Pubblicato per la prima volta nel 1918 e riedito con un poderoso apparato di note e commenti nel 1946, "L'ordinamento giuridico" è uno dei libri più influenti della cultura giuridica italiana. Santi Romano, tra i fondatori del diritto costituzionale e del diritto amministrativo in Italia, unisce in una trama densa e avvincente due famiglie nobili del pensiero giuridico: istituzionalismo e pluralismo. Con forza anticipatoria, Romano elabora una concezione in cui il diritto viene affrancato dai limiti concettuali che lo hanno vincolato al suo contenitore storico, lo Stato, e avanza una prospettiva destinata a segnare un punto di non ritorno: il diritto è quella serie di protocolli d'esperienza pratica mediante cui un gruppo si dà una forma organizzata e separa la propria esistenza come organizzazione da quella transeunte dei propri membri. L'esito è dirompente: almeno da un punto di vista concettuale, lo Stato è considerato, in rapporto al diritto, al pari di una Chiesa, di una qualsiasi associazione sportiva, e persino di un'organizzazione criminale. La teoria esposta in questo libro, che viene ora ripubblicato a un secolo esatto dalla sua prima apparizione, dice molto del nostro presente, in cui il diritto mostra il volto archetipico di tecnica specialistica e rilancia pretese di indipendenza rispetto alla politica rappresentativa. La forza «compositiva» del diritto, di cui Romano si fa qui portavoce, ossia la capacità di dare vita effettiva agli elementi altrimenti dispersi della società, rappresenta anche la sua capacità di negoziare le relazioni tra organizzazioni in modo da stemperarne i conflitti violenti e da produrre sempre nuove configurazioni della vita sociale. A cura e con un saggio di Mariano Croce.
In questo saggio esemplare, Yan Thomas, uno dei massimi conoscitori del diritto romano, mette in questione il primato giuridico della proprietà definita come rapporto inderogabile tra pochi uomini proprietari e una immensa distesa di cose appropriabili - e propone una nuova e sorprendente archeologia delle "cose". Perché qualcosa come un mercato, uno spazio in cui le cose sono scambiate contro un valore commerciale, potesse costituirsi, un gesto giuridico e istituzionale originario doveva essersi già prodotto: si tratta della santuarizzazione di un certo numero di cose qualificate come indisponibili. Le cose che non appartengono ad alcuno, sottratte al gioco dello scambio, inibite a diventare merci, identificano un'area dell'indisponibilità (al commercio, alla proprietà e all'appropriazione) e sono perciò destinate all'uso comune degli uomini. Parenti non troppo lontane degli oggi dibattutissimi "beni comuni", le cose indisponibili che Yan Thomas isola, offrono una nuova genealogia della proprietà e dello scambio, fornendo una lezione sull'istituzione giuridica del valore e su tutte quelle operazioni capaci di fare - o di non fare - di una cosa una merce. Con un saggio di Giorgio Agamben.