Qual è stato il contributo dei cattolici italiani ai rapporti tra Roma e Pechino nel periodo della Guerra fredda? Analizzando l'operato di diverse personalità del mondo cattolico e democristiano come Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Vittorino Colombo e Giulio Andreotti, il volume ricostruisce un'importante azione di promozione del dialogo tra l'Italia e la Repubblica popolare cinese sul piano politico, economico, culturale e religioso. Nel corso della Guerra fredda, Pechino venne sempre più visto come un attore fondamentale per favorire la pace e superare la divisione in blocchi. Questa convinzione permise ai cattolici italiani di andare oltre le distanze ideologiche, politiche, storiche e culturali che separavano i due Paesi, all'insegna dei valori del dialogo e della conoscenza reciproca.
Una straordinaria immersione nell'underground religioso della tarda antichità dove eresie cristiane e giudaismo si confondono nella magia di antichi culti egizi e mediorientali.
Il Sessantotto è inseparabile oggi dalle sue rappresentazioni successive, dal racconto che su di esso hanno costruito una produzione scientifica e una memoria costruite quasi esclusivamente da un unico punto di vista, quello del movimento studentesco, della generazione dei protagonisti. Ma gli altri attori? I molti che sulla scena pubblica e privata furono direttamente coinvolti nelle vicende della contestazione studentesca: docenti, studenti all'epoca estranei o contrari al movimento, genitori, fratelli e sorelle di età diverse e magari lontane, e poi in generale l'establishment politico? Esiste una loro memoria del Sessantotto? Ed è questa memoria diversa, altra da quella del movimento? Quante differenze e quante contaminazioni? Quali, soprattutto? Ecco le domande che presiedono a questi due volumi. E che si sono concentrate su chi, inevitabilmente, a prescindere dal proprio giudizio e dal proprio atteggiamento verso i 'contestatori' di allora, ha condiviso con quelli - materialmente negli stessi spazi e virtualmente dentro lo stesso discorso - ciò che accadeva nell'università durante quel periodo. A chi, insomma, seppure con altro protagonismo, fece parte in quell'anno del corpo docente coinvolto nelle lotte studentesche.
Storico curioso dai molteplici interessi, Gianvittorio Signorotto ha saputo riflettere, nel corso della sua attività di studioso, su molte questioni: le vicende religiose dell'Italia moderna, la Lombardia spagnola e borromaica, la magnificenza delle corti europee, i concetti di progresso, crisi e decadenza. Seguendo come filo conduttore la modernità, il volume raccoglie i saggi con cui amici e colleghi hanno reso omaggio ai molti ambiti che le ricerche di Signorotto hanno stimolato ed esplorato, attraversando alcuni nuclei salienti: l'intreccio tra politica, religione e diplomazia, passando per Milano; l'incontro fra l'Europa cattolica e gli altri mondi; la riflessione storiografica e culturale. Il quadro che ne emerge è quello di un mondo in costante trasformazione, in cui il mestiere di storico assume, come Signorotto ha mostrato, un valore tutt'oggi inesaurito.
Le riforme del Codice dei beni culturali avviate nell'ultimo decennio hanno generato un ampio confronto, non solo fra gli addetti ai lavori. In particolare la liberalizzazione dell'uso delle immagini del patrimonio culturale pubblico per fini di studio, ricerca e libera manifestazione del pensiero, introdotta nel 2014 (c.d. Art bonus), ha suscitato una presa di coscienza dell'importanza della percezione della pubblicità del patrimonio da parte della popolazione italiana. Il dibattito si è quindi esteso a considerare l'ipotesi di libero riutilizzo delle riproduzioni di beni culturali, anche per quelle finalità commerciali rimaste sinora escluse dal regime di liberalizzazione. Al centro di questo volume, nel quale sono pubblicati gli atti dell'omonimo convegno promosso dalla Fondazione Aglaia (Firenze, 11/06/2022), si collocano interrogativi di stringente attualità: ha senso oggi porre limiti, in piena era digitale, alla diffusione delle immagini del patrimonio culturale pubblico? Come impedire l'uso di un bene immateriale che appartiene a tutti? E, soprattutto, perché? Nella prima parte del volume sono chiamati a misurarsi con questo tema giuristi, economisti, rappresentanti dell'università, del ministero e dell'associazionismo, mentre la seconda parte raccoglie esperienze tratte dall'imprenditoria culturale e da istituti culturali pubblici e privati.
L'agenda orizzontale 2024 con le illustrazioni di Mafalda.
Torna la prima avventura di Cane Puzzone, quella da cui tutto ebbe inizio, ma in formato extra large! Poi corri in fondo al libro: ti aspettano una nuova storia (ambientata in Italia!) e tanti adesivi per giocare con i personaggi della serie più puzzona di sempre. Età di lettura: da 6 anni.
Dory non è più una bambina, quindi smettete di chiamarla Birba: ora è Rainbow ed è una ragazza. O almeno, le piacerebbe. Ma i fratelli continuano a giocarle tiri mancini, poi la mamma annuncia che sta per arrivare una grossa novità e Dory va nel panico! Come se non bastasse, la signora Arraffagracchi si presenta con un vestito a fiori e le dice che sta per sposarsi: non vorrà conquistare suo padre?? Dory è in forma più che mai in questa esilarante e attesissima avventura! Scopri il fantasmagorico mondo di Dory! Età di lettura: da 6 anni.
Le pagine seguenti si propongono come un florilegio delle risposte date nei primi decenni del cristianesimo alla domanda su chi è Gesù. È un recupero del linguaggio proprio delle prime comunità che, essendo esse stesse diversificate, hanno pensato e parlato di Gesù in modi differenziati. Ci si propone di cogliere sul nascere, dal vivo, l'autentico pensiero sulla identità di quell'«ebreo morto troppo presto» (Nietzsche), espresso dai primi credenti. «Il secolare patrimonio culturale del pensiero e dell'arte dimostra che sono stati davvero molti i pensatori e gli artisti, per non dire dei santi, ad aver tratto ispirazione dalla figura e dalla vicenda di Gesù di Nazaret, «che non è improprio definire tra le più dense di pathos e di logos mai offerte dalla storia». Vale perciò la pena scandagliare i suoi lineamenti sulla base dei testi più antichi che lo riguardano e ne rivelano una stimolante pluralità di volti». (Romano Penna)
«L'impresa di cercare di scrivere romanzi "apocrifi", cioè che immagino siano scritti da un autore che non sono io e che non esiste, l'ho portata fino in fondo nel mio libro Se una notte d'inverno un viaggiatore. È un romanzo sul piacere di leggere romanzi; protagonista è il Lettore, che per dieci volte comincia a leggere un libro che per vicissitudini estranee alla sua volontà non riesce a finire. Ho dovuto dunque scrivere l'inizio di dieci romanzi d'autori immaginari, tutti in qualche modo diversi da me e diversi tra loro ... Più che d'identificarmi con l'autore di ognuno dei dieci romanzi, ho cercato d'identificarmi col lettore: rappresentare il piacere della lettura d'un dato genere, più che il testo vero e proprio. Ma soprattutto ho cercato di dare evidenza al fatto che ogni libro nasce in presenza d'altri libri, in rapporto e confronto ad altri libri.»
«Stavolta Calvino si è spinto più a ritroso nei secoli e il suo romanzo si svolge tra i paladini di Carlomagno, in quel Medioevo fuori d'ogni verosimiglianza storica e geografica che è proprio dei poemi cavallereschi. Ma il sapore delle invenzioni calviniane è più che mai moderno. Quando sarebbe stato possibile dar vita ad Agilulfo, il cavaliere inesistente, se non oggi, nel cuore della più astratta civiltà di massa, in cui la persona umana tanto spesso appare cancellata dietro lo schermo delle funzioni, delle attribuzioni e dei comportamenti prestabiliti? ... Ma quel che più conta è che Il cavaliere inesistente si legge prescindendo da tutti i possibili significati, divertendosi alle avventure di Agilulfo e di Gurdulù, della fiera amazzone Bradamante e del giovane Rambaldo, del cupo Torrismondo, della maliziosa Priscilla e della placida Sofronia. In mezzo al succedersi di trovate buffonesche, di battaglie e duelli e naufragi, non si tarda a scoprire l'accento solito di Calvino, la sua morale attiva e il suo ironico e malinconico riserbo, la sua aspirazione a una pienezza di vita, a un'umanità totale.»
«Un ragazzo sale su di un albero, si arrampica tra i rami, passa da una pianta all'altra, decide che non scenderà più. L'Autore di questo libro non ha fatto che sviluppare questa semplice immagine e portarla alle estreme conseguenze: il protagonista trascorre l'intera vita sugli alberi, una vita tutt'altro che monotona, anzi: piena d'avventure, e tutt'altro che da eremita, però sempre mantenendo tra sé e i suoi simili questa minima ma invalicabile distanza. Ne è nato un libro, Il barone rampante, piuttosto insolito nella letteratura contemporanea, scritto nel 1956-57 da un autore che aveva allora trentatré anni; un libro che sfugge a ogni definizione precisa, così come il protagonista salta da un ramo di leccio a quello d'un carrubo e resta più inafferrabile d'un animale selvatico. Il vero modo d'accostarci a questo libro è quindi quello di considerarlo una specie di Alice nel paese delle meraviglie o di Peter Pan o di Barone di Münchhausen, cioè di riconoscerne la filiazione da quei classici dell'umorismo poetico e fantastico».