A pochi chilometri da Lucca, dalla pianura s'alza il Colle di Santa Maria delle Grazie. In cima c'è il manicomio. Il paese più vicino si chiama Magliano. Così «venire da Magliano», per la gente del luogo, significa portare il segno della pazzia, di una vita attraversata dal vento sublime e dannato della sofferenza mentale. In un reparto psichiatrico femminile, negli anni precedenti l'età degli psicofarmaci e ben prima della contestata riforma Basaglia, un medico vive con le «libere donne di Magliano»: donne aggressive, tristi, erotiche, disperate, orrende, miti, malate o semplicemente fuggite dal mondo. Capolavoro di Mario Tobino, Le libere donne di Magliano è «il libro sulla sua vita» oltre che il poema della profondissima e unica atmosfera che pervade le stanze della follia: perché «il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli». E perché «anche i matti sono creature degne d'amore», come lo stesso autore volle scrivere sulla fascetta della prima edizione del romanzo (Vallecchi 1953). Arricchiscono il volume due inserti iconografici che mostrano com'era e com'è oggi l'Ospedale Psichiatrico di Maggiano, nel quale lo scrittore psichiatra Mario Tobino abitò due camerette della Casa Medici dal 1943 al 1990 e in cui operò come responsabile del settore femminile fino al 1980.
"Il mondo là fuori, con il suo rumore e il suo caos, proverà sempre a entrarti dentro. Arriveranno pensieri nuovi, difficili da affrontare. Non affrontarli, allora. Torna all'origine: calma la mente. Sdraiati su un prato e guarda lassù. Tu non sei le nuvole, che vanno e vengono e sono sempre in movimento. Tu sei il cielo. E il cielo è leggero proprio perché non trattiene niente. Il cielo è saggio. Sa lasciare andare ciò che lo attraversa. Se vuoi essere sereno come un buddha, non essere una nuvola. Sii il cielo. Il buddhismo è stato la mia guarigione. Mi ha mostrato che la vita è tutta una questione di punti di vista: a seconda di come la guardi, la tua esistenza può essere bella o brutta, giusta o sbagliata, fortunata o sfortunata. Prima di volerla cambiare, dobbiamo essere noi a guardarla con occhi diversi, più consapevoli. Dobbiamo essere noi a cambiare. È stato proprio attraverso questo processo che il buddhismo mi ha aiutato a trasformare il periodo più difficile della mia vita in una inaspettata e miracolosa rinascita. Il mio augurio è che anche tu, ovunque stia leggendo queste parole, possa trovare tra queste pagine l'ispirazione e i metodi per diventare la persona che meriti di essere. Saggia, innanzitutto. E poi compassionevole, presente, calma, positiva, gentile. Libera dalla sofferenza. Felice, finalmente." In "Profondo come il mare, leggero come il cielo", Gianluca Gotto condivide gli incontri, le esperienze e i tanti insegnamenti che lo hanno salvato nel momento più buio della sua vita. Un libro intimo e generoso, pieno della saggezza millenaria - ma quanto mai attuale - del Buddha e di consigli pratici per trasformare la sofferenza in un terreno fertile in cui la felicità possa mettere radici.
Il 23 maggio del 1992 Giovanni Falcone, la scorta e sua moglie vengono uccisi nella Strage di Capaci. Pochi mesi dopo, il 19 luglio, Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta perdono la vita nella Strage di via D'Amelio. A 30 anni dalla loro morte, una raccolta di storie e personaggi per raccontare ai ragazzi il loro coraggio e per continuare lottare contro le mafie nel loro nome. Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ricordano le vite di chi, guardando la mafia negli occhi, ha deciso di difendere le proprie idee, la propria dignità: gli occhi di Giuseppe Letizia che, nel buio, assistono spaventati allo svolgersi di un feroce assassinio; le parole "pericolose" di Peppino Impastato che ridicolizzano quegli uomini considerati intoccabili; i saldi principi di Giorgio Ambrosoli; la lotta solitaria del generale dalla Chiesa; la missione contro la mafia di Rosario Livatino, il "giudice ragazzino"; la determinazione di Libero Grassi a non cedere ai tentativi di estorsione; l'alternativa alla mafia e la possibilità di una vita diversa offerta ai giovani da don Pino Puglisi; il diritto a vivere libera rivendicato da Lea Garofalo. I loro sogni, la loro speranza, il loro coraggio sono un modo per non dimenticare: "Si può fare qualcosa, e se ognuno lo fa, allora si può fare molto". Età di lettura: da 11 anni.
La signora Mirtilla è orgogliosa dei suoi elettrodomestici che sono moderni, splendenti e iperefficienti. Ma questi, un giorno, protestano: ognuno pensa di svolgere al meglio il lavoro dell'altro. La Lavatrice vuole sfornare un pan di Spagna, il Frullino vuole stirare le camicie, il Tostapane produrre ghiaccioli e la Caffettiera il gelato... In un attimo la cucina va in tilt. Max è un ragazzo felice, se non fosse che desidera più di ogni altra cosa al mondo un vestito, un vestito solo, però buono per tutte le stagioni e per tutte le occasioni. Ma un giorno il postino bussa alla porta per consegnare un pacco... Nei versi fantasiosi di "A letto, bambini!" i più piccoli scopriranno con sorpresa che il lettino non è solo morbido, pulito, ben rincalzato e perfetto per sognare, ma può essere anche un posto davvero speciale. Conosciamo Sylvia Plath per le sue poesie, ricche di immagini e di metafore, ma quanti sanno dei suoi libri per bambini? Queste tre storie dalla prosa semplice e dolcemente ironica, tradotte da Bianca Pitzorno, sono impreziosite dalle immagini di Carlo Muñoz, di Rotraut Susanne Berner e di Quentin Blake che illustrò la leggerezza dei versi di "A letto, bambini!" già nella prima edizione inglese. Prefazione di Frieda Hughes. Età di lettura: da 8 anni.
Tutti lo sanno: Antoine de Saint-Exupéry ha scritto "Il piccolo principe", uno dei romanzi più popolari del mondo. Quello che tutti non sanno è che Antoine, famigliarmente Tonio, è un personaggio che vale da solo una grande storia. Ed è la storia che Romana Petri ha scritto con la febbre e la furia di chi si lascia catturare da un carattere e lo fa suo, anzi lo ruba, tanto che il documento prende più che spesso la forma dell'immaginazione. Orfano di padre, Tonio vive un'infanzia felice nel castello di Saint-Maurice-de-Rémens, amato, celebrato, avviluppato al mostruoso quasi ossessivo amore per la madre; un'infanzia che gli resta incollata all'anima per tutta la vita, fin da quando, straziato, vede morire il fratello più giovane. L'infanzia lo tallona come un destino quando, esaltato, comincia a volare, pilota civile e pilota militare, quando si innamora tanto e tante volte, quando si trasferisce in America, quando scrive, persino quando si schiera e sceglie di combattere per un'idea di Francia che forse è sua e solo sua. Dove sia andato Tonio, non sappiamo, nei cieli in fiamme del 1944. Sappiamo che ci ha lasciato le stelle della notte, il sogno di una meraviglia che non si è mai consumata, il bambino che lui ci invita a riconoscere eterno dentro di noi. Romana Petri costruisce e decostruisce, sgretola le regole della biografia, evoca e racconta amori, amicizie e sgomenti come dettagli di un appetito d'avventura mai sazio, si muove fra le date e dentro la Storia alla sola ricerca del principe che ha sconfitto la notte ed è entrato volando nell'infinito.
Nisha vive nel lusso grazie al matrimonio con un ricco uomo d'affari fino al giorno in cui, di punto in bianco, lui le chiede il divorzio e la estromette dalla sua vita, privandola di tutto ciò che fino a quel momento possedeva. Benché Nisha sia determinata a tenersi stretti i suoi privilegi, ciò che le rimane è solo una borsa da palestra di un'altra donna con dei vestiti a buon mercato che non le appartengono. Sola e abbandonata, comincia a capire cosa significhi non avere più nulla, il peggiore dei suoi incubi, e dover ripartire da zero. Sam, invece, sta vivendo una profonda crisi. Suo marito è disoccupato e depresso, sua figlia sembra non accorgersi neanche di lei e non ha nessuna soddisfazione sul lavoro. Sam è una donna dall'animo gentile, che si è dimenticata di se stessa per soddisfare solo i bisogni degli altri. Quando si accorge di aver preso per sbaglio la borsa di un'estranea in palestra e si trova costretta a indossare delle provocanti scarpe rosse di coccodrillo di Christian Louboutin per partecipare a una serie di riunioni di lavoro, inizia a rendersi conto che qualcosa deve cambiare: incredibilmente quei tacchi vertiginosi la portano a una svolta. Jojo Moyes ha un talento speciale nel parlare dritto al cuore delle donne, descrivendo con sensibilità le loro fragilità e la loro grande forza. La mia vita nella tua è una commedia ricca di sorprese e colpi di scena, ma soprattutto una storia sul valore dell'amicizia al femminile.
Nell'India del XIV secolo, dopo una sanguinosa battaglia tra due regni ormai dimenticati, una bambina di nove anni ha un incontro divino che cambierà il corso della storia. La giovanissima Pampa Kampana, distrutta dal dolore per la morte della madre, diventa un tramite per la dea sua omonima, che non solo inizia a parlare attraverso la sua bocca, ma le accorda enormi poteri e le rivela che sarà determinante per la nascita di una grande città chiamata Bisnaga (letteralmente "città della vittoria"). Nei 250 anni successivi, la vita di Pampa Kampana si intreccia profondamente con quella di Bisnaga: dalla creazione resa possibile grazie a un sacchetto di semi magici alla tragica rovina provocata dall'arroganza dei potenti. E sarà proprio il racconto sussurrato a mezza voce dalla nostra eroina a dar vita, via via, a Bisnaga e ai suoi cittadini, nel tentativo di portare a termine il compito che la dea le ha assegnato: garantire alle donne un potere paritario in un mondo patriarcale. Ma tutte le storie hanno un modo per rendersi indipendenti dal loro creatore, e Bisnaga non farà eccezione. Con il passare degli anni, con l'avvicendarsi dei governanti, delle battaglie vinte e di quelle perse, il tessuto stesso di Bisnaga diventa un arazzo sempre più complesso, al centro del quale resta però comunque la nostra eroina. Strutturato come la traduzione di un'antica epopea, La città della vittoria è una saga di amore, avventura e mito e una testimonianza del potere della narrazione.
"Quando torni io non ci sarò già più." Sono le ultime parole di S. a Matteo, pronunciate al telefono in un giorno d'autunno del 1998. Sembra una comunicazione di servizio, invece è un addio. S. sta finendo di portare via le sue cose dall'appartamento di Matteo dopo la fine della loro storia d'amore. Quel giorno Matteo torna a casa, la casa in cui hanno vissuto insieme per sette anni, e scopre che S. si è tolto la vita. Mentre chiama inutilmente aiuto, capisce che sta vivendo gli istanti più dolorosi della sua intera esistenza. Da quegli istanti sono passati quasi venticinque anni, durante i quali Matteo B. Bianchi non ha mai smesso di plasmare nella sua testa queste pagine di lancinante bellezza. Nei mesi che seguono la morte di S., Matteo scopre che quelli come lui, parenti o compagni di suicidi, vengono definiti sopravvissuti. Ed è così che si sente: protagonista di un evento raro, di un dolore perversamente speciale. Rabbia, rimpianto, senso di colpa, smarrimento: il suo dolore è un labirinto, una ricerca continua di risposte - perché l'ha fatto? -, di un ordine, o anche solo di un'ora di tregua. Per placarsi tenta di tutto: incontra psichiatri, pranoterapeuti, persino una sensitiva. E intanto, come fa da quando è bambino, cerca conforto nei libri e nella musica. Ma non c'è niente che parli di lui, nessuno che possa comprenderlo. Lentamente, inizia a ripercorrere la sua storia con S. - un amore nato quasi per sfida, tra due uomini diversi in tutto -, a fermare sulla pagina ricordi e sentimenti, senza pudore. Ecco perché oggi pubblica questo libro, perché allora avrebbe avuto bisogno di leggere un libro così, sulla vita di chi resta. Ma c'è anche un altro motivo: "In me convivono due anime" scrive, "la persona e lo scrittore". La persona vuole salvarsi, lo scrittore vuole guardare dentro l'abisso. Per vent'anni lo scrittore che c'è in Matteo ha cercato la giusta distanza per raccontare quell'abisso. E quando si è trovato nel punto di equilibrio, da lì, da quella posizione miracolosa, ha scritto queste parole, che, seppur lucidissime, sgorgano con la forza e la naturalezza dell'urgenza. Ciò che stiamo consegnando nelle mani di chi legge è un dono, sì, ma un dono di straordinaria gravità. Eppure, ognuna di queste pagine contiene un germe di futuro, la testimonianza di come, persino nelle pieghe di un dolore indicibile, la scrittura possa ancora salvare.
Tutto inizia con una pietra d'inciampo vicino casa. Alessandro Milan la scorge in un giorno di ottobre, quasi per caso. Riporta il nome di Angelo Aglieri, impiegato del «Corriere della Sera», arrestato nel maggio 1944 con l'accusa di aver introdotto in redazione una bomba a mano, poi condotto al carcere di San Vittore e da qui deportato al campo di Fossoli. Determinato a ricostruirne la storia, Milan inizia la sua ricerca. A quella vicenda però se ne intrecciano presto molte altre: la storia di chi allora era soltanto un ragazzino, come Sergio Temolo, e perse il padre per mano fascista il 10 agosto 1944 nell'eccidio di piazzale Loreto, o di chi mise a disposizione il proprio coraggio, come Carmela Fiorili, portinaia del palazzo in viale Monza 23 - noto come il «Casermone» -, staffetta partigiana insieme alla figlia, Francesca, e per mesi punto di riferimento sicuro per la resistenza meneghina. Il risultato è un grande affresco di uomini e donne che, pur non conoscendosi, si trovano legati da un filo invisibile, protagonisti e testimoni della Storia. Le loro vite si sfiorarono tra le strade dello stesso quartiere, della stessa città, Milano, sempre più devastata dai bombardamenti e dalle macerie. Quello di Milan è il racconto di una pagina della resistenza milanese, ma anche un racconto universale che, con accuratezza storica e un brillante passo narrativo, restituisce un pezzo di storia del nostro Paese. Un racconto che parte da Milano e si dipana nel resto d'Italia, dal campo di prigionia di Fossoli a Riva del Garda fino alle campagne vicentine di Arzignano. Un racconto che parla di noi, del nostro passato e del nostro presente.
La casa della famiglia Flores ha le finestre azzurre, un giardino curato, ed è un luogo speciale: ogni giorno un piccolo gruppo di donne si riunisce al suo interno per ricamare tovaglie, centrotavola, fazzoletti e veli. È il 1918 e Bom Retiro, una tranquilla cittadina nella regione del Pernambuco, nel Nordest del Brasile, vive gli anni di una dittatura violenta, che minaccia e reprime soprattutto la voce delle donne. Ma a casa Flores è diverso: un'oscura maledizione, che vede morire in giovane età tutti gli uomini della famiglia, ha trasformato questo posto in una roccaforte al femminile, dove Vitorina, che ha imparato l'arte segreta del ricamo fino ad allora appannaggio delle suore in convento, la trasmette alle altre. Tra queste, Zia Firmina, la più anziana, fervente cattolica e custode del segreto che grava sulla famiglia; Eugênia, promessa in sposa contro il suo volere a un uomo violento e più vecchio di lei; e Inês, che utilizza un codice fatto di punti ricamati inventato da Eugênia per aiutare quest'ultima a liberarsi di lui. Un vero e proprio linguaggio segreto attraverso cui progettare la fuga. Una storia che arriva, un secolo dopo, nella Rio de Janeiro di oggi, consegnata sotto forma di un prezioso merletto ad Alice, pronipote di una delle donne Flores: una ragazza dai capelli blu, ribelle, che insieme alla compagna Sofia ricostruirà le vicende della sua famiglia. Sarà riuscita Eugênia a sfuggire al proprio destino? E qual è il segreto nascosto dietro la misteriosa maledizione? Una toccante storia di solidarietà al femminile, narrata con l'eleganza di un'arte antica e capace di trasmettere il valore del coraggio e della libertà.
È l'estate del 1991, Daniele ha diciassette anni e questa è la sua prima vacanza da solo con gli amici. Due settimane lontano da casa, da vivere al massimo tra spiagge, discoteche, alcol e ragazze. Ma c'è qualcosa con cui non ha fatto i conti: se stesso. È sufficiente un piccolo inconveniente nella notte di Ferragosto perché Daniele decida di abbandonare il gruppo e continuare il viaggio a piedi, da solo, dalla Riviera Romagnola in direzione Roma: forse riuscirà a comprendere la ragione dell'inquietudine che da sempre lo punge e lo sollecita. Troverà chi è logorato dalla solitudine ma ancora capace di slanci, chi si affaccia su un abisso di follia, sconfitti dalla vita, prepotenti inguaribili. E incontrerà l'amore, negli occhi azzurri di Emma. Ma soprattutto Daniele incontrerà se stesso. Questo viaggio lo battezzerà infine all'arte più grande di tutte. L'arte dell'incontro. Daniele Mencarelli ha scritto un romanzo vitale, picaresco e intimo, che ha dentro il sole di un'estate in cammino lungo l'Italia, l'energia impaziente dell'adolescenza e la lingua calibratissima e potente di uno scrittore al massimo della sua forma.
La pubblica amministrazione è il più grande erogatore di servizi e il maggiore datore di lavoro italiano: da essa dipendono circa tre milioni e trecentomila addetti. È un organismo che si è andato costruendo lentamente, essendo il frutto della storia e dei principi che lo hanno plasmato. Per dimensioni e poteri svolge inoltre un ruolo fondamentale nel sistema politico, condizionando la democrazia. Si comprende, quindi, come dalla sua buona organizzazione e dal suo funzionamento dipendano il benessere dei cittadini e il successo dello Stato. L'amministrazione è al centro di una duplice tensione. È indispensabile, perché non c'è politica pubblica che non faccia capo a essa, e tuttavia viene ritenuta il regno del bizantinismo, delle complicazioni, della corruzione, e criticata perché non funzionale al processo economico. Alle sue difficoltà strutturali si aggiungono l'«esondazione» del Parlamento, diventato co-amministratore, e la debolezza dei governi (il suo organo di guida), per la loro breve durata. I governi tuttavia non sono gli unici responsabili della sua gestione, poiché interi campi dell'azione pubblica sono ora nel dominio di forze politiche multinazionali, come organismi sovranazionali e Big Tech, di cui è importante tenere conto. Alla luce di questi presupposti, l'autore analizza i fattori di crisi dell'amministrazione pubblica e ne indica i possibili rimedi. Propone di iniziare dai prodotti, per poi passare ai processi produttivi, ai modelli organizzativi e procedurali, al personale e alle sue motivazioni, al contesto, ai saperi e alla cultura amministrativa. Perché la pubblica amministrazione sia in grado di gestire i grandi interessi collettivi, è bene partire dall'aspetto più importante: ciò di cui ha bisogno il Paese.