Da una parte il cervello, uno degli organi più complessi del corpo umano; dall'altra il denaro, come strumento da lungo tempo utilizzato per favorire il commercio, le attività umane e l'organizzazione stessa della società. Il loro rapporto non è mai stato semplice. Già Aristotele distingueva tra ciò che è «naturale», soddisfare le necessità primarie, e il «non-naturale», in cui è inclusa la ricchezza. Il denaro non ha alcuna caratteristica per rispondere alle dinamiche dei bisogni del corpo, della mente, delle relazioni con l'ambiente, naturale e sociale. Se esce dalla sua dimensione di strumento, genera anzi lotta, confusione, egocentrismi e maniacalità. Il denaro permette la «sopravvivenza », ma anche il «potere», insito in quella parola «profitto» che per l'economia è la modalità per ottenerlo. E può produrre veri e propri disturbi di dipendenza quando da mezzo diventa fine ultimo, condizionando il presente e il futuro del singolo. In questo senso il minimalismo che nasce come rigetto in molti giovani, se non è un modello da proporre, rappresenta però un primo passo in cui si cerca un modus vivendi che prescinda dai condizionamenti alienanti della dittatura dell'economia. Il dramma, e nello stesso tempo la consapevolezza, è che di fronte al profitto l'etica umana viene dimenticata. Ecco perché - sostiene l'autore - occorre allontanarsi dal culto del Dio-denaro per tornare a un'economia dal volto umano, all'individuo e al suo significato di essere nel mondo. Una «psicoeconomia» del bene aperta a campi come quelli della fragilità dei sentimenti e delle relazioni e ai valori che sono alla base del vivere comune.
Il desiderio profondo del singolo uomo, così come il bisogno della specie a cui appartiene, non è centrato sulla figura del nemico e della guerra, ma al contrario su condizioni che permettano l'amicizia e l'amore. Sono queste le risposte adeguate alla fragilità della nostra condizione che ha sempre bisogno di «un altro» da cui ricevere aiuto e disposto a sua volta a donarsi. Per aiutarci a comprendere questo principio, Vittorino Andreoli mette in discussione quella parte della teoria dell'evoluzione che considera «naturale e necessaria» la «lotta per l'esistenza», indicata da Charles Darwin come imperativo per tutte le specie che abitano il nostro pianeta. Una visione che lega la vita alla forza di eliminare e non di costruire, di uccidere e non di stare insieme. All'interno di una concezione che riduce l'uomo a una macchina che segue l'istinto stampato nella genetica in maniera «fatale». Darwin non poteva conoscere le grandi scoperte della biologia recente, che ha permesso di definire la plasticità di parte del nostro cervello, da dove emergono funzioni che hanno un vasto margine di guida e che permettono di attribuire all'uomo desideri e capacità per attivare la condivisione e adattarsi in maniera pacifica alla natura e alla vita «insieme». Diventa dunque ipotizzabile un'evoluzione della specie all'insegna non della lotta ma della cooperazione. E la vita dell'uomo può inserirsi in uno scenario in cui le difficoltà sono affrontate in maniera pacifica attraverso l'aiuto reciproco che porta a condannare la guerra. Una riflessione affascinante che diventa l'occasione per compiere un viaggio dentro la mente dell'uomo nel tentativo di comprendere il senso dell'esistenza di chi è stato posto all'apice dell'albero dei viventi.
L'uomo è ancora «un grande sconosciuto» e la sua coscienza è il più difficile interrogativo che la scienza sta affrontando oggi, potendo contare sempre di più su nuove tecnologie che permettono di osservare il cervello mentre svolge funzioni motorie o puramente mentali e persino in differenti stati emotivi e sentimentali. Vittorino Andreoli, che ha vissuto nei laboratori della ricerca scientifica applicata al cervello per una decina di anni prima di passare alla clinica e, dunque, di osservare il cervello «dentro un uomo tutto intero», ha maturato un'affascinante teoria della coscienza, che espone per la prima volta in queste pagine. Dalla fantasia al sogno, dall'immaginazione alla meditazione, dal linguaggio al dolore, dall'inconscio alla follia, dalla moralità al tempo, dal sesso alla morte: l'autore ci accompagna in un viaggio che porta alla nascita di una nuova visione della consapevolezza di noi stessi e dunque a un'analisi dell'uomo nel tentativo di mostrare come i suoi comportamenti siano sempre legati alla sua mente.
La famiglia è un'istituzione con origini antiche ma è sempre mutata nel tempo seguendo i passaggi e le grandi tendenze economiche, sociali e culturali. Sta ora vivendo la sua fase digitale ed è sempre più influenzata dal trionfo di internet e dell'uso dello smartphone che è diventato un'appendice del nostro corpo e della nostra mente. Quali sono le conseguenze di questi mutamenti? Cosa sta succedendo alle figure dei genitori e dei figli e alle relazioni tra loro? E quali sono i rischi per l'immediato futuro se non si affrontano i problemi che stanno emergendo nella vita quotidiana e nei comportamenti, dagli eccessi sui social network al mutismo affettivo, dalla falsa percezione del tempo al dominio dell'economia dell'inutile? Sono alcune delle questioni che Vittorino Andreoli affronta in questo libro analizzando gli effetti della trasformazione «digitale» in atto. Un saggio di ampia prospettiva e forte attualità che evidenzia i pericoli di un adattamento passivo al cambiamento tecnologico e il rischio di una società senza famiglia, ma che riconosce anche la capacità del nucleo parentale di ritrovare la forza e le funzioni peculiari che l'hanno caratterizzato in millenni di storia.
Desiderio, rimorso, vendetta, odio, paura, amicizia, dolore, amore. Di questi e di tanti altri sentimenti è intessuta da sempre la vita dell'uomo. Eppure, mai come in questi ultimi cinquant'anni il modo di sentire, di gioire e di soffrire è cambiato tanto. La famiglia patriarcale ha lasciato il posto a quella affettiva, la liberazione sessuale ha svincolato l'eros dalla procreazione, l'insostenibile bisogno di apparire e di essere ammirati ha sostituito il Super-io. La colpa di un tempo oggi si chiama vergogna, la paura del castigo è diventata il timore di non essere all'altezza, la noia si nasconde dietro lo schermo dello smartphone. La passione è meno romantica e onirica, l'incertezza dilaga e il futuro non esiste più, divorato da un eterno presente che cancella ogni speranza. Gustavo Pietropolli Charmet, nella sua lunga carriera di psichiatra e di terapeuta, ha assistito a queste grandi trasformazioni da una prospettiva privilegiata, ponendosi sempre al fianco dei giovani in difficoltà e delle famiglie in crisi. Interpellando la memoria frastagliata della sua infanzia e giovinezza, delle storiche battaglie della psichiatria, delle imprese professionali che ha condotto insieme a colleghi e amici, delle infinite storie di dolore che ha accompagnato verso la rinascita, traccia la parabola compiuta dagli affetti dentro e fuori di noi alla ricerca del fuoco che fa girare il mondo.
Un tempo i ragazzi si divertivano con mezzi di fortuna in un cortile o sul marciapiedi. Ma ai giovani di oggi è stato negato anche quello. Nei mesi della pandemia, a causa delle restrizioni imposte dal coronavirus, i bambini sono stati cancellati dai provvedimenti governativi. Senza libertà di uscire, i nostri figli sono stati costretti a rinunciare a ritmi e rituali quotidiani e ai rapporti scolastici che ne scandivano l'esistenza e su cui si fonda in parte la loro identità. Hanno vissuto in spazi ristretti, senza poter esprimere la spontanea vitalità nei movimenti, schiavi di tv e tablet. E con un clima soffocante in cui si sono accumulate le tensioni dei genitori per il contagio, le loro apprensioni per le rinunce pesanti, le incertezze lavorative. La situazione degli adolescenti è, se possibile, ancora più complessa: si sono trovati bloccati in famiglia, senza poter incontrare gli amici e il mondo esterno e dovendo limitare poi le modalità della vita sociale. Come usciranno i «coronnial» dal periodo della pandemia con le nuove regole sociali che ancora impone e di fronte a una possibile ripresa dell'epidemia? Come possiamo aiutarli a superare un'esperienza che non ha precedenti per i ragazzi e per i loro genitori?
L’evoluzione tecnologica sta portando un grande progresso in molti campi della vita dell’uomo ma anche un impatto pericoloso sul suo comportamento.
Gli smartphone su cui passiamo la maggior parte del nostro tempo sono oggi vere e proprie protesi di corpo e mente e stanno conducendo a una divisione tra due cervelli: il nostro e quello che «portiamo in tasca».
Una relazione pericolosa, secondo Vittorino Andreoli, che in queste pagine ricostruisce origini e funzioni dell’organo naturale mettendolo a confronto con quello artificiale, che ne è figlio, per comprendere i rischi psicologici e sociali che la rivoluzione digitale, dal computer ai tablet, dall’invenzione del web all’avanzata della robotica, ha innescato per giovani e adulti, in famiglia, nei legami e sul lavoro.
La nostra identità rischia uno sdoppiamento? L’intelligenza artificiale da appendice diventerà parte integrante del nostro corpo prendendo alla fine il sopravvento? Sono solo alcune delle domande cui questo saggio cerca di dare una risposta con un’analisi affascinante sulle nostre origini e il futuro prossimo che ci aspetta.
Ci sono amori che quando finiscono ti scaraventano in un baratro, senza appigli per venirne fuori. Non ti sostengono il conforto degli amici né le spiegazioni che provi a darti. Puoi solo raccogliere ogni briciola di coraggio rimasta e trovare la forza di alzare lo sguardo cercando una luce. Cosa hanno in comune una moglie e un'amante? Un timido ragazzo di provincia e una donna andata in sposa a un generale dalle mille stellette? Sono uomini e donne che hanno sofferto per amore con «storie diverse per gente normale», come avrebbe cantato Fabrizio De André. In queste pagine s'intrecciano i grovigli dolorosi di Paola, Domitilla, Tommaso e Carla: raccolti da Alessandra Arachi e interpretati da Paolo Crepet per scandagliarne la mente e i comportamenti. Un racconto denso e articolato in cui gli autori scelgono di stare dalla parte in ombra dell'amore, quella parte di cui altrimenti finisce per occuparsi solo la cronaca nera. I due autori scavano nel vissuto dei protagonisti nel tentativo di aiutare loro a capire il significato delle sconfitte e noi tutti a riconoscerci e a ritrovare noi stessi. Perché la vita è un lavoro duro, soprattutto quando si cade e quando di mezzo ci sono i nostri sentimenti, la parte più fragile e sconosciuta della nostra anima.