Quale miglior modo di raccontare il fascino e le stranezze dell'arte contemporanea che un viaggio intorno al mondo nei luoghi dove se ne celebrano i riti e se ne fabbricano i miti? Sarah Thornton lo ha scandito in sette tappe, ciascuna delle quali illumina un aspetto fondamentale di questo universo sempre in bilico tra creatività e moda, profondità e superficie, estetica e affari. Da New York, dove riviviamo una giornata in una delle più celebri case d'asta della Quinta Avenue, a Tokyo, dove visitiamo lo studio di un famoso artista giapponese, passando per un seminario all'Istituto d'arte di Los Angeles e la redazione di un'influente rivista internazionale, siamo immersi in un viaggio frenetico, che appassiona e informa. E poi ovviamente i grandi eventi e i loro retroscena: la lotta per aggiudicarsi il premio Turner di Londra, le manovre dei collezionisti alla Fiera di Basilea, il mondo dorato della Biennale di Venezia.
Da qualche decennio l’arte romanica è alla moda. La si osserva archeologicamente, la si studia con moderni metodi filologici, la si visita persino nei viaggi organizzati. Piace la sua austerità imponente, la sua essenzialità percepita come segno di una forte religiosità, la sua facies nuda, spoglia, sobria. Ma la basilica di Ripoll o il Fondaco dei Turchi a Venezia sono veramente edifici romanici? Le cupole della cattedrale di Périgueux o la facciata di quella di Le Puy sono davvero medievali? Le statue lignee raffiguranti la Madonna e Cristo con il volto nero erano proprio così brutte e scarnificate? Ma l’arte romanica che oggi abbiamo davanti ai nostri occhi corrisponde davvero a quella medievale? In questo libro si mette in discussione il concetto stesso di romanico e di arte romanica, ne si indagano le origini, e soprattutto si contestualizza la sua genesi storiografica nel particolare contesto culturale della prima metà dell’Ottocento, quando in tutta Europa per la prima volta si scoprì, come d’improvviso, la produzione artistica anteriore all’avvento di quella maniera di costruire che Vasari definì come tedesca o portata dai Goti. In quei decenni segnati dalle campagne napoleoniche e dal Congresso di Vienna, tra Neoclassicismo e Romanticismo, i paesi dell’Europa decisero di riappropriarsi del proprio passato nazionale, catalogando, restaurando, studiando e anche ricostruendo l’arte costitutiva di ciascuna nazione: il romanico. Il libro analizza l’elaborazione storiografica e nazionalistica dell’idea di romanico, e ne decostruisce le invenzioni e gli errori, ponendo l’accento su alcune questioni controverse, come la popolarità degli artisti, il ruolo della donna nell’universo artistico misogino dell’epoca o la ricca policromia degli edifici. Ma nello stesso tempo svela la vera personalità del Medioevo romanico, dalla Francia all’Italia, dall’Inghilterra alla Catalogna, mettendo a confronto idee e modelli architettonici e figurativi, in un dialogo che dové essere in quei secoli molto più vivace e vitale di quel che oggi abitualmente pensiamo.
Tutti, almeno una volta nella vita, davanti a un'opera d'arte contemporanea abbiamo pensato: "Questo lo potevo fare anch'io!". Eppure i critici ci assicurano che si tratta di capolavori, mentre i collezionisti spendono cifre da capogiro per quadri che sembrano tele imbrattate e sculture che appaiono come ammassi di rottami. Come è possibile che una tela strappata possa chiamarsi "arte"? Gli artisti contemporanei sempre più spesso occupano le pagine dei giornali, mentre il loro lavoro è circondato da un'aura di mistero che ne fa un prodigio alla cui comprensione sembrano ammessi solo pochi eletti. Eppure tutte le grandi capitali del mondo occidentale hanno ospitato esposizioni sempre più grandi e costose, producendo un giro di affari di tutto rispetto. Francesco Bonami sfida il lettore ad "assaggiare" le opere senza pregiudizi, aiuta a capire cosa distingue un grande da un pessimo artista, cosa ha fatto sì che Marcel Duchamp o Andy Warhol abbiano superato la prova del tempo e perché invece tanta parte del lavoro di un pittore come Renato Guttuso o di uno scultore come Arnaldo Pomodoro siano sopravvalutati. Spiega perchè Anish Kapoor piace a tutti al primo sguardo e ci svela cosa si nasconde dietro il clamore e lo scandalo delle opere di Maurizio Cattelan. E se è vero che nell'ultimo secolo l'arte si è evoluta al punto da essere quasi irriconoscibile, Bonami ci fa capire una volta per tutte perché non è vero che potevamo farlo anche noi.
Poche settimane prima di suicidarsi, Vincent Van Gogh dipinge il ritratto del proprio medico: Paul-Ferdinand Cachet. Il ritratto è quello di un vecchio seduto a un tavolo rosso. Un pugno scheletrico sostiene la testa, l'altra mano giace appoggiata sul tavolo con le dita leggermente allargate. Indossa un cappello color panna e una giacca blu scuro. La posa è quella classica della melanconia. O meglio, come scrive Van Gogh all'artista e amico Paul Gauguin, "nel mio ritratto il dottore ha l'espressione affranta del nostro tempo". Questo libro è la storia del quadro e delle incredibili vicende di cui fu il vero protagonista. Un'avventura che dura cento anni. Inizia nel 1890 e continua fino al 1990, quando il "Ritratto del dottor Cachet" approda a Manhattan e durante un'asta di Christie's, lotto 21, viene aggiudicato per 82,5 milioni di dollari. Il quadro viaggia ininterrottamente da Parigi ad Amsterdam, a Copenhagen, Berlino, Weimar, poi è di nuovo a Parigi, Francoforte, Berlino, Amsterdam, e infine a New York e Tokyo. Da una città all'altra, da un continente all'altro. Passa di mano in mano di molti proprietari: ricchi artisti d'avanguardia, galleristi famosi e senza scrupoli, collezionisti appassionati, direttori di museo che cercano di salvarlo dalla furia della propaganda di regime, ricchi banchieri e anche un membro dell'elite nazista.
"Paulette Jourdain, che era allora una bambina, si ricorda che la notte in cui Modigliani morì all'ospedale, Zborowski non volle che Jeanne dormisse nello studio della Grande Chaumière. Paulette l'accompagnò in un piccolo albergo della rue de Seme. L'indomani Jeanne andò all'ospedale per rivedere Amedeo. Il padre, silenzioso e ostile, l'accompagnò. Rimase sulla soglia, racconta il dottor Barrieu, mentre Jeanne si avvicinava al cadavere. "Non lo baciò" scrive Stanislas Fumet, amico d'infanzia, con la moglie Aniuta, di Jeanne "ma lo gnardò a lungo, senza dir nulla, come se i suoi occhi si appagassero della sua disgrazia. Si ritirò camminando a ritroso, fino alla porta. Conservava il ricordo del viso del morto e si sfrozava di non vedere nient'altro". L'indomani, all'alba, Jeanne Hébuterne si gettò dal quinto piano. "Sembrava un angiolo" disse Foujita, che non rifugge dalla cattiva letteratura. Chantal Quenneville scrive: "Jeannette Hébuterne si era rifugiata dai suoi genitori, cattolici offesi della sua unione con l'ebreo Modigliani, e non diceva una parola. Erano trascorsi due o tre giorni quando domandai ad Andre Delhay: 'E Jeannette?'. Mi guardò male. Si era gettata, la mattina, dalla finestra del quinto piano della casa dei suoi genitori.
In questo volume Berenson passa in rassegna le grandi scuole e i massimi maestri della pittura italiana del Rinascimento. Scrisse Benedetto Croce: "Nel rileggere il libro su "I pittori italiani del Rinascimento", mi pareva di leggere quasi una continuazione della "Storia della letteratura italiana" del De Sanctis, col suo insistere sul carattere poetico proprio dei poeti, e qui di ciascun pittore. E vorrei osservare che le idee del Berenson hanno bisogno di abbandonare le angustie nelle quali sinora si sono rinserrate, ed essere accolte nei grandi saloni della filosofia, dove troveranno sede degna e possibilità di svolgimenti adeguati".
Questo libro presenta un'approccio nuovo all'arte sacra: una visione del tutto originale, interdisciplinare, che permette di cogliere pienamente il significato complessivo dell'opera della cappella, di indicarne i tesori e svelarne i segreti.
Giovan Battista Piranesi: incisore, scenografo, antiquario, ma prima di tutto, come venne definito dai suoi molti oppositori e rivali, "architetto scellerato". "La croce e la sfinge" racconta la vita di questo artista d'eccezione e dei suoi figli, la sua storia ribelle e avventurosa, che inizia a Venezia, per proseguire nella Roma delle rovine; la storia di un uomo le cui idee rivoluzionarie suscitano scandalo, così come il legame con la potente famiglia di Papa Rezzonico, che pensa di usarlo per i propri scopi politici. Ma questi sono solo alcuni dei tanti azzardi che caratterizzano l'esistenza di un irregolare dell'arte e del pensiero, che nel progetto di restauro della chiesa di San Giovanni in Laterano e nella costruzione della chiesa di Santa Maria del Priorato sull'Aventino si avvicina sempre più ai simboli dei crociati e alla mitologia dei templari, un amore tossico che aliena sempre più a Piranesi le simpatie dei vertici ecclesiastici. Pierluigi Panza profonde in questa grande avventura il rigore del saggista e dell'erudito, ma, prima ancora, la capacità del narratore di immergersi nella materia infuocata di un'esistenza fuori dalle regole e di elevarla a simbolo di un'intera epoca: il Settecento dei misteri, degli oscuri simboli esoterici e dei poteri occulti che scuotevano le certezze del secolo dei Lumi e minacciavano la Chiesa. II libro è arricchito da documenti inediti e riproduzioni delle incisioni di Giovanni Piranesi.
Atelier Dante propone il testo di una conferenza, tenuta nell'ambito del festival Dante 09 (Ravenna, settembre 2008) in cui l'autrice ha raccontato i pittori e le figure del vedere dantesco, da Giotto a Cimabue, dagli affreschi ravennati ai chiostri bolognesi, fino alle immagini che il poema ispirò nei secoli successivi: Michelangelo, Rodin, Previati.
"Mi si rimprovera di presentare nei miei quadri oggetti situati in posizioni in cui non li vediamo mai. Si tratta nondimeno della realizzazione di un desiderio reale, se non propriamente cosciente, per la maggior parte degli uomini. In effetti già il pittore banale cerca, nei limiti prefissati, di modificare l'ordine in cui vede gli oggetti. Si permetterà timide audacie, vaghe allusioni. In considerazione della mia volontà di far urlare il più possibile gli oggetti più familiari, l'ordine nel quale gli oggetti solitamente si collocano doveva essere evidentemente sconvolto; le crepe che noi vediamo nelle nostre case e sul nostro volto, mi sembravano più eloquenti in cielo; le gambe di un tavolo in legno tornito perdevano l'innocente esistenza che si attribuisce loro se apparivano dominare d'improvviso una foresta; un corpo di donna librantesi al di sopra di una città sostituiva gli angeli che non mi apparvero mai; trovavo molto utile vedere il di sotto della Vergine Maria e la mostrai in questa nuova luce; i sonagli di ferro appesi al collo dei nostri mirabili cavalli preferivo credere che spuntassero come piante pericolose al bordo di abissi... Quanto al mistero, all'enigma rappresentato dai miei quadri, dirò che era questa la prova più convincente della mia rottura con l'insieme delle assurde abitudini mentali che generalmente sostituiscono il sentimento autentico dell'esistenza". (René Magritte)
Dante pose tra i dannati dell'Inferno il padre di Enrico Scrovegni, Rainaldo, bollandolo come usuraio. Per molto tempo questa condanna ha portato ritenere che il figlio avesse fatto erigere la cappella padovana per espiare i propri peccati di usura, e quelli del genitore.
Il libro di Chiara Frugoni capovolge questa tenace interpretazione, accolta ancora di recente. Enrico, banchiere, imprenditore e uomo politico, attraverso Giotto volle proclamare il buon uso delle ricchezze, se impiegate in opere caritative, e presentarsi con il volto del mecenate. A questa tesi l'autrice giunge esaminando da una parte numerosissimi documenti d'archivio e il lungo e appassionato testamento del committente - rimasto fino ad oggi inedito, e qui pubblicato, tradotto e puntualmente commentato da Attilio Bartoli Langeli -, dall'altra analizzando scena per scena gli affreschi, riprodotti nel ricco apparato illustrativo. Un'attenzione particolare è riservata da Chiara Frugoni alla fascia dei Vizi e delle Virtú alternati a finti marmi (questi ultimi indagati nel loro significato da Riccardo Luisi), letta come la parte piú personale di Enrico.
Il saggio, intrecciando con grande finezza fonti testuali e iconografiche, disegna una biografia nuova e sorprendente di Enrico Scrovegni, desideroso di catturare attraverso il programma pittorico il consenso e la gratitudine dei concittadini.
«A cosa mirava Enrico, quando, all'incirca sulla trentina, cominciò a costruire la "parva ecclesia"? Che cosa avrebbe voluto diventare? Probabilmente in questa fase della vita l'ambizioso Scrovegni vedeva per il suo futuro più profili possibili: grande banchiere, influente uomo politico, uomo di potere e forse addirittura al potere; per questo cercava di tenere aperta ogni eventualità. [...] Attraverso gli splendidi affreschi Enrico Scrovegni volle istituire un colloquio continuo con la sua città e presentarsi ancora con un altro profilo, quello del mecenate. Facendo un uso caritatevole delle ricchezze accumulate le rimetteva in circolo, beneficando i padovani di doni spirituali. Inoltre, chi si ricorderebbe oggi di Enrico se non ci fosse stato Giotto? In definitiva quelle pitture furono il migliore affare del grande finanziere».
il libro raccoglie un testo di Giovanni Reale ed Elisabetta Sgarbi sui "compianti" in terracotta di Niccolò dell'Arca, Guido Mazzoni e Antonio Begarelli. In questi gruppi scultorei, capolavori dell'arte umanistica e rinascimentale, si racchiude una lezione di straordinaria intensità sull'esperienza del dolore e della separazione, alla luce di una fede. A esprimere la disperazione dei personaggi rappresentati nei "compianti" anche i testi inediti di cineasti internazionali, come Michael Cimino e George Remerò, e di scrittori di diversa provenienza, come Antonio Scurati, Diego Marani, Pino Roveredo, Lucrezia Lerro e Vittorio Sgarbi, interpretati dalle voci intense di Anna Bonaiuto e Toni Servillo.