Nel 2014 ricorre il XXV anniversario dalla scomparsa di Benigno Zaccagnini e per ricordarlo si è ripercorsa la sua vita, che è un pezzo di storia del nostro paese, attraverso la pubblicazione di un volume fotografico, in cui le immagini sono accompagnate da brevissime riflessioni di chi lo ha conosciuto. Dai cassetti della famiglia Zaccagnini, da quelli della camera dei deputati, da quelli degli amici e delle organizzazioni cattoliche sono uscite tante foto; poi le riflessioni, che risentono del disagio politico dell'oggi: il figlio Carlo, gli amici di casa, Cristina Mazzavillani Muti (Presidente di Ravenna Festival), Franco Gabici (giornalista e scrittore), gli amici politici dell'area Zac Guido Bodrato, Pierluigi Castagnetti, Natalino Guerra, poi Domenico Rosati e Pierre Carniti, che hanno guidato ACLI e CISL ai tempi delle speranze di Zac, Massimo D'Alema, la cui storia familiare si è intrecciata con quella della famiglia Zaccagnini, Ernesto Olivero, Presidente dell'Arsenale di Torino, Matteo Casadio, Presidente della Società per il Porto di Ravenna, frutto della legge Zaccagnini per lo sviluppo della sua città, il cardinale Tettamanzi che mette in evidenza la grande fede che ha ispirato Zac nei momenti felici ed in quelli difficili della sua vita, Romano Prodi, la cui originale esperienza politica nasce nel novembre 1978 proprio su sollecitazione di Zac.
«Tardi ho conosciuto Arturo Carlo Jemolo; l’ho incontrato al tramonto della sua lunga esistenza terrena.
Non che la sua persona mi fosse sconosciuta prima di quegli anni Settanta del Novecento, nel corso dei quali ebbi la ventura di una frequentazione con lui sempre più assidua. Soprattutto mi era nota la sua attività di storico e di commentatore di costume. Già da ragazzo, infatti, il suo nome mi era familiare: circolava negli ambienti che frequentavo. In particolare ne sentivo parlare da mio nonno e da mio padre, in un contesto di considerazione per l’uomo e lo studioso, ma sostanzialmente critico per il pensiero». (G. Dalla Torre)
Giuseppe Dalla Torre (Roma, 1943) ha insegnato Diritto ecclesiastico e Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Attualmente insegna Diritto canonico nella Libera Università «Maria Ss. Assunta» - LUMSA di Roma, di cui è Rettore. Nelle nostre edizioni ha pubblicato tra l’altro Il primato della coscienza. Laicità e libertà nell’esperienza giuridica contemporanea e Le frontiere della vita. Etica, bioetica e diritto, ed ha curato il volume collettaneo Lessico della laicità.
Bernard Mandeville è stato a lungo interpretato come un mero provocatore, un irriverente osservatore dell'essere umano e della società, che con la sua satira pungente colpiva coloro che si ostinavano a vedere nell'uomo una creatura benevola e altruista. Generazioni di filosofi e di studiosi non hanno visto in lui altro che questo. Lo scopo di questo volume è quello di proporre una diversa chiave di lettura del pensiero del filosofo olandese, mostrandone gli aspetti più seri e meno votati alla satira. Nello specifico, l'interpretazione che viene qui presentata ruota attorno al rapporto tra ragione e passioni, cardine delle riflessioni non solo antropologiche e morali, ma anche economiche e politiche di Mandeville. L'uomo agisce guidato dalle inclinazioni, tra le quali dominano in assoluto quelle egoistiche. E la razionalità ne esce doppiamente sconfitta: da un lato incapace di governare e dirigere le azioni umane, dall'altro incapace di prevedere l'esito delle azioni presenti o di comprendere fenomeni complessi e a lungo termine, come la nascita, la costituzione e il funzionamento della società civile. Ed ecco che Mandeville rompe lo schema che pareva legare la concezione "negativa" dell'essere umano a una forma di governo e di gestione delle attività dello stato dispotica e repressiva, per consentire solo ai teorici delle virtù morali innate di sostenere idee più orientate verso il liberalismo. Perché non è teorizzando qualità morali o intellettuali innate nell'uomo che si apre la via verso una teoria politica o economica fondata sulla libertà, tutt'altro: dal pensare che l'uomo sia in grado di tracciare una linea tra bene e male, giusto e ingiusto, e dall'attribuire a chi governa questa capacità all'imporre questa visione in modo dittatoriale il passo è fin troppo breve. Mandeville adotta una prospettiva che ha ancora oggi da insegnare qualcosa: non solo non si arreca un danno sostenendo che l'uomo sia schiavo delle passioni e dotato di razionalità limitata, ma anzi, è su questa idea che si fondano le premesse teoriche per sconfiggere le visioni assolutiste.
Queste pagine offrono una efficace sintesi dell’esperienza formativa e culturale di Aldo Moro nel periodo in cui partecipò alle attività della Fuci. Renato Moro descrive i sentimenti, le attese e il pensiero del giovane studente pugliese dall’entrata nel circolo fucino di Bari nel 1935 sino alla nomina a presidente nazionale degli universitari cattolici nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale.
L’itinerario ripercorre la storia della Fuci, erede della tradizione di Giovanni Battista Montini e di Igino Righetti, negli anni travagliati del consenso e della progressiva stretta totalitaria del regime, con particolare riferimento alla collocazione della sua proposta intellettuale nel contesto ecclesiale del tempo.
Un accentuato richiamo alla vita interiore ed ai suoi valori e il primato attribuito alla dimensione dell’impegno in chiave religiosa furono i tratti salienti della personalità del nuovo presidente Moro, all’inizio sconosciuto a gran parte della Federazione ma sin da subito cosciente del ruolo della Fuci in un’ora buia della storia italiana.
Nel pensiero e nell’opera giovanile di Aldo Moro, tesi ad un serio lavoro di formazione delle coscienze e nello sforzo di vivere pienamente la vita di studenti cristiani, si rintracciano le radici di molti sviluppi futuri della sua biografia politica.