Le lettere qui raccolte, note come Cartas de La Pièce, rappresentano uno dei fondamentali epistolari dell'immensa produzione della filosofa Maria Zambrano, la quale intrattenne una lunga corrispondenza con il teologo Agustín Andreu. Iniziato negli anni '50 intorno alle ferite lasciate dalla Guerra Civile, lo scambio profondo tra il giovane teologo e la già autorevole pensatrice, si intensificò soprattutto negli anni '70, quando Andreu inizia a elaborare una teologia "del Logos e dello Spirito nelle loro reciproche relazioni". Il tema del Logos e dello Spirito rappresentava allora un nuovo modo di sentire e concepire il divino., con molte e decisive conseguenze, ed è il vero tema dell'epistolario; in questo tema Maria Zambrano trova un congeniale terreno di lotta filosofica, e un'affine esperienza teologico-metafisica. Dall'esilio a La Pièce (tra Francia e Svizzera), grazie allo scambio con Andreu, la filosofa ha modo di scrivere intorno a sant'Agostino, alla natura, alla gnosi, al matrimonio, alla syzygia (piccola comunità), all'amicizia, all'esilio, ai Maestri, alla Ragione Vitale... facendo affiorare tutto il suo mondo spirituale. L'epistolario è costituito dalle sole lettere di Maria Zambrano e copre il periodo dal 1973 al 1976. In questo primo volume si arriva al febbraio '75. L'opera sarà completata con un secondo volume contenente anche un'Appendice critica curata da Agustín Andreu e un Indice dei nomi. Introduzioni di Lucia Vantini e Agustín Andreu.
Nel mondo dell'Amministrazione globale il tempo calcolatorio pretende di essere tutto il tempo. Tanto che il suo dono, nell'età del dominio dell'Economico, appare impossibile. C'è invece un resto del tempo. Ed è questo a essere seducente per il pensiero. Questo resto è ciò per cui si scrive. Si scrive per sfuggire all'astrattezza del tempo che manca se stesso a causa della sua estrema disciplinarizzazione. È necessario, come fa Agostino, immergere il proprio pennino contemporaneamente nel sangue antico e nel presente. Così s'intravvede un tempo pieno, il miracolo del dono reciproco di tempo e scrittura, di identità e di differenza. Perciò la filosofia e la letteratura, secondo Derrida, hanno da dire qualcosa: per la forma del loro camminare nelle vie della mancanza, del loro affidarsi all'altro. Si scrive per resistere, e resistenza è allevare i sentimenti, dare loro il nome e narrarli . Nel coraggio della scrittura si possono scoprire le chiavi per entrare nelle cripte dell'esistenza, nel destino di segni aperto all'ulteriorità e al portento del tempo.
Religioni, psicoterapie, counselling filosofici si propongono all'uomo di oggi come differenti risposte al male di vivere. Dentro questo supermarket di offerte il volume offre una risposta provocatoria: esperienza religiosa, psicoterapia e filosofia sono tutte necessarie per rispondere al bisogno dell'uomo. Ciascuna apporta qualcosa di suo che funziona solo in relazione alle altre due, solo, cioè, attraverso una contaminazione feconda. Abbiamo bisogno della filosofia, perché solo essa conosce a fondo l'uomo, il dramma della sua esistenza e dell'angoscia di fronte alla sua stessa libertà e precarietà. Ma la filosofia, nata dal logos e dimorando nel logos, non conosce il mondo oscuro delle passioni e delle emozioni, che non può essere né razionalizzato, né rimosso e che neppure si può pretendere - con hybris -di dominare. Per questo abbiamo bisogno della psicologia, perché senza di essa non siamo in grado di svelare le dinamiche e le radici profonde dell'angoscia e il mondo oscuro dell'inconscio. Ma la psicologia, sradicata dalle sue origini filosofiche e mitico-religiose, rischia, a sua volta, di perdere l'anima riducendola a mente o, più radicalmente ancora, a cervello. Sono necessarie anche le religioni, perchè solo esse offrono una risposta che consiste nell'esperienza di una relazione assoluta con l'Assoluto. Ecco perchè solo una contaminazione feconda tra le tre può costituire un'efficace risposta al bisogno profondo del cuore umano.
Il libro esamina la base conflittuale della struttura economica del tempo presente, che si regge sulla competizione in cui il più forte (il "migliore") scaccia il più debole (il "peggiore"). In questo contesto sociale competitivo i desideri e i bisogni umani acquistano loro stessi caratteri sempre più competitivi e il consumo diviene la palestra in cui essi esprimono la loro arroganza, il proprio essere "più" degli altri. Che quindi si tratti di giudicare, o che si tratti di consumare, sarà all'opera sempre un punto di vista, una posizione espressa dall'Io di ciascuno, che avrà allora necessariamente un carattere individuale e parziale. Un'importante ipotesi che il libro avanza è che sia proprio questo eccesso di individualismo e confronto, quasi ossessivo, con "l'altro", tipico della nostra epoca, a far prender coscienza dei pericoli che la parzialità delle prospettive comporta, e a cercare quindi altre strade nel relazionarsi tra gli uomini. Sembra allora affacciarsi la consapevolezza che sia urgente allargare la prospettiva dello sguardo oltre il soggetto e le sue pretese per far emergere la valenza e il senso anche delle opinioni non condivise, o dei bisogni e dei desideri che non sono propri, ma altrui: si fa così strada la contemplazione" della panoramica delle opinioni che tende a contrastare e ridimensionare lo strapotere dell'Io.