Un nuovo diritto non previsto né codificato da alcuna legge si è prepotentemente affacciato, nel nostro tempo, sulla scena: il diritto al figlio. Per molti è un semplice passo in avanti sul piano della libertà individuale, reso possibile dall’inarrestabile progresso delle tecnoscienze. Per l’autrice di queste pagine è il segno di una trasformazione antropologica di vasta portata in cui sono in questione i punti nevralgici della condizione umana, a cominciare dalla generazione.
Nulla più delle modificazioni linguistiche e giuridiche è in grado di mostrare la profondità di questa trasformazione. In molti paesi i termini stessi di «madre» e «padre» vengono cancellati; la frase «nato da...» viene sostituita da «figlio di..»; la «parentela» sparisce e si affermano nuovi termini sessualmente neutri, quali «genitorialità», «progetto genitoriale» ecc. Infine, una nuova formula giuridica, il contratto di affitto dell’utero, rende giuridicamente disponibile ciò che in tutte le legislazioni occidentali è sempre stato giudicato indisponibile: il corpo umano. Il risultato è che la scena della generazione muta radicalmente.
Comprende ora, oltre ai due genitori, i donatori o la donna che affitta l’utero, i medici addetti alle operazioni necessarie, le istituzioni che mediano i rapporti fra i cosiddetti «donatori» con gli aspiranti genitori; i legali, indispensabili per definire la «proprietà» del bambino e l’eventuale anonimato del donatore.
Un teatro in cui scompare un’unica figura: la madre, quale detentrice unica, secondo Lucetta Scaraffia, di quella capacità di procreare che da sempre gli uomini hanno invidiato alle donne.
«In proporzione con i suoi marmi, i suoi affreschi, l’Italia ha ereditato questa retorica istupidente, questa nozione della cultura classica come qualcosa che nobilita grazie al semplice contatto, come la mano del sovrano nelle superstizioni medievali...»
In Mio figlio professore, anno 1946, il bidello Aldo Fabrizi, diventato padre, annuncia che da grande il figlio farà «er professore de latino». Ben pochi genitori, oggi, direbbero una cosa del genere. Il libro parte da questa constatazione per riflettere sul futuro dell’istruzione umanistica. Lo fa avanzando alcune proposte sul modo in cui questa istruzione si potrebbe riformare, a scuola e all’università; e interrogandosi su alcune questioni cruciali: se il canone umanistico che ha formato le generazioni passate ha ancora un senso e un’utilità; se è possibile comunicarlo non a un’élite di studenti ma a una massa; e se insomma la trasmissione di quel sapere corrisponde davvero alla «buona battaglia» che molti insegnanti ritengono di combattere, o se invece è tutta un’illusione, una favola che ci raccontiamo per non dover ammettere che le cose che una volta credevamo vere e importanti non lo sono più.
Si potrebbe dire di Medea ciò che dice Omero della nave Argo su cui essa ha viaggiato: è stata «raccontata da tutti». Tutti però l'hanno raccontata in modo differente. Nessuna delle più di quattrocento riletture letterarie, operistiche, cinematografiche, pittoriche ne ha restituito l'immagine completa e definitiva. Il suo nome è associato per sempre a un gesto inconcepibile - il figlicidio - ma Medea non ha una sola dimensione: è umana, ma è depositaria di saperi e poteri che trascendono quelli umani; è una donna, ma è più virile di tanti uomini; è passionale, ma non perde mai la sua lucidità; è una barbara, ma tiene testa a quanti passano per civilizzati, è portatrice di una cultura arcaica ma è emancipata più di qualunque donna greca, è una carnefice ma anche una vittima. Il suo segno è l'ambiguità. Medea incarna il diverso; compendia tutto ciò che è sospetto, inquietante, repulsivo, inaccettabile, e proprio per questo ci interpella sulla nostra capacità di includere nel nostro quotidiano ciò che non ci appare immediatamente omologabile. È una profuga che viene respinta da una nazione dopo l'altra e che uccide i figli forse anche volendo scongiurare loro una vita di vagabondaggio e di umiliazioni. Il destino di quest'antica migrante tocca nell'Europa di oggi dei nervi scoperti. Quando rivendica i suoi diritti di donna e di madre o quello di rimanere fedele alla sua cultura d'origine proviamo simpatia per lei; ma quando si spoglia della sua umanità per consegnarsi a un'alterità assoluta e insondabile non siamo più disposti a immedesimarci in lei. Trasferire, in tutto o in parte, sulle spalle degli 'altri' - ossia le nostre -le colpe di Medea equivale ad ammettere che Medea non è poi cosi 'altra'. Serve a esorcizzare il pensiero disturbante che Medea è, o potrebbe essere, una parte oscura di noi stessi. Del resto, le cronache di tutti i giorni ci dicono che le madri assassine non esistono solo nel mito, ma sono attorno a noi.
«La post-verità è il frutto maturo e velenoso di un albero che molti giardinieri hanno contribuito a innaffiare e concimare: alcuni con buone, altri con pessime intenzioni, altri ancora senza interrogarsi troppo sulle possibili conseguenze. Ma perché allora proprio oggi questa improvvisa attenzione, questo soprassalto di interesse e di allarme?».
Eletta parola dell’anno 2016 dall’Oxford Dictionary, la post-verità è entrata ormai nel linguaggio giornalistico e nel parlare comune. Su che cosa sia, come ci siamo arrivati, quali gli effetti positivi e quelli perversi c’è una grande confusione e un’asfissiante retorica. In un incalzante percorso attraverso concetti filosofici, teorie sociologiche, strategie comunicative e originali interpretazioni di eventi e processi sociali dall’inizio del Novecento fino ad oggi – dal sorgere dei mass media ai social network – questo saggio è una guida per chi vuole capire che cosa sta succedendo nella società e nella cultura occidentale senza moralismi e catastrofismi.
Guido Gili insegna Sociologia della comunicazione e dei media nell’Università del Molise, dove è stato preside della Facoltà di Scienze Umane e Sociali e ha diretto il dottorato in Sociologia e ricerca sociale. Ha insegnato nelle università di Bologna, Macerata e Luiss “Guido Carli” (Roma). Componente di comitati scientifici di Centri di ricerca, Fondazioni e riviste, ha anche fatto parte del Consiglio di Amministrazione del quotidiano “Avvenire”. I suoi studi hanno contribuito a illuminare temi fondamentali come la credibilità, la manipolazione, l’ecologia della comunicazione, la violenza dei media, le dinamiche dell’opinione pubblica. Tra i suoi lavori più recenti: Comunicazione, cultura, società. L’approccio sociologico alla relazione comunicativa (con F. Colombo), La Scuola, Brescia 2012.
Giovanni Maddalena insegna Filosofia della comunicazione e del linguaggio nell’Università del Molise. Affermato studioso di semiotica, di Peirce, del pragmatismo americano, di Vasilij Grossman, è membro del Comitato scientifico internazionale dell’École Normale Supérieure di Parigi. Ha tenuto corsi di insegnamento e cicli di conferenze in università francesi, statunitensi e latino-americane. È autore di una proposta filosofica originale in The Philosophy of Gesture, McGill-Queen’s University Press, Montreal 2015. Per Marietti ha curato l'edizione italiana di Owen Barfield, Salvare le apparenze. Uno studio sull'idolatria (2010) ed è autore, con Guido Gili, del saggio Chi ha paura della post-verità? Effetti collaterali di una parabola culturale (2017). La sua opera prima di narrativa è la raccolta di tragedie teatrali I sicofanti - Irene. Dilogia del potere (2012).
Dieci anni fa usciva "La casta", un libro che ridefiniva il discorso politico italiano: la fine dei partiti tradizionali, l'odio per le élite in generale, l'indignazione di chi si sentiva escluso e defraudato. Oggi quel risentimento si è rovesciato in una forma di orgoglio: la fine della politica come la conoscevamo non ha generato un vuoto, ma una galassia esplosa di esperienze tra il grottesco, il tragico e l'apocalittico. Dai forconi alle sentinelle in piedi, dai «cittadini» che s'improvvisano giustizieri all'esplosione delle proteste antimigranti, "La Gente" è il ritratto cubista dell'Italia contemporanea: un paese popolato da milioni di persone che hanno abbandonato il principio di realtà per inseguire i propri incubi privati, mentre movimenti politici vecchi e nuovi cavalcano quegli incubi spacciandoli per ideologie. Leonardo Bianchi ha scritto un reportage su un paese che non si può raccontare se non a partire dalle sue derive, e l'ha fatto seguendo ogni storia con la passione di un giornalista d'altri tempi, il rigore dello studioso che dispone di una prospettiva e di un respiro internazionali.
Cosa significa essere Italiani oggi? Quale è la vera identità nazionale di un popolo che spesso si denigra? Quale è il nostro Spirito? Chi siamo noi Italiani?
Il libro fornisce risposte basate su molti dati statistici inconfutabili e sulle analisi di 21 prestigiosi ed autorevoli studiosi, che sono stati intervistati. Il volume lascia sorpresi ed orgogliosi, intende essere un “manualetto di italianità”, fa scoprire molto dell’animo italiano, rifiuta il nazionalismo ma induce all’orgoglio nazionale.
Gli Italiani hanno un DNA di stampo realistico e pertanto sono flessibili; hanno un carattere comunicativo. La nostra Nazione ha una congenita sintonia con la Bellezza, per questo ha potuto creare tante opere d’arte.
Il volume espone i molti oggettivi dati di fatto che dovrebbero imporci di essere fieri dell’italianità; presenta l’Italia come non l’avete mai vista, opposta agli stereotipi correnti. Punta il faro sulla nostra attuale identità. Mentre quasi tutti sottolineano solo i problemi del Paese, questo libro sfida i luoghi comuni e mette in luce quel tanto che c’è di buono in Italia e nel nostro essere Italiani.
L’autore rivolge un invito: gli Italiani compiano il Miracolo Spirituale di credere in sé e costruiscano un nuovo Rinascimento italiano.
Tutti i popoli hanno virtù e difetti; anche il popolo italiano ha difetti; il principale consiste nel fatto che ignora il proprio grande valore.
Il libro potrebbe interessare in primis studenti del triennio finale di scuole secondarie di II grado ed i loro docenti, in particolare quelli di storia e filosofia.
Roberto Napoletano racconta gli anni della grande crisi che ha colpito al cuore l’Italia e l’Europa, vissuti da direttore del “Messaggero” e del “Sole 24 Ore”.
Colloqui riservati a tutti i livelli, italiani e internazionali, segreti, rivelazioni scottanti, protagonisti e comparse che si intrecciano come in un romanzo thriller, in cui la posta in palio è altissima e molto reale. Una storia che inizia nel novembre del 2011, quando si abbatte sull’Italia il Cigno nero – la tempesta perfetta dei mercati – e arriva fino ad oggi, allo scontro aperto su Bankitalia e le macerie del sistema bancario italiano. Attraverso nuovi incontri inediti e prove documentali, Napoletano riscrive la storia della grande crisi italiana, la crisi sovrana e la crisi bancaria, mettendo a nudo responsabilità nascoste. Il complotto non esiste, l’Italia non diventa la nuova Grecia, ma paga salato il conto dell’errore fatale di Trichet, allora presidente della Banca centrale europea. Pesano sul paese gli interessi geopolitici dei nostri “cari alleati” e si allungano le mani predone della finanza d’oltralpe. A salvarci sarà il provvidenziale arrivo di un Cavaliere bianco, il nuovo presidente della Bce Mario Draghi. Intanto gli italiani vivono la parabola di Berlusconi, i sacrifici del governo Monti, i tentativi del giovane Letta, il coraggio e le trame di Renzi. È il passaggio tra un mondo vecchio e il mondo di oggi. Le grandi famiglie industriali si dileguano in un capitalismo di relazione che non muore mai, le banche sono investite loro malgrado dal ciclone della doppia recessione e, grazie al lavoro silenzioso degli uomini del Tesoro e della Banca d’Italia, si evita il fallimento del paese. Questa rilettura avvincente della storia del risparmio rivela che si è arrivati a un passo dalla fuga dei depositi e per colpa di chi. Si scopre una zona grigia dove si arricchiscono tanti “furbacchioni” e si rovinano molti disgraziati. Fuori, a combattere ogni giorno la battaglia della competitività, resiste una speranza: un sistema di imprese familiari, cresciute in Italia ma ormai globali, che vince nel mondo perché innova, senza chiedere aiuti a nessuno.
È dal 1967 che, con i suoi rapporti annuali, il Censis fotografa la realtà italiana, fornendo al pubblico uno strumento qualificato e completo per analizzare e interpretare i fenomeni, i processi, le tensioni e i bisogni del paese. Per Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis, ripercorrere il lavoro svolto in questi cinquant'anni non è solo ricordare quello che è avvenuto, ma anche «fare memoria» e fare autocoscienza collettiva di quel che siamo stati e di quel che siamo. È l'autocoscienza collettiva l'obiettivo principale di un istituto di ricerca da sempre privato, autonomo e indipendente. Uno scopo esplicitato soprattutto in quelle Considerazioni generali che hanno aperto ogni rapporto annuale del Censis: agili saggi, innovativi nel lessico e immaginifici nell'uso di metafore memorabili, che offrono le chiavi di lettura dei fatti raccontati dai dati statistici e dei processi sociali di lunga durata. Questo volume raccoglie in un testo organico e completo le Considerazioni scritte da De Rita nell'arco di mezzo secolo: scorrono tra le pagine gli anni della contestazione e del terrorismo, il sommerso e l'esplosione della piccola impresa, la crescita del ceto medio e la vitalità di una società «molecolare» il cui sviluppo si è propagato «dappertutto e rasoterra», tra la fine di un secolo e l'inizio di quello nuovo.
La malnutrizione infantile è una condizione subdola e purtroppo tenace, perché i suoi effetti si prolungano su tutto l’arco della vita dell’individuo, determinando conseguenze al livello fisico e psicologico anche quando la persona è ormai adulta. Diffondere informazioni e consapevolezza su questo problema e ipotizzare possibili piani di intervento non riveste soltanto un primario valore sociale ma contribuisce a creare le premesse per una condizione di benessere allargato che è parte integrante del bene comune.
La riforma delle Banche Popolari ha colpito un sistema che per centocinquant’anni ha finanziato la crescita delle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto connettivo del Paese. Perché questo sistema è stato colpito in Italia e mantenuto altrove? A chi faceva comodo – magari in Europa – indebolire il nostro apparato industriale già messo a dura prova da dieci anni di crisi economica e dalla moneta unica? Fino all’arrivo dell’Unione Bancaria le banche popolari non hanno mai pesato sui contribuenti visto che la categoria risolveva i problemi al suo interno. Diversamente da quanto accaduto con le banche commerciali a cominciare dalla nascita dell’Iri negli anni ‘30. La riforma delle banche popolari è stata fatta con un decreto. Una procedura certamente anomala già condannata da diversi giudici. La scelta del governo Renzi precede di poche settimane la svolta della Bce che avvia il programma di acquisto di titoli di Stato in Europa. Il piano mette in sicurezza il debito pubblico italiano e consente allo Stato di risparmiare circa venti miliardi di interessi. Può sembrare uno scambio. Il sistema delle popolari non era una foresta pietrificata ma un universo in evoluzione che stava già disegnando una proposta di riforma. Perché il governo non ha dato tempo e modo di confrontarsi su questo progetto? Ora che le principali banche popolari non sono più popolari, il credito al territorio – col giusto criterio – non sarà più assicurato. Le banche dei grandi fondi punteranno tutto sul risparmio gestito, senza rischi. E le imprese che vorranno finanziarsi dovranno ricorrere al capitale di rischio. Chi potrà lo farà ma ai piccoli imprenditori cosa resta?
Negli ultimi anni la meditazione è passata dall’essere una pratica elitaria a rimedio per risolvere qualunque problema, dal sovrappeso alle relazioni di coppia e al successo nel lavoro. La plasticità del cervello, per cui la struttura di questo organo è influenzata dalle emozioni e dagli stati mentali, è ormai ampiamente condivisa e ha aperto la strada a una serie di metodi di “training mentale” che si propongono di migliorare la vita emotiva e intellettuale.Daniel Goleman e Richard J. Davidson raccontano in questo libro il loro interesse più che trentennale per la meditazione e le ricerche fondamentali che li hanno resi dei luminari rispettivamente nella psicologia e nel neuroimaging, spiegando la verità medica su quello che la meditazione può fare veramente per noi, e come trarne il massimo beneficio.Facendo piazza pulita dei miti popolari e delle distorsioni pseudo scientifiche, gli autori dimostrano che, al di là del benessre mentale, la meditazione può condurre alla modifica permanente dei tratti della personalità, facendo emergere qualità come l’altruismo, l’empatia e la compassione. Per ottenere questo risultato, però, sono necessari alcuni elementi che attualmente mancano nella versione più comune di mindfulness: come il feedback personalizzato e una visione del Sé più ampia di quanto non accada ora. Per questo, basandosi sugli ultimissimi dati ottenuti nel laboratorio diretto da Davidson, gli autori indicano nuovi metodi per sviluppare un addestramento mentale più efficace e più duraturo.
Da qualche decennio è in corso un processo all'apparenza irreversibile: la trasformazione del nostro paese in una repubblica giudiziaria, dove giustizia e politica si intrecciano, si confondono, si equivalgono. Il giusto processo somiglia sempre più a una santa inquisizione in un sistema dai tempi pachidermici che lascia la vittima senza risposte e il colpevole impunito. Annalisa Chirico descrive le origini di tali storture mettendone a fuoco i pericoli e le ricadute sulla libertà dei cittadini e sulla competitività del paese. Al grido di «resistenza costituzionale», certe frange giudiziarie hanno condotto mille crociate in barba al principio della separazione dei poteri. Oggi impazza il «populismo penale», cavallo di battaglia di quanti, nell'agone politico, alimentano la falsa credenza del giudiziario come lavacro per la società intera. Il magistrato assume di volta in volta il ruolo dell'imprenditore, del sindacalista, dello scienziato, addirittura del legislatore, in una «giudicatura» che infligge il colpo di grazia al primato della politica.