Seduto alla scrivania di casa – sopra di lui lo sguardo vigile di Kurt Vonnegut, accanto a lui una finestra aperta su campi e boschi –, Michele Serra scrive le sue amache. Se non è a casa, le scrive dove capita: in treno, in macchina, al bar, in autogrill, ovunque. Praticamente senza sosta, ogni giorno, da un quarto di secolo. Ormai sono quasi ottomila corsivi, quasi ottomila opinioni: abbastanza per sentirsi “un caso umano”, per voltarsi indietro e interrogarsi sulle ragioni e la sostanza di tutto questo. Ecco allora la precoce familiarità di Serra con libri e macchine per scrivere, il debito di riconoscenza nei confronti di persone e luoghi che lo hanno formato, la scoperta delle parole più ricorrenti tra le centinaia di migliaia battute sulla tastiera. Fra tutte, le più utilizzate sono due, sinistra e politica. “Se l’ho scritta ben 1321 volte, la parola ‘sinistra’, è sicuramente perché stavo cercando di spiegare prima di tutto a me stesso che cosa volevo dire esattamente, dicendo sinistra. Lo stimolo fondamentale della scrittura, direi non solo della mia, è l’ignoto.” Una riflessione emozionata e comica sul mestiere di scrivere, pubblicata in sincrono con Il grande libro delle amache, in cui si può leggere la storia di questi venticinque anni mentre accadevano. Questo libretto ne è la postilla e il compendio.
Per ridere, per riflettere, per lasciarci appesi una domanda, un dubbio. Venticinque anni di consuetudine quotidiana raccolti in un volume, duemilacinquecento opinioni che Serra si diverte a rileggere, commentare e reinterpretare, aggiungendo qui e là la sua voce di oggi a quella di ieri
Diffidate di chi non sa ridere. In genere non sa neanche piangere
Dal 1992 al 2017 Michele Serra, prima dalle pagine dell'«Unità» con la rubrica «Che tempo fa», poi da quelle della «Repubblica» con le sue amache, ci ha abituato ogni giorno a un suo corsivo. Per ridere, per riflettere, per lasciarci appesi una domanda, un dubbio. E venticinque anni di consuetudine quotidiana sono un anniversario che merita un regalo. Nasce così l'idea di selezionare e raccogliere in questo volume cento corsivi per ciascuno di questi anni: duemilacinquecento opinioni, che Serra qui si diverte a rileggere, commentare e reinterpretare, aggiungendo qui e là la sua voce di oggi a quella di ieri e aprendo ogni anno con un riassunto dei principali avvenimenti (ma non solo) che diviene sintesi fulminante in grado di restituire la complessità del nostro vivere e delle nostre insensatezze. In fondo al volume una serie di apparati consente al lettore più curioso un'indagine trasversale dei testi – attraverso i protagonisti, i partiti, le tematiche che ci hanno scosso per un quarto di secolo –, per tutti gli altri resta il gusto di sfogliare le pagine, come si sfoglia un album di fotografie. Per ricordarci chi siamo guardandoci allo specchio.
Silvia sta per cantare sul palco dell’Ariston, in diretta televisiva, la canzone che la renderà celebre, e torna con la mente alla sua infanzia trascorsa senza voce. Rivive le giornate silenziose trascorse dai nonni, impegnati nei loro laboriosi mestieri, e ritorna nella casa dei genitori affollata da parenti e amici accorsi per il funerale della sorellina Laura. Silvia è stata una bambina senza voce, l’aveva persa da qualche parte. O forse la teneva chiusa a chiave perché nessuno nella sua famiglia poteva ascoltarla, tutti resi sordi dal dolore troppo grande per la scomparsa di Laura. Finché un giorno ritrova la sua voce chiusa in un cassetto, insieme a quella della sorella, in attesa di essere riscoperta. Partendo dal suo piccolo paese in Sicilia, Silvia riesce a realizzare il sogno di fare la cantante passando per il palco del Karaoke di Fiorello e di Castrocaro, in una storia di riscatto e caparbietà, di conquiste e rinunce, per scrivere un finale diverso rispetto a quello che il destino sembrava averle assegnato.
Daoud è riuscito nell’impresa di fare della cronaca un vero e proprio genere letterario, offrendo ai suoi contemporanei uno specchio per interrogarsi, giorno dopo giorno – grazie o malgrado l’attualità – sugli uomini, sulla religione, sulla libertà.
Kamel Daoud è considerato una delle voci più importanti e indipendenti della cultura europea e mediorientale. Da quindici anni scrive per “Le Quotidien d’Oran”, tra i maggiori quotidiani algerini, collaborando inoltre con diversi media e giornali stranieri. Dal 2010 al 2016 ha firmato circa duemila pezzi – all’inizio destinati al pubblico del suo paese, poi, vista la sua crescente popolarità, letti nel mondo intero – e più di quattrocento sono confluiti in questa raccolta, in cui il ritmo e il respiro della sua scrittura costruiscono un’estetica d’insieme coerente e compatta. Sia che affronti le questioni politiche dell’Islam, la radicalizzazione religiosa – denunce che gli sono costate una fatwa e l’esilio dal paese – o le delinquenze del regime algerino, sia che abbracci la speranza suscitata dalle primavere arabe, o che difenda i diritti delle donne, la sua è una penna originale, visionaria, impegnata e penetrante. Daoud è riuscito nell’impresa di fare della cronaca un vero e proprio genere letterario, offrendo ai suoi contemporanei uno specchio per interrogarsi, giorno dopo giorno – grazie o malgrado l’attualità – sugli uomini, sulla religione, sulla libertà.
Scelti e pubblicati da Mondadori nel 1947, a cura di Lavinia Mazzucchetti, i testi etici e politici raccolti in questo libro furono scritti da Thomas Mann tra il 1922 e il 1945. La silloge si apre con il grande discorso berlinese del 1922 «Della repubblica tedesca» che segna l'approdo di Mann al pensiero democratico, e comprende tra l'altro la lettera al preside dell'università di Bonn che gli aveva tolto la laurea honoris causa, e i cinquantacinque radiomessaggi violentemente antinazisti inviati dall'America al popolo tedesco durante la guerra. Come scrive Giorgio Napolitano nella sua Introduzione, «la riflessione di Mann resta incancellabile - al di là dell'influenza che poté esercitare nel suo Paese prima e dopo essere stato costretto all'esilio -, riflessione che di certo non poté essere tale da salvare la Germania da quindici anni di regressione barbarica. È una lezione che torna ad ammonirci e illuminarci, nelle crisi sociali, culturali e politiche di questo inizio del XXI secolo in Europa».
Brigate rosse, Gladio, Aldo Moro: sono nomi che evocano alcune tra le pagine più drammatiche del nostro recente passato, su cui tanto è stato scritto. "Cuore di Stato" offre tuttavia una prospettiva inedita: quella della Legge, di chi ha dedicato buona parte della propria vita alla difesa delle Istituzioni e ha indagato con tenacia la criminalità politica nel suo retroterra logistico, morale, ideologico. Attraverso il racconto in prima persona delle numerose inchieste condotte dal giudice Mastelloni, emergono verità dirompenti: strategie occulte e intrecci istituzionali che hanno pesantemente condizionato la nostra vita democratica. Indagare sulle Brigate rosse e sull'assassinio di stampo politico ha infatti significato ampliare il raggio della ricerca a tutti coloro che all'epoca rivestirono un ruolo di primo piano e al contesto generale della politica italiana degli anni Settanta: ecco allora le inchieste sulla tragica vicenda di Aldo Moro e di numerose altre vittime della lotta armata e la minuziosa ricostruzione delle attività del Superclan, l'organizzazione clandestina costituita da Corrado Simioni, i cui componenti poi confluirono nella scuola di lingue Hyperion di Parigi. Tuttavia, come afferma l'autore, «il crimine in cui ci si imbatte può rappresentare la punta di un iceberg, il semplice sintomo di un fenomeno ben più vasto»: e così, l'inchiesta sui rapporti tra Br e Olp - che condusse Mastelloni a incriminare Yasser Arafat - ha fatto emergere misteriose triangolazioni di armi congegnate dallo Stato italiano; mentre le indagini sulla caduta nel 1973 dell'aereo Argo 16 si sono rivelate utili alla lettura da un lato dei segreti protocolli del nostro governo con l'Olp (il cosiddetto «Lodo Moro»), dall'altro del meccanismo della struttura segreta Stay-Behind/Gladio nonché dell'operato, anche sul nostro territorio, dei Servizi segreti israeliani. L'obiettivo di Carlo Mastelloni è quello di aiutare a capire meglio la ragione del susseguirsi dei delitti perpetrati dalle varie organizzazioni eversive di estrema sinistra contro il «cuore dello Stato» e al contempo di illustrare gli aspetti più occulti del «cuore dello Stato» e le difficoltà in cui ci si imbatte nell'affrontare verità scomode per il potere politico, che spesso rispose a tali inchieste opponendo il segreto di Stato. Una storia dell'Italia sconosciuta ai più, che non mancherà di suscitare nuovi interrogativi.
In questo libro, Edward Luce affronta con chiarezza il progressivo indebolirsi dell'egemonia occidentale e la crisi del liberalismo, problemi di cui i populismi che proliferano in Europa e in America sono un sintomo, non la causa. Abbiamo imboccato, a detta di Luce, una traiettoria discendente. I motivi? L'arroganza delle élite nei confronti degli ultimi, dei dimenticati dal mercato, e l'errata convinzione che il sistema dovesse durare per sempre. Non si può guarire senza una diagnosi, per quanto severa possa apparire. E secondo Luce, a meno che l'Occidente non riesca a costruire un'economia capace e di cui possano beneficiare quante più persone possibile, la sua libertà corre seri pericoli. Unendo giornalismo ed esperienze di prima mano a una sintesi di alto livello della letteratura economica e sociologica più recente, Luce offre un ritratto del mondo contemporaneo e una ricetta per coloro che credono nei valori nati dall'Illuminismo e vogliono difenderli dagli attacchi cui sono sottoposti ogni giorno.
«Alla fine, è sempre colpa nostra. Colpa della nostra coscienza sporca, colpa dell'Europa debosciata e corrotta. Perfino a Rimini. 'Sono senza Allah, devastati dalla società occidentale', ha gridato l'imam, commentando il terrificante stupro di una coppia di giovani e una transessuale da parte di un ventenne congolese, in Italia per motivi umanitari, e tre minorenni, due marocchini e un nigeriano. Colpa dell'Occidente decadente e dissoluto. E dire che in casa hanno il versetto del Corano appeso alla porta. Ma l'imam ha puntato il dito, e nessuno ha osato contraddirlo. Al contrario, solo pochi giorni dopo l'agghiacciante episodio, è scoppiata una gran cagnara attorno a un'avvocata che si occupa di pari opportunità. 'Dobbiamo accogliere. Ma anche educare alle regole chi viene nel nostro Paese', ha detto pacatamente Carmen Di Genio, ricordando semplicemente che molti stranieri giungono da Paesi in cui le donne sono considerate meritevoli di rispetto quanto un posacenere. Dati confermati del resto anche dall'OCSE, l'organizzazione internazionale che si occupa di cooperazione e sviluppo. Ma no, non si può dire. Apriti cielo. L'islamofollia impone il prezzo aggiuntivo del giustificazionismo radicale, della contrizione perenne, del piagnisteo ipocrita, oppure del silenzio. Anche di fronte ai deliri, alle minacce, agli orrori, agli attentati terroristici. Pena la censura, il pubblico ludibrio, la scomunica, il bavaglio. Ecco, noi non ci stiamo: vogliamo continuare a fare anche in questo caso il nostro mestiere, esporre i fatti, tutti, elencare e smascherare le bugie, chiamare le cose per nome. Vogliamo dar conto nel dettaglio 'di un'ideologia che giustifica, promuove, celebra e incoraggia questi atti', per usare le parole illuminanti di un'attivista dei diritti come Ayaan Hirsi Ali. Perché la realtà ci dice che i moderati veri nel mondo musulmano mettono in gioco la propria vita, sono costretti a vivere sotto protezione, ricevono minacce e insulti, vengono emarginati dagli altri musulmani. Gli estremisti dettano legge, tutti gli altri subiscono. Noi vogliamo infrangere il tabù. Raccontare questa follia di cui non si può parlare. Senza arrenderci alla gioia della sottomissione.»
La competizione e la punizione, l'invidia sociale e la colpa, la vergogna e il ricatto, sono i nodi di un progetto divisivo in cui le membra del corpo sociale si elidono invece di sommarsi e tendono allo zero civile. La crisi produttiva, occupazionale e sociale del nostro paese non è che il capitolo di un arretramento più generale dei diritti e del benessere diffuso che sta investendo l'Occidente democratico. Le sue cause sono spesso raccontate con gli strumenti della politica e dell'economia. Con questa raccolta ragionata di saggi l'autore si propone di «raccontare quel racconto» per individuare nella rappresentazione del declino e, paradossalmente, delle ricette con cui si pretende di superarlo, la sua radice più profonda e tenace. Il «romanzo» dei capitali che occupano lo Stato reclamandone le prerogative con vincoli finanziari, privatizzazioni, deflazione competitiva e cessioni della sovranità popolare è tanto più pericoloso in quanto acclamato dalle sue stesse vittime e tollerato da chi vi si deve opporre. Prefazione di Alberto Bagnai.
Il mondo è caduto preda della "teologia" liberista dell’accumulazione e della crescita infinita, secondo la quale il mercato è onnisciente, onnipotente e onnipresente: conosce il valore di ogni cosa, può innalzare le nazioni o mandare in rovina intere famiglie. Nulla sfugge al suo potere di mercificazione e non gli mancano certo le dottrine, i profeti e lo zelo "evangelico" per convertire il mondo al proprio stile di vita.
Secondo il teologo americano Harvey Cox è necessario smascherare questa pseudoteologia e dimostrare che il modo in cui opera l’economia mondiale non è naturale né inevitabile, ma è plasmato da un sistema di valori e simboli globali, che diventano più comprensibili quando vengono interpretati come una religione.
Per Cox è dunque in atto una divinizzazione del mercato e tutti i problemi del mondo – crescita delle disuguaglianze, riscaldamento globale, ingiustizie causate dalla povertà mondiale – sono sempre più difficili da risolvere.
Don Chisciotte è un matto che fa ridere e un brav’uomo che commuove. Questa contraddizione ne costituisce la modernità fondamentale, un tratto paragonabile a una sola figura della letteratura europea: il principe Amleto di Shakespeare, anch’egli avvolto in un dilemma radicale. Mentre Don Chisciotte unisce illusione e dinamismo lasciandosi disarcionare ogni volta, la mente fine di Amleto scopre tutte le menzogne del mondo, ma non è in grado di agire come dovrebbe e come ritiene di fare.
Da quattrocento anni l’eroe di Cervantes ignora i confini, attraversa le frontiere e cavalca in quell’enorme spazio comune di ispirazione che è l’Europa, lo spazio in cui l’identità del continente si radica, contrapponendo alla violenza il viaggio delle storie narrate e recitate, dei quadri, della musica, delle idee e delle filosofie.
Corruzione, potere, legalità. Un appassionante dialogo sui vizi della nostra democrazia.
La legge in equilibrio è legame sociale. Se rompe l’equilibrio, ne è il disfacimento, la frattura, cioè corruzione.
La corruzione è una piaga che infetta gran parte della vita sociale e politica del nostro Paese, in misura non solo eticamente inaccettabile ma anche economicamente insostenibile. Proprio all’Italia sembra infatti spettare un non onorevole posto tra le nazioni più corrotte al mondo: ovunque si formino aggregati di potere, lì alligna il rischio del malaffare. Prendendo le mosse da questi presupposti drammatici che troppo spesso consideriamo immutabili e ai quali sembriamo quasi assuefatti, Gherardo Colombo e Gustavo Zagrebelsky si confrontano con schiettezza e reciproco rispetto discutendo da punti di vista diversi e complementari il senso ultimo del nostro vivere in comunità. Con la consapevolezza che la democrazia può rappresentare un ambiente favorevole alla diffusione della corruzione e scavando nella nostra natura e nel desiderio tipicamente umano di raggiungere fama, potere e ricchezza anche a costo di sopraffare il prossimo, i due autori discutono di letteratura e filosofia del diritto, spaziano dalla storia all’attualità più recente, in un dialogo che sarà motivo di riflessione per quanti ancora credono nell’onestà, nella correttezza e nei principi della nostra Costituzione.