Da circa un secolo lo Stato, straordinaria creatura della filosofia e della scienza moderne, è entrato in un processo irreversibile di crisi e declino. Tornare oggi alla lezione seicentesca di Hobbes, alla più risoluta rivendicazione del convergere di ragione e politica e della forza costruttiva di quest'ultima, può risultare un utile e affascinante viaggio alle sorgenti di un'idea della modernità che continua a mostrarsi vitale nel nostro presente. Francesca Izzo insegna Storia delle dottrine politiche all'Università Orientale di Napoli.
La parola responsabilità sembra conoscere oggi una straordinaria (e un po' sospetta) fortuna, a quasi un secolo da Weber e grazie ad autori come Jonas e Apel. Si tratta tuttavia di fare i conti, da una parte, con la povertà semantica con cui essa ricorre a buon mercato nel linguaggio politico e dei media; dall'altra, con la pretesa di definirne una volta per tutte presunti "usi legittimi", in una sorta di delirio di analisi che nasconde una non meno scoraggiante vuotezza di senso. Sottraendo la nozione di responsabilità all'ambito della cosiddetta "etica applicata", questo libro cerca di ricostruire alcune fasi di una vicenda che si rivela paradossalmente legata, piuttosto, al destino dell'estetica moderna.
Fulcro e incipit di una serie di riflessioni socratiche concepite nell'arco del decennio 1940-50, il presente saggio è incentrato sulla tesi - prettamente socratica - ma comune al modo di pensare di tutti gli antichi greci, secondo la quale l'etica sarebbe in ultima analisi fondata sulla conoscenza e, per questo motivo, scevra da ogni volontarismo. Con eruditi esempi si dimostra come sin dall'epoca omerica il greco non "vuole" ma "conosce" il bene etico, contemplandolo alla luce delle fattezze delle divinità che a lui si rivelano. Per Socrate ogni vera virtù è conoscenza e conoscere la virtù equivale ad essere virtuosi. Secondo Otto, l'etica socratica sarebbe quindi un' "etica del sapere", in cui agire dipende unicamente dalla conoscenza del "bene" morale.
Racconta Tacito nelle sue Storie che Pompeo, entrato a Gerusalemme con la forza del vincitore, ne profanasse il Tempio trovandolo vuoto e senza misteri di sorta. Ma è proprio intorno a questo vuoto che la tradizione di pensiero ebraica ha sviluppato - nel corso dei secoli - una riflessione che non smette di inquietare e interrogare chiunque si avvicini ai rotoli che compongono la Torah. Vuoto o assenza massimamente generativi, dunque, perché scaturiti da un'Origine imbrigliata in una scrittura che reclama un'interpretazione inesauribile.
Da Cartesio a Kant, prosegue la storia della filosofia moderna secondo Luciano De Crescenzo. Da Hobbes a Hume, da Pascal a Spinoza, da Voltaire a Smith, una selezione commentata del pensiero dei maggiori filosofi moderni in una serie di cammei arguti che - come dice l'autore - "sono come la scaletta di una biblioteca: servono a raggiungere gli scaffali più alti".
Minkowski, psichiatra e psicopatologo vissuto tra il 1885 e il 1972, ha elaborato questo testo nel 1936, prima e dopo la redazione delle sue due opere principali, "La schizofrenia" e "Il tempo vissuto". Nel libro sono raggruppati ventiquattro brevi testi fisolofici su vari temi, nei quali il grande psichiatra esprime la sua opposizione allo scientismo e al dominio della tecnica; trattando anche delle funzioni cerebrali, o della visione del mondo implicita nelle società moderne. Con questo titolo l'autore intendeva ampliare i limiti della psichiatria e della psicopatologia in una direzione filosofico-antropologica.
"Una rilettura del testo di Modugno su Förster e la crisi dell'anima contemporanea appare opportuna e indicativa alla luce delle diverse sollecitazioni e affinità che nell'attuale situazione socio-culturale e pedagogica si vanno proponendo. Credo sia importante far emergere il rapporto stretto e fecondo che ha legato Modugno al prussiano-tedesco Förster, soprattutto cogliendo una certa affinità all'interno delle diverse esperienze di vita che hanno attraversato e che li conduce verso lo stesso approdo: la scoperta del Cristianesimo come soluzione del problema della vita e risposta alla crisi dell'anima contemporanea."(dall'introduzione di Giuseppe Elia)
Due scienziati e due scrittori, a partire da diverse esperienze, hanno conversato con giovani universitari sul significato del termine "ragione" e sull'esperienza della conoscenza come apertura appassionata al reale. Interventi di: Marco Bersanelli, docente di Astrofisica all'Università degli Studi di Milano Davide Rondoni, poeta Massimo Caprara, giornalista e scrittore Pierluigi Strippoli, docente di Biologia e Genetica all'Università di Bologna Presentazione di Luigi Caimi
Cristo e Buddha, Socrate e Platone, Spinoza e Kant, Fichte e Schopenhauer. Poi i maestri in persona e in libro della Torino di fine Ottocento e della filosofia accademica tedesca. E ancora, la sofferenza viva e partecipata per il dolore del mondo e il desiderio di giustizia, di liberazione e di felicità. Queste le profonde radici dell’avventura spirituale e intellettuale del filosofo Piero Martinetti (1872-1943). Di Martinetti colpisce la sorprendente influenza esercitata, come professore e come maestro, con l’insegnamento e l’esempio di vita (fu tra i pochissimi docenti universitari che non giurarono fedeltà al fascismo), su molti illustri intellettuali che variamente hanno contribuito a ‘fare’ l’Italia di oggi: Bontadini, Gadda, Del Noce, Geymonat, Bobbio...
La sua proposta filosofica appare di sconcertante attualità: la filosofia come soteriologia, cioè come strumento di salvezza, che si identifica con il «relativismo religioso» facendo dello stesso Martinetti una sorta di «Socrate cristiano». Il cristianesimo, «dogmatico» e «intollerante» della Chiesa cattolica, viene svuotato e ridotto a una sorta di stoicismo (sono eliminati il Cristo-Dio e le dottrine della creazione, del peccato e della redenzione); quindi viene ‘sposato’ con l’indeterminismo teologico indiano e con l’immanentismo idealista. Ogni uomo si crea così una religione personale e, in modo autoerotico e gnostico, tenta di procurarsi la salvezza, ben sapendo però di rimanere un amante inappagato da quel Dio nascosto, conoscibile soltanto in modo simbolico, irraggiungibile e, soprattutto, inoperante, perché non conosce e non ama gli uomini.
Giuseppe Colombo (Milano 1950) è professore associato nella Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e, nella sede di Brescia, insegna Filosofia morale e Teoria della persona e della comunità. Da oltre quindici anni, inoltre, collabora stabilmente con un’importante casa editrice nel campo dell’editoria scolastica. I suoi studi e le sue pubblicazioni spaziano dalla metafisica e dall’antropologia (Conoscenza di Dio e antropologia, Milano 1988) alla teologia e filosofia cristiane (Invito al pensiero di sant’Anselmo, Milano 1990) e alle tematiche morali e bioetiche (Salute e salvezza dell’uomo: il male e la sofferenza una sfida per la ragione e per la fede, in AA.VV., Il dolore e la medicina: alla ricerca di senso e di cure, Firenze 2005).
Il presente volume viene ad aggiungersi agli studi sulla storia della filosofia italiana, e in particolare alle opere Della Volpe premarxista: l’attualismo e l’estetica (Roma 1979) e Scienza e morale nel marxismo di Galvano Della Volpe (Milano 1983).
A poche opere di filosofia è toccato il singolare destino di venire concepite al fronte durante la prima guerra mondiale. Forse soltanto i Quaderni su cui L. Wittgenstein trascriveva, a pagine alterne, impressioni privatissime e le osservazioni sulla logica che sarebbero poi divenute il Tractatus logico-philosophicus costituiscono un corrispettivo perfetto delle cartoline postali da campo, spedite sistematicamente a casa da Franz Rosenzweig, su cui presero forma in prima intuizione la struttura e il contenuto della Stella della redenzione. Non a caso entrambe queste opere presentano una nuova prospettiva che rompe radicalmente con assetti, concezioni e acquisizioni sedimentati e ritenuti intangibili nelle rispettive discipline. E non sfugge agli autori l’audacia del loro gesto teorico: Rosenzweig sa di avere lanciato con il suo libro «il guanto di sfida all’intera venerabile comunità dei filosofi dalla Ionia fino a Jena».
Con La stella della redenzione Rosenzweig è inoltre consapevole di avere scritto l’opera della sua vita, non solo perché questo lavoro costituisce il rendiconto, e la fondazione, della sua posizione intellettuale personale, ma anche perché esso inaugura un’ardita, innovativa proposta teoretica con cui si ripromette di influenzare l’intero corso della riflessione occidentale. In questo libro l’autore dà corpo all’ambiziosa speranza di portare il pensiero a una nuova condizione, facendogli prendere atto della fine della filosofia nata nella Grecia classica, connotata da processi di astrazione, staticità, essenzialismo, e avviandolo a una nuova modalità della teoresi, fiduciosa e confidente nel linguaggio, nella temporalità, nella narrazione. Condividendo le posizioni dell’ultimo Schelling, Rosenzweig si ripromette di sanare qui quella fondamentale separazione tra filosofia e teologia che condiziona da millenni il percorso intellettuale dell’Occidente e di mostrare come le due discipline possano non solo dialogare e prestarsi a vicenda inestimabili servigi, ma pure trovarsi unite in uno stesso pensatore ‘in unione personale’. Tuttavia non è questa la sola innovazione clamorosa del ‘nuovo pensiero’ qui proposto. Nella Stella della redenzione assume ruolo centrale anche una riformulazione di cristianesimo ed ebraismo, ricondotti alle loro fondamentali prospettive comuni e reinterpretati, pur nella innegabile diversità e divaricazione delle rispettive missioni, come ‘lavoratori intenti a una stessa opera’ al cospetto del medesimo Dio. Una prospettiva di durevole pax theologica tra le componenti della tradizione giudeo-cristiana per cui i tempi paiono, da molti segni, finalmente maturi.
Franz Rosenzweig (1886-1929) è uno dei massimi filosofi del Novecento. Il suo pensiero, che attinge alla tradizione ebraica, si svolge in profondo ascolto del cristianesimo e della filosofia del primo Novecento. Di Rosenzweig sono state tradotte in italiano: Hegel e lo Stato (Bologna 1976); Il nuovo pensiero (Venezia 1983); Dell’intelletto comune sano e malato (Trento 1987); La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929 (Roma 1991); La radice che porta (Genova 1992); Ebraismo, Bildung e filosofia della vita (Firenze 2000); Il filosofo è tornato a casa (Reggio Emilia 2003).
"La filosofia della mente si distingue dagli altri ambiti filosofici attuali per il fatto che tutte le sue teorie più famose e influenti sono false." John R. Searle, il più autorevole studioso della mente, smonta così le pretese della disciplina a cui egli stesso appartiene. Ma mentre confuta le teorie più accreditate rivela gli aspetti segreti e sconcertanti di quella elusiva entità che chiamiamo appunto mente umana. Comparsa dell'intelligenza, natura della coscienza, possibilità di un libero arbitrio, debolezza della volontà, struttura della decisione: tutto questo e altro ancora è al centro della riflessione di Searle.
Jullien insegna all'università di Paris-VIII e si occupa dello studio del pensiero e dell'estetica della Cina classica in una prospettiva interculturale. In questo volume analizza l'I Ching, il libro-non libro servito da testo fondamentale per tutta una civiltà, come strumento, mettendo a frutto il commento agli stessi Ching di uno dei grandi pensatori cinesi del XVII secolo, Wang Fuzhi.