La condizione di chi vive non avendo una dimora stabile è da considerarsi come una delle forme più gravi di povertà e di esclusione sociale.Quello delle persone senza fissa dimora è un fenomeno in costante crescita. Secondo i dati più recenti si calcola che in Europa ci siano 495 milioni di persone, di queste almeno 3 persone su 10.000 vivono senza fissa dimora (0,03%). Questo libro parte dall’analisi psicologica dei senza tetto:come vivono in strada,come si organizzano le giornate,quali abilità sfruttano per mantenere la loro sopravvivenza e quali meccanismi psicologici rendono tollerabile una tale condizione di vita.Prosegue con delle ipotesi di intervento che permettano a queste persone di ricominciare partendo dalle loro risorse e non dai deficit, per comprendere e legittimare interventi che operino per un reinserimento sociale basato sul riconoscimento dell’autonomia e sulla capacità di determinazione. È indispensabile prevedere una formazione specifica per lo psicologo che voglia lavorare con i senza fissa dimora.
CURATORI
Gioacchino Lavancoprofessore ordinario di Psicologia di comunità e presidente dei Corsi di studio in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Palermo. Autore di numerosi studi e ricerche sulla marginalità sociale e le nuove dipendenze,ha recentemente pubblicato Psicologia del gioco d’azzardo e della scommessa(Roma 2006) e Psicologia della dipendenza dal lavoro(Roma 2006).
Massimo Santinelloprofessore all’università di Palermo.
Tiziano,16 anni e un padre alcolizzato e violento,viene mandato a vivere in una comunità, o casa famiglia, dove dovrebbe imparare a ritrovare una serenità che aveva perso da quando la madre se ne era andata lasciandolo solo con un padre inadeguato e pericoloso.Tiziano ha dentro di sé tanta rabbia: non riesce ad amare il padre perché ne ha perso definitivamente la stima,ma al tempo stesso non si rassegna a perderlo,segno che il suo legame con il padre è, nonostante tutto, forte. Si sente insicuro nei rapporti umani, vorrebbe urlare la sua inadeguatezza. E lo fa a modo suo, scrivendo sui muri la sua insicurezza e la ricerca di sé:CHI SONO IO? Lo scoprirà grazie ai ragazzi e alle ragazze che come lui avrebbero tutto il diritto di perdere fiducia e invece conservano una voglia di vivere che Tiziano imparerà a cercare dentro se stesso.
AUTORE
Dario Zilovichè giovanissimo, ha 25 anni, è appassionato lettore, al suo esordio come autore, scrive racconti che ha pubblicato su riviste letterarie.Il suo stile è asciutto e chiaro, i dialoghi hanno un ritmo serrato e incalzante, e possiede la dote di raccontare la trama con semplicità e una forte comunicatività.
L'autrice racconta in questo volume una storia autobiografica: quella che ha portato lei e la sua famiglia ad adottare una bambina vietnamita. "Ho scritto tale libro", spiega, "per poterle spiegare un giorno come mai abbiamo scelto di adottare e come siamo giunti a lei".Il libro si articola in tre parti, tra loro molto differenti. La prima rievoca i passi compiuti per ottenere l'idoneità all'adozione, fino all'abbinamento con la propria bambina e alla partenza per il Vietnam. Spesso viene sottolineata l'ottusità di sistemi e personaggi burocrati, con un po' di ironia e con sguardo disincantato. Nella seconda parte fanno da sfondo e da contorno all'emozionante primo incontro con la bimba le immagini, i colori, i rumori e il paesaggio del Vietnam. Nella terza parte si parla dei primi momenti di vita insieme, unitamente a tutte le avventure che hanno caratterizzato la vita in Vietnam lontano da casa.
Questo libro vuole raccontare tre forme di nuove realtà urbane: una baraccopoli (Korogocho a Nairobi), un campo profughi (Kakuma, una regione al confine fra Sudan, Uganda, Etiopia e Kenya, in cui si sono rifugiate 86.000 persone, fuggite da varie guerre) e una periferia marginalizzata (la periferia diffusa di Torino). Si tratta di una ricerca lunga dieci anni, un viaggio in cui l'autore racconta e documenta come e quanto stia cambiando l'idea classica di città, e al suo posto si sia inserito un modo nuovo di intendere lo spazio abitato. Accanto o intorno alle città, ma anche in luoghi - i campi profughi che assomigliano alle città senza esserlo, crescono a dismisura insediamenti di esseri umani inutili al sistema e fuori luogo. Oggi, queste non-città, raccolgono un miliardo di individui. Fra trent'anni saranno 2-3 miliardi. Un fenomeno sconvolgente, in aumento esponenziale. Il libro è un tentativo di dare le ragioni di questo cambiamento, alla luce degli studi di antropologia, economia e sociologia. È un saggio e una testimonianza insieme, che racconta luoghi, volti e storie e che dà spessore umano ai dati statistici.
Non c'era malvagio, né emarginato di fronte al quale san Francesco mettesse freni alla sua misericordia. Come non ricordare suoi incontri con il lebbroso e con il lupo di Gubbio, che egli affronta e ammansisce, o l'episodio della tavola imbandita per i briganti? Fra Beppe Prioli è un suo degno figlio. Nel 1997 un evento drammatico fa da spartiacque nella lunga missione di questo frate: una brutta caduta, il coma, il lento risveglio. Inizia, per fra Beppe, una seconda vita che egli, ne è certo, lo deve anche all'affetto dei suoi "lupi", quegli uomini in gabbia che la cronaca spesso dipinge come "mostri" e che lui invece, da ormai quarant'anni, incontra come fratelli, nello spirito di Francesco.Nel libro si racconta il "dopo" di fra Beppe. Di grande pathos le lettere dei detenuti al francescano. Il libro si apre con la prefazione di don Luigi Ciotti, amico di fra Beppe ed estimatore del suo impegno nel "pianeta carcere", e con l'introduzione di Fabio Finazzi, che passa idealmente il testimone alla giornalista Emanuela Zuccalà e alle intense storie che racconta, storie "da ascoltare" più che "da leggere". La Postfazione è di Alfredo Bonazzi, la "belva di viale Zara", graziato negli anni Settanta per meriti letterari, che da anni affianca fra Beppe in convegni e incontri nelle scuole sul tema del carcere e della devianza.
La malattia è un'esperienza profondamente personale e mai del tutto condivisibile. Ma tra il malato e chi lo assiste si instaura necessariamente una relazione che accompagna entrambi in una sorta di viaggio "rivelatore". Durante tale viaggio possono venire allo scoperto dubbi, timori, insicurezze, ma anche risorse insospettate. Si trovano spesso nuovi significati per vivere, e soprattutto si riscopre il valore terapeutico della speranza. Il libro di Luciano Sandrin vuole dare una mano a chi sta accanto al malato, perché, mettendo in gioco il proprio sapere non solo tecnico ma anche relazionale, non si limiti a "guarire", ma si "prenda cura" di chi vive in prima persona l'esperienza della malattia. Soltanto così dal "deserto" della sofferenza può nascere il desiderio di un futuro e la voglia di lottare.