Come interpretare per l'oggi il comandamento che chiede di non nominare il nome di Dio, soprattutto se invano? Il percorso suggerito ha come guida anzitutto i testi delle Scritture, parole antiche e tuttavia sorprendentemente capaci di interpretare le attese di sempre. Partendo dall'indicazione che, vietando di nominarne il nome, custodisce l'alterità di Dio e ne impedisce ogni cattura, si entra nel dibattito attuale: dire o non dire Dio nella polis? La storia ha conosciuto ogni genere di strumentalizzazione, pertanto la saggezza del comando biblico va nella direzione di preferire all'esibizione del nome di Dio la scelta della prossimità con Come interpretare per l'oggi il comandamento che chiede di non nominare il nome di Dio, soprattutto se invano? Il percorso suggerito ha come guida anzitutto i testi delle Scritture, parole antiche e tuttavia sorprendentemente capaci di interpretare le attese di sempre. Partendo dall'indicazione che, vietando di nominarne il nome, custodisce l'alterità di Dio e ne impedisce ogni cattura, si entra nel dibattito attuale: dire o non dire Dio nella polis?
Il linguaggio trinitario appare quasi sempre incomprensibile al punto che, se dovesse scomparire dai testi liturgici e dogmatici, il fatto passerebbe probabilmente inosservato. Questo libro decostruisce tale modo di pensare. Né rompicapo che compromette la logica matematica né realtà insignificante che non aggiunge nulla alla fede cristiana, il linguaggio trinitario è il linguaggio dell'amore divino nel quale e dal quale siamo ospitati. Che narra di un Dio che è apertura, relazione e comunione. Relazione e comunione di alterità sempre feconda, aperta al terzo e alla pluralità. Il Dio trinitario è il Dio il cui essere è di essere-pre-l'altro. È il Dio amore: che è Amore e promuove l'amore. Non L'amore di eros che, forza ed energia, irresistibilmente tutto attira a sé bensì l'amore di bontà o benevolenza che accoglie ed ospita e chiama ad accogliere ed ospitare.