescrizione nell'arte.
Relazioni internazionali è un testo agile, ma denso sul piano analitico, che espone sinteticamente le caratteristiche del contesto internazionale del XXI secolo. L’autore, uno dei più importanti teorici di relazioni internazionali, presenta in un’ottica multicentrica gli attori che collaborano o collidono con gli stati-nazione nel panorama planetario attuale, analizzando quei processi che, a causa delle dinamiche di globalizzazione, presentano ricadute sostanziali sulla vita di sistemi sociali in apparenza non direttamente colpiti da eventi come conflitti, azioni terroristiche, flussi commerciali, rispetto dei diritti umani.
Amare è stato spesso considerato l’esperienza più personale e incomunicabile di tutte, quella passione non razionalizzabile che tocca ciascuno in un modo unico e inesprimibile e che non ha nulla da spartire con le dimensioni e le problematiche collettive e generali dell’esistenza. Per questa sua qualità particolaristica, l’amore è stato il tema preferito di scrittori e di romanzieri, così come di poeti, di artisti e filosofi, ma raramente è stato considerato da un punto di vista sociologico e scientifico.
In questa breve lezione del 1969, Niklas Luhmann compie una vera e propria rivoluzione concettuale: invece che concepire l’amore come un’esperienza personale unica e ineffabile, lo raffigura come una soluzione funzionale a problemi che dipendono dallo sviluppo di una immensa gamma di strutture e forme sociali. Gli esseri umani devono fronteggiare un mondo drammaticamente sempre più complesso, cercando modi per orientarsi facilmente e per dare senso a quella condizione. Necessitano perciò di speciali mezzi – chiamati da Luhmann “media della comunicazione” – che facilitano la scelta tra una molteplicità di alternative di senso così da poter essere facilmente compresi da tutti e capaci di motivare una risposta, agevolando i processi comunicativi. L’amore è uno di questi media, come lo sono la verità, il denaro, il potere, l’arte, il diritto, la morale. Il cambiamento, la differenziazione, la complessificazione di una società sempre più pluralista e policontesturale pongono crescenti aspettative nei confronti della funzione sociale dell’amore in quanto ne rendono sempre più improbabile la realizzazione: l’amore diventa perciò un’improbabile normalità, con tutti i problemi che ne derivano soprattutto a livello della sua elaborazione culturale (sempre più problematica) che impone aspettative sempre più esigenti a personalità in crescente difficoltà.