Sara e il suo coach Pablo hanno girato i quattro angoli del pianeta, prima nell'inferno degli ITF, i tornei minori, poi nel circuito WTA, un mondo tanto dorato quanto spietato. Hanno percorso insieme una lunga strada che ha portato la giovane tennista dal numero 500 alle prime dieci del mondo nel ranking di singolare e numero uno al mondo nel doppio nel quale, insieme a Roberta Vinci, si è aggiudicata quattro prove del Grande Slam. Un risultato che pochi, specie in Italia, avevano creduto possibile. Il momento di svolta nella sua carriera avviene quando Sara scopre la sua nuova racchetta, la sua nuova "arma". Tra tutti gli sport, il tennis è forse quello che più da vicino ricorda i duelli cavallereschi. Non c'è il pareggio, nel tennis. Nei poemi epici, i guerrieri trovavano coraggio, affidandosi al loro equipaggiamento a cui davano un nome. Ecco allora che Sara Errani battezza la sua nuova arma Excalibur. Ne fa il suo talismano, il suo mantra, il segreto delia sua forza. Partita dopo partita, impegno, dedizione e sacrificio, Sara raggiunge la vetta: dopo quel match vinto in capo al mondo, nella fresca sera neozelandese, sul piccolo campo centrale di Auckland, in Australia ha imparato, ha capito che anche lei può comandare il gioco, che anche lei può tirare vincenti a ripetizione, anche lei può fare a pallate con le ipervitaminiche valchirie del tour femminile. Prefazione di Federico Ferrero.
Il calcio come lo intendiamo oggi ha la sua origine verso la fine dell'Ottocento, quando lo scopo del gioco non è più semplicemente strappare il pallone agli avversari, ma indirizzarlo in una zona ben precisa e delimitata del campo, che assume la forma di una porta. È la nascita del gol, che di questo sport incarna l'essenza. Eppure, nonostante chiunque ne avverta quasi naturalmente il fascino e il valore incomparabile, il gol è sempre stato inteso solo come mezzo per il raggiungimento di un risultato finale, la vittoria. Mario Sconcerti, una delle firme del nostro giornalismo sportivo, è il primo ad aver studiato il gol come gesto tecnico puro, come costruzione ed evoluzione del gioco, ripercorrendone la storia dai tempi pionieristici degli scudetti del Genoa e del Milan all'inizio del secolo scorso al calcio superprofessionistico e televisivo di oggi. Da quando, cent'anni fa, i campi erano senza erba, fangosi o duri come l'asfalto, e i palloni, tutt'altro che sferici, andavano dove volevano e diventavano pesantissimi con la pioggia, difficili da colpire di testa: fattore che, unito all'altezza media degli italiani, all'epoca di un metro e sessantacinque, produceva da noi un gol veloce, un po' avventuroso, costruito con la palla a terra. A quando, quarant'anni dopo, finita la seconda guerra mondiale, siamo stati invasi da giovani giganti svedesi e danesi (Nordahl, Praest, Liedholm, Jeppson, i fratelli Hansen) che chiedono, invece, la palla alta.