È il racconto della vita quotidiana, del lavoro, dei viaggi, degli incontri e dei momenti più difficili e toccanti in un mondo devastato dalla guerra, diviso tra la voglia di democrazia e il ritorno dei Talebani, sospeso tra modernità e integralismo, segnato da bombe, attentati e da un conflitto che non è mai cessato. Il diario di Marco Henry narra l'anno di un civile italiano tra eserciti militari di differenti nazioni, a volte sopraffatto dalla paura e dalle forti emozioni che si possono vivere in un teatro di guerra. Un luogo in cui le precauzioni non sembrano mai sufficienti. In cui il rischio e la fortuna sono alleati con cui scendere a patti. Marco ha un compito, e intende portarlo a termine nel miglior modo possibile: deve occuparsi dei rifornimenti per i 2200 militari italiani che si trovano tra Kabul e Herat. Non si tratta dell'epopea di un eroe, ma delle gesta di un uomo che compie con grande professionalità il proprio lavoro, e che in queste pagine ricostruisce la realtà di una guerra senza fine.
Il libro propone una riflessione storica aggiornata sulle radici culturali dell'esperienza imprenditoriale di Enrico Mattei e dei suoi collaboratori nei momenti cruciali dello sviluppo economico nazionale e internazionale, sottolineando la relazione dialettica e originale che c'è stata fra valori morali e civili ed esigenze produttive e di mercato. In particolare, si concentra sul rapporto d'interazione che si è sviluppato fra l'Università Cattolica e la grande azienda creata da Mattei, per verificare se l'elaborazione scientifica maturata nell'Ateneo tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta ha contribuito alla formazione della cultura d'impresa di Eni, e dunque a definirne il ruolo peculiare nello sviluppo del Paese e delle aree economicamente e socialmente emergenti del pianeta. Il volume racconta le radici culturali, gli orientamenti e i mezzi attraverso cui la prospettiva dell'Eni di Mattei si è dispiegata, approfondendo la sua "politica estera" in Medio Oriente, in Unione Sovietica e in Africa, specie dal punto di vista del patrimonio valoriale cui si è ispirata. Questo aspetto emerge anche nel film-documentario Oduroh di Gilbert Bovay (Eni, 1964), allegato al libro, che racconta la storia di un giovane ghanese il quale, dopo aver frequentato la Scuola Eni di San Donato, è tornato nel proprio Paese a spendervi la formazione acquisita in Italia.
"Al passato ci si può volgere sotto una duplice spinta: disseppellire i morti e togliere la rena e l'erba che coprono corti e palagi; ricostruire, per compiacercene o dolercene, il percorso che ci ha condotto a ciò che oggi siamo, illustrandone le difficoltà, gli ostacoli, gli sviamenti, ma anche i successi. Appare ovvio che nella storia contemporanea prevalga la seconda motivazione; ma anche la prima vi ha una sua parte." Claudio Pavone, per molti anni archivista di Stato, ha insegnato come professore associato di Storia contemporanea presso l'Università di Pisa. I suoi interessi di studio si sono concentrati sulla formazione dello Stato unitario dal punto di vista istituzionale e amministrativo, sulla storia delle istituzioni in generale e sul nodo fascismo-guerra-Resistenza. Tra i suoi volumi più recenti, "Una guerra civile" (Torino 1991, più volte ristampato), "Alle origini della Repubblica" (Torino 1995) e "Intorno agli archivi e alle istituzioni. Scritti di Claudio Pavone" (a cura di I. Zanni Rosiello, Roma 2004).
26 gennaio 1943. A Nikolaevka, sul fronte russo, si svolge una battaglia memorabile: per riportare a casa ciò che resta dell'armata italiana in Russia, il corpo degli alpini deve superare undici sbarramenti, vere e proprie cinture infernali strette da un avversario superiore per uomini e mezzi. Degli oltre 200.000 uomini che erano partiti dall'Italia con la prospettiva di contribuire a una facile vittoria, poco più della metà tornerà in patria dopo sofferenze e traversie indicibili. Il volto umano e drammatico di questa epopea viene riportato alla luce grazie a molteplici e inediti punti di vista; dal semplice artigliere all'ufficiale, dal pilota d'aereo al maniscalco, dall'autiere al fante in servizio postale. Testimonianze che fanno emergere con vigore i lati oscuri come le punte di eroismo e di solidarietà che hanno fatto della ritirata di Russia il corrispettivo italiano dell'Anabasi di Senofonte. Una vicenda di straordinario significato umano, prima che militare e politico, che ha segnato il destino d'Italia e d'Europa.
A partire dal 1942 il confine orientale italiano fu il teatro di una violentissima repressione antipartigiana. Protagonisti ne furono gli uomini dell'Ispettorato generale di pubblica sicurezza, che contribuirono a spargere il terrore in tutta la regione. Non si trattò di una violenza improvvisata ed estemporanea, ma l'estremo risultato di una consumata esperienza maturata sul campo. Negli anni Trenta, infatti, molti di loro avevano già fatto parte di organismi che avevano efficacemente contrastato la mafia siciliana e il banditismo sardo. Si trattava di corpi speciali di polizia, che il regime fascista aveva creato sul modello delle contemporanee strutture di indagine politica come l'Ovra, ma di cui si potevano ritrovare dei precedenti già nella Grande Guerra e nella tarda età liberale. Fu proprio in queste circostanze che cominciò a formarsi quel ristretto gruppo di specialisti che, tra utopie d'ordine e ambizioni personali, nel corso dei rivolgimenti politici di un trentennio seppero imporsi come riconosciuti professionisti del settore. Dopo il crollo del fascismo, infatti, li ritroveremo ancora una volta in Sicilia, per fronteggiare la rinnovata emergenza dell'ordine pubblico.
"L'occupazione israeliana" offre al lettore un'interpretazione sul regime d'occupazione militare israeliano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Come e perché l'occupazione israeliana è cambiata nel corso degli anni? Israele avrebbe abbandonato gli sforzi di gestione della popolazione pur continuando a mantenere il controllo dei territori attraverso l'installazione di barriere fisiche e di un sempre maggiore uso della sua forza militare. Neve Gordon - richiamando l'attenzione sulle forme di controllo, sorveglianza e repressione impiegati nei Territori Occupati -, fornisce al lettore gli strumenti necessari per cogliere il senso dei drammatici cambiamenti intercorsi negli ultimi quattro decenni di occupazione. "L'occupazione israeliana" ha potere politico in un momento in cui, le analisi critiche sulle molteplici forme dell'oppressione israeliana faticano a trovare spazio persino nel mondo accademico. I curatori auspicano che questo testo apra un dibattito sulle conseguenze del colonialismo israeliano in Palestina e sulle possibili prospettive di resistenza.
Il Premio Pulitzer Eric Licthblau ci regala con questo libro la ricostruzione di fatti che credevamo di conoscere, ma che nessuno prima di lui aveva raccontato nei particolari. Eric Lichtblau ha controllato meticolosamente documenti inediti e ha raccolto preziose testimonianze, ricostruendo i fatti di una storia vera che ha dell'incredibile. Leggendo queste pagine si ha l'impressione di avere davanti agli occhi la sceneggiatura di un film di fantaspionaggio: la storia di come l'America divenne un rifugio sicuro per gli uomini di Hitler. È ampiamente noto che dopo il crollo del Terzo Reich migliaia di gerarchi nazisti trovarono rifugio in Sudamerica. Criminali di guerra come Mengele, Eichmann, Priebke, Barbie e numerosi altri fuggirono indisturbati, avvalendosi dell'assistenza di una misteriosa ed efficiente organizzazione, nome in codice Odessa, che operava in tutta Europa anche con l'aiuto di alte autorità ecclesiastiche e della Croce Rossa. Si sospettava che dopo la guerra molte centinaia di nazisti si fossero insediati indisturbati anche negli Stati Uniti. Incredibilmente, molti di loro, benché riconosciuti come criminali di guerra, furono reclutati dall'FBI e dalla CIA e utilizzati come informatori negli anni della Guerra fredda. A molti furono ribaltate le imputazioni a loro carico grazie all'intervento diretto del capo dell'FBI, J. Edgar Hoover.
Il generale Stanley McChrystal è il pluridecorato comandante delle forze armate statunitensi in Afghanistan. Per i suoi leali collaboratori è un eroe di guerra, un mito, una rock star. È potente, arrogante e si crede invincibile, così non obietta quando un giovane giornalista della rivista «Rolling Stone» chiede di seguirlo prima nelle sue missioni diplomatiche in Europa, poi nelle zone di guerra. Una volta che il reportage viene diffuso, però, la reazione dell'opinione pubblica è talmente scandalizzata da convincere il presidente Barack Obama a rimuovere istantaneamente il generale da ogni suo incarico. Perché quello che Michael Hastings scopre e poi descrive in questo libro irresistibile è una variopinta corte che passa il tempo tra sesso, bevute e completa indifferenza alle regole; una realtà fatta di spie che incontrano prostitute in eleganti alberghi, politici ambigui, militari ossessionati dalla carriera e ciò che è peggio di incompetenze, ego malati, lotte interne e sprechi, sullo sfondo di una missione che a McChrystal, ai suoi uomini - e forse all'America tutta - risulta incomprensibile. Spinto da un'indignazione che non spegne mai il divertimento, Hastings ci fa scoprire da vicino l'insensatezza di una guerra - e di tutte le guerre. E ci regala un meraviglioso esempio di quel giornalismo irriverente e rabbioso di cui il mondo ha oggi più che mai bisogno.
Cosa accadde davvero gli ultimi giorni prima della caduta della Repubblica Sociale Italiana e della definitiva liberazione d'Italia? Questo saggio ricostruisce, con dovizia di particolari e una ricca documentazione, il contesto di quell'epoca, focalizzando l'attenzione sulla fuga del Duce da Milano, insieme ad alcuni gerarchi fascisti. Una vicenda dai contorni misteriosi, dalla cattura all'esecuzione finale, in cui si inserisce la storia controversa dell'Oro di Dongo. Un tesoro che secondo alcune ricostruzioni consisteva in lingotti d'oro, gioielli e banconote italiane ed estere, una fortuna sottratta a molte famiglie ebree e non solo e che Mussolini portò con sé. Ma che fine fece una volta che il Duce venne catturato dai partigiani? Ha arricchito la popolazione locale? Ha rimpinguato le casse del PCI? È stato trafugato da agenti segreti stranieri? Una storia che ha il sapore di un thriller, fatta di falsi ritrovamenti e bufale giunte fino ai nostri giorni, senza dimenticare il mega processo che si tenne a Padova nel 1957, con la presenza di trentasette imputati e oltre trecento testimoni. La verità, a oltre settant'anni di distanza, sembra ancora lontana per uno dei maggiori misteri della storia moderna.
23 maggio 1992: il giudice Falcone muore nella strage di Capaci, il più cruento attentato dinamitardo organizzato dalla mafia negli ultimi anni, in cui persero la vita anche la moglie Francesca e tre uomini della scorta. Cinquantasette giorni dopo, il 12 luglio, la mafia uccide di nuovo: l'amico e collega di Falcone, il giudice Paolo Borsellino, salta in aria insieme ai cinque uomini della scorta in via d'Amelio, a Palermo. John Follain giornalista inglese inviato in Italia proprio in quegli anni - ricostruisce attentamente la dinamica degli attentati e l'inchiesta che ne seguì: dalla disperata corsa contro il tempo di Borsellino per scoprire chi avesse ucciso Falcone, nella tragica consapevolezza di essere il prossimo della lista, fino alla straordinaria parabola investigativa che portò all'arresto dei padrini Riina e Provenzano. Ma il libro fornisce anche una visione d'insieme senza precedenti sul modo in cui opera la mafia siciliana, descrivendo nel dettaglio la progettazione e la realizzazione degli omicidi dei due eroici magistrati. Sulla base di nuove ed esclusive interviste e delle testimonianze di investigatori, pentiti, sopravvissuti, parenti e amici, questo saggio racconta minuto per minuto gli eventi che hanno segnato - in maniera irreversibile - il nostro Paese e la lotta dello Stato contro la mafia.
Nel 1945 l'Europa è in ginocchio. La guerra ha lasciato ovunque macerie morali e materiali. Milioni di persone vagano per il continente alla ricerca di un luogo sicuro, della salvezza o di un vagheggiato ritorno a casa. Su questo panorama sta per calare una cortina di ferro che la dividerà in blocchi ideologici contrapposti. Oggi, a quasi trent'anni dalla caduta del muro, le 'due Europe' sono soltanto un ricordo. In un continuo confronto tra Est e Ovest, Tony Judt, una delle figure intellettuali più incisive del nostro tempo, riscrive la storia del dopoguerra a partire da un'interpretazione inedita: quell'anno fatale non è stato l'inizio di una nuova epoca, piuttosto l'avvio di una fase di transizione durata per oltre mezzo secolo. Da una parte seguiamo gli eventi che dalla rivolta ungherese del 1956 portano alla primavera di Praga, al crollo dell'URSS e al divampare dell'odio etnico nell'ex Iugoslavia. Dall'altra il Piano Marshall, le dittature fasciste di Franco e Salazar, la decolonizzazione e l'immigrazione, il '68, il pontificato di Karol Wojtyla. In questo mosaico stanno fianco a fianco con pari dignità gli effetti del boom economico, il movimento femminista, il cinema italiano, i Beatles e le mode giovanili. Il risultato è un affresco epico e attento ai dettagli, capace di restituire il carico di speranze e di fiducia nel futuro che ha rimesso in marcia il nostro continente.
L'omicidio di un operaio comunista avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1932 a Potempa, in Slesia, significa l'assassinio di Weimar? Non esageriamo: non fu certo l'unico delitto di quegli anni. La storia della Repubblica di Weimar è segnata da centinaia e centinaia di omicidi. Forse per assassinio di Weimar s'intende quello di una repubblica? Ci verrà ribattuto che vi sono molte altre date possibili per identificarne la fine: prima fra tutte il 30 gennaio 1933, il giorno in cui Hitler assunse la funzione di capo del governo. Che cosa avrebbe, allora, l'omicidio di un modesto operaio comunista avvenuto nella provincia più profonda e periferica, per poter competere con l'evento per eccellenza, con i suoi flash, le edizioni straordinarie e le sfilate alla luce delle fiaccole, vale a dire l'ascesa di Adolf Hitler alla cancelleria? Di fatto questo assassinio alimentò la cronaca giudiziaria e il dibattito politico: se ne parlò, molto, e non immotivatamente. Questo semplice atto di violenza fu percepito come un evento e lo storico può leggervi, sotto la superficie, le correnti profonde di molte storie.