Dopo Scacco alla superclass (Mimesis, 2016), Giorgio Galli e Francesco Bochicchio tornano in libreria con un saggio che intende fare chiarezza sul rapporto tra crisi e ruolo delle multinazionali. È corretto affermare che l'attuale situazione abbia coinvolto tutti i livelli della scala sociale, oppure qualcuno ne ha persino tratto vantaggio? La seconda parte, del giurista e esperto finanziario e di diritto bancario Francesco Bochicchio, certifica la natura endogena della crisi. Contrariamente da quanto sostenuto da Schmidt e Robbins, l'economia attuale si è alterata a tal punto da non poter essere più considerata una scienza dei mezzi. L'opera a quattro mani di Galli e Bochicchio si propone di descrivere i danni causati da questa preoccupante mutazione.
Il volume raccoglie scritti sulle politiche economiche italiane ed europee che derivano da nove anni di attività parlamentare dell'autore. Il filo conduttore è la drammatica crisi italiana a partire dal 2008, osservata e vissuta da un economista in Parlamento. In una prima parte vengono esaminate le imperfezioni della costruzione europea e la debolezza della crescita italiana, che dura ormai da quasi vent'anni. L'analisi si sofferma poi sulle recenti riforme tributarie, in particolare sulla fine del segreto bancario e sul tentativo di costruire nuove relazioni collaborative e non più repressive fra contribuenti e amministrazione fiscale. Altri argomenti trattati riguardano la crisi bancaria in Italia, la riforma delle banche popolari, la riforma della struttura azionaria della Banca d'Italia, la riforma del bilancio pubblico e i nuovi poteri dello Stato per la difesa degli interessi strategici (golden power). Si tratta del rendiconto ragionato del lavoro di un parlamentare, un esercizio di accountability democratica che fornisce elementi utili di informazione e riflessione su diverse questioni che hanno rilievo per la discussione pubblica del Paese.
Il volume offre un’analisi ampia e rigorosa della finanza pubblica, considerata luogo di indagine di saperi disciplinari che troppo spesso comunicano poco tra loro (economia pubblica, scienza delle finanze, diritto finanziario e tributario, ragioneria e contabilità pubblica).
Curatori e Autori hanno inteso orientare la propria indagine sul complesso degli atti economici e giuridici che lo Stato e gli altri enti territoriali politici pongono in essere in ordine all’acquisizione, all’amministrazione ed all’erogazione di mezzi finanziari ai fini del perseguimento dei loro fini ed obiettivi (sia sul versante dell’entrata che della spesa).
L’opera, per le riflessioni scientifiche contenute, appare particolarmente preziosa per studenti e studiosi, per l’esperienza professionale dei decisori politici e degli amministratori pubblici e per i dirigenti e funzionari di uffici finanziari, oltre che per coloro i quali si avvicinano alle diverse discipline coinvolte, in vista di prove concorsuali (magistratura contabile, amministrazioni finanziarie, enti locali).
Gli interventi tenuti da Carlo Azeglio Ciampi nell'arco di quasi due decenni (dal 1981 al 1992 e dal 1996 al 1998) all'Assemblea annuale dell'Associazione Bancaria Italiana in qualità di Governatore della Banca d'Italia e, successivamente, di Ministro del Tesoro raccontano l'evoluzione economica e sociale del nostro paese. I quindici contributi riuniti in questo volume approfondiscono i temi di specifico rilievo per le banche e fanno il punto sul cammino di un'Italia impegnata ad evolvere verso una nuova dimensione europea, all'interno di un quadro civile e politico caratterizzato da eventi drammatici (le strategie stragiste, anche di stampo mafioso) ed epocali (la caduta del muro di Berlino e la costruzione dell'Europa unita). Ciampi scandisce in modo chiaro, rigoroso e documentato, i tempi del definitivo riconoscimento della natura imprenditoriale dell'attività svolta dalle banche e della necessità che essa si svolga in un regime di concorrenza; più in generale, sancisce la necessità che Governo e Parti sociali convergano nell'attivazione di un circuito virtuoso volto alla sconfitta del fenomeno inflattivo e al contenimento del debito pubblico. In tale contesto Ciampi, nella sua veste di Ministro del Tesoro, afferma l'impegno a costruire un quadro economico compatibile con l'ingresso a pieno titolo fin dal primo momento dell'Italia nel gruppo costitutivo dei paesi europei che avrebbero avuto moneta unica. Postfazione di Pier Carlo Padoan.
Pur essendo asse portante della nostra economia, spesso restano alla periferia dei grandi progetti di politica industriale. Sono le piccole e medie imprese italiane, una galassia di oltre 4 milioni di aziende che generano un fatturato aggregato di più di 2 mila miliardi di euro dando lavoro a 16 milioni di persone, ma su cui la politica appare spesso distratta. Questo libro le inserisce al centro di un dialogo serrato tra due personaggi che le conoscono bene: un imprenditore Paolo Agnelli e un politico Matteo Richetti. Il risultato è una sorta di spontaneo manifesto delle piccole e medie imprese italiane. Leggendo fino in fondo questo libro si avrà l'impressione di aver attraversato velocemente uno spaccato sociologico del nostro Paese.
Siamo ciò che consumiamo. Dall'Italia del Rinascimento e la Cina dei Ming all'odierna economia globalizzata, questo libro racconta la straordinaria storia delle cose che nei secoli hanno sedotto, arricchito e trasformato le nostre vite; dimostrando come il consumismo sia un fenomeno davvero globale, con un passato molto piú lungo di quanto possiamo credere.
La riforma delle Banche Popolari ha colpito un sistema che per centocinquant’anni ha finanziato la crescita delle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto connettivo del Paese. Perché questo sistema è stato colpito in Italia e mantenuto altrove? A chi faceva comodo – magari in Europa – indebolire il nostro apparato industriale già messo a dura prova da dieci anni di crisi economica e dalla moneta unica? Fino all’arrivo dell’Unione Bancaria le banche popolari non hanno mai pesato sui contribuenti visto che la categoria risolveva i problemi al suo interno. Diversamente da quanto accaduto con le banche commerciali a cominciare dalla nascita dell’Iri negli anni ‘30. La riforma delle banche popolari è stata fatta con un decreto. Una procedura certamente anomala già condannata da diversi giudici. La scelta del governo Renzi precede di poche settimane la svolta della Bce che avvia il programma di acquisto di titoli di Stato in Europa. Il piano mette in sicurezza il debito pubblico italiano e consente allo Stato di risparmiare circa venti miliardi di interessi. Può sembrare uno scambio. Il sistema delle popolari non era una foresta pietrificata ma un universo in evoluzione che stava già disegnando una proposta di riforma. Perché il governo non ha dato tempo e modo di confrontarsi su questo progetto? Ora che le principali banche popolari non sono più popolari, il credito al territorio – col giusto criterio – non sarà più assicurato. Le banche dei grandi fondi punteranno tutto sul risparmio gestito, senza rischi. E le imprese che vorranno finanziarsi dovranno ricorrere al capitale di rischio. Chi potrà lo farà ma ai piccoli imprenditori cosa resta?
In questo libro, Edward Luce affronta con chiarezza il progressivo indebolirsi dell'egemonia occidentale e la crisi del liberalismo, problemi di cui i populismi che proliferano in Europa e in America sono un sintomo, non la causa. Abbiamo imboccato, a detta di Luce, una traiettoria discendente. I motivi? L'arroganza delle élite nei confronti degli ultimi, dei dimenticati dal mercato, e l'errata convinzione che il sistema dovesse durare per sempre. Non si può guarire senza una diagnosi, per quanto severa possa apparire. E secondo Luce, a meno che l'Occidente non riesca a costruire un'economia capace e di cui possano beneficiare quante più persone possibile, la sua libertà corre seri pericoli. Unendo giornalismo ed esperienze di prima mano a una sintesi di alto livello della letteratura economica e sociologica più recente, Luce offre un ritratto del mondo contemporaneo e una ricetta per coloro che credono nei valori nati dall'Illuminismo e vogliono difenderli dagli attacchi cui sono sottoposti ogni giorno.
La competizione e la punizione, l'invidia sociale e la colpa, la vergogna e il ricatto, sono i nodi di un progetto divisivo in cui le membra del corpo sociale si elidono invece di sommarsi e tendono allo zero civile. La crisi produttiva, occupazionale e sociale del nostro paese non è che il capitolo di un arretramento più generale dei diritti e del benessere diffuso che sta investendo l'Occidente democratico. Le sue cause sono spesso raccontate con gli strumenti della politica e dell'economia. Con questa raccolta ragionata di saggi l'autore si propone di «raccontare quel racconto» per individuare nella rappresentazione del declino e, paradossalmente, delle ricette con cui si pretende di superarlo, la sua radice più profonda e tenace. Il «romanzo» dei capitali che occupano lo Stato reclamandone le prerogative con vincoli finanziari, privatizzazioni, deflazione competitiva e cessioni della sovranità popolare è tanto più pericoloso in quanto acclamato dalle sue stesse vittime e tollerato da chi vi si deve opporre. Prefazione di Alberto Bagnai.
Il mondo è caduto preda della "teologia" liberista dell’accumulazione e della crescita infinita, secondo la quale il mercato è onnisciente, onnipotente e onnipresente: conosce il valore di ogni cosa, può innalzare le nazioni o mandare in rovina intere famiglie. Nulla sfugge al suo potere di mercificazione e non gli mancano certo le dottrine, i profeti e lo zelo "evangelico" per convertire il mondo al proprio stile di vita.
Secondo il teologo americano Harvey Cox è necessario smascherare questa pseudoteologia e dimostrare che il modo in cui opera l’economia mondiale non è naturale né inevitabile, ma è plasmato da un sistema di valori e simboli globali, che diventano più comprensibili quando vengono interpretati come una religione.
Per Cox è dunque in atto una divinizzazione del mercato e tutti i problemi del mondo – crescita delle disuguaglianze, riscaldamento globale, ingiustizie causate dalla povertà mondiale – sono sempre più difficili da risolvere.
Prefazione di Paolo Savona
Ha senso oggi, per un privato, investire in una banca italiana? Il settore – dopo anni di pulizia dei bilanci e ricapitalizzazioni mostruose – rappresenta ancora un’opportunità oppure è un rischio mal calcolato? La risposta di Ernesto Preatoni, imprenditore che ha dato il via a una carriera caratterizzata da una serie di geniali intuizioni proprio attraverso l’acquisizione e la successiva vendita di alcuni tra i più importanti istituti di credito italiani, è tranchant: le banche oggi non solo non rappresentano un affare, ma addirittura costituiscono, nella stragrande maggioranza dei casi, imprese rischiosissime quando non tecnicamente fallite. Aziende che un imprenditore coscienzioso non vorrebbe gestire neppure se gli venissero regalate. Aziende che possono essere salvate solo dallo Stato. Da qui il titolo di questo nuovo libro, in cui Preatoni racconta la ratio con la quale decise di puntare sul settore del credito negli anni ’90, i successi raccolti attraverso le operazioni condotte, ma anche lo sconcerto provato, scoprendo fino a che punto si fossero deteriorati, nel giro di pochi anni, i bilanci delle banche italiane. Preatoni racconta i retroscena di un settore – quello bancario – che se l’uomo della strada ha sempre percepito come paludato e guidato da rigidi e illuminati tecnici in grisaglia, si rivela, sin dagli anni ’80, nella realtà, come un insieme di imprese con a capo funzionari poco preparati, spesso guidati nelle proprie scelte dall’amicizia con questo o quel rappresentante di qualche centro di potere sul territorio. Imprese che sembrano aver fatto utili nonostante manager insipienti e attenti solo ad accrescere il proprio potere. Nel corso del libro l’autore ricostruisce la parabola discendente del settore, dando conto a tutti quei piccoli risparmiatori convinti, loro malgrado, a investire in azioni e obbligazioni di banche fallite, del perché il credito sia arrivato a un tale punto di deterioramento e del perché in molti, già parecchi anni fa, probabilmente conoscessero quanto avanzato fosse lo stato di crisi delle banche italiane. Insomma: il settore, così com’è, difficilmente potrà continuare a sostenere l’economia reale. Il mercato e la regolamentazione europea non lo permettono più. Gli istituti di credito non hanno perciò un futuro? Secondo l’autore potrebbero non averlo, a meno che chi li gestisce non adotti un nuovo modello di business per tornare a fare banca. Come? Attraverso un cambio, radicale, di paradigma, che adegui il settore ai nuovi scenari di mercato.