La riflessione di Guardini sulla vita morale e le sue strutture si è svolta sempre in feconda osmosi con quella sulle forme dell'impegno intellettuale, sulle manifestazioni della fede, sulla partecipazione liturgica, sui fenomeni culturali come visioni del mondo, sulle grandi svolte dello spirito nella storia. Anche queste meditazioni non escludono agganci alla filosofia, alla teologia, alla scienza delle religioni. Il discorso non è quindi puramente esortativo e 'moralistico'. Vi si annoverano invece pagine tra le più nitide e profonde stese dall'Autore, con anticipazioni geniali sul divenire del costume del nostro tempo. L'accettazione o accoglienza, la pazienza, la giustizia, il rispetto, la fedeltà, la singolare virtù ch'è l'assenza di intenzioni o propositi, la quale potrebbe equivalere all'autentica 'gratuità', l'ascesi, al di là dei sospetti psicanalitici, il coraggio, la bontà, la comprensione, la cortesia, di cui è fatta una garbata apologia in uno spietato esame delle ragioni del suo attuale declino, la riconoscenza, il disinteresse, il raccoglimento, il silenzio: 'virtù' che - indagate a un livello apparentemente soltanto di convivenza umana dignitosa e riguardosa si svelano, nella Postilla, tessere d'un mosaico il cui disegno segreto è la giustizia davanti a Dio.
DESCRIZIONE: Un titolo pregnante e promettente, quello che, con semplicità, Romano Guardini ha aggiunto a una ricca raccolta di saggi, di trattati, di conversazioni culturalmente ambiziose sulla scia di quanti in Germania e altrove hanno sviluppato il concetto goethiano di Bildung, di “formazione”. Poiché per lui, nel 1923, assumeva un’importanza cruciale l’applicazione delle sue idee pedagogiche generali, messe alla prova nel cantiere educativo del Castello di Rothenfels e nella creazione dell’associazione giovanile Quickborn [fonte viva], all’ambito della liturgia cattolica.
Da tale necessità nacque Formazione liturgica che si proponeva – scavando più a fondo rispetto a Spirito della liturgia (1918), con un processo sobriamente fenomenologico, e non di meno inserito in una prospettiva di antropologia metafisica – di mostrare come la liturgia abbia fondamenti inconcussi nella natura dell’homo religiosus, per giungere poi in una piena espansione nell’area della grazia “soprannaturale”, una sfera di gratuità “positiva”, quella della fede rivelata, al cui centro è l’incarnazione del Verbo di Dio, di Cristo.
Giulio Colombi
COMMENTO: Il testo chiave di Guardini in una nuova edizione critica. Un testo che rivela il senso profondo della liturgia cristiana.
ROMANO GUARDINI (1885-1968) è stato una delle maggiori figure della storia culturale europea del sec. XX. Presso la Morcelliana è in corso di stampa l’Opera Omnia.
Nel 1841 fu pubblicato il libro di Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo, nel 1907 quello di Adolf von Harnack con lo stesso titolo. I due celebri scritti, che tante controversie accesero nel mondo cristiano e fuori di esso, appaiono, il primo, distruttivo e, il secondo, riduttivo di ciò di cui intendevano precisare l'essenza: né certo la religione "umanistica" feuerbachiana, né l'orientamento "liberale" harnackiano con la limitazione drastica del kérygma evangelico alla sola proclamazione del Regno, sono adeguati all'oggetto della loro indagine. Con quest'opera, che in brevi ma incisive pagine affronta il medesimo sgomentante tema, Romano Guardini propone alcune idee fondamentali sull'essenza di quella realtà che ha inserito nella storia del mondo l'esigenza tormentosa e beatificante della scelta: il messaggio di vita divina, l'annuncio di salvezza, la rivelazione della verità trascendente nel Cristo. Quest'essenza, messa a confronto con la sostanza di altre predicazioni "religiose" come quella buddhistica, l'eleva da esse nella sua assoluta eterogeneità: non è un discorso di consolazione, non è un metodo etico, non è un'elaborazione teoretica dell'esistenza umana e del mondo.
Lo spirito della liturgia è una classica interpretazione della spiritualità liturgica, germinata da una straordinaria potenza d'intuizione e da una perspicacia anticipatrice dei movimenti storici, quale il Guardini ha sempre testimoniate. Il volume, che uscì nel 1919 nella collezione "Ecclesia orans" promossa dall'abate Ildefons Herwegen di Maria Laach, nulla ha perduto a tutt'oggi della sua forza di penetrazione, del suo vigore di sintesi. Nei santi segni l'autore avvia ad una calda comprensione della liturgia e del suo simbolismo. Gli si apre dinanzi così, intatta, la ricchezza di allusione e di appello religioso insita nel segno della croce, nell'inginocchiarsi, nel vario atteggiarsi della mano di chi prega, nell'incedere processionale, nel battersi il petto, nel cero, nell'acqua benedetta, nella fiamma sacra, nella cenere penitenziale, nell'incenso, nella luce, emblema della verità di Dio, nel pane e nel vino, nell'altare coi suoi lini, nel calice e nella patena, nella benedizione, nelle campane. Lo spazio nelle sue direzioni, il tempo con l'avvicendarsi dei ritmi quotidiani, rivelano, essi pure, un'arcana consacrazione liturgica. Profondità cristiana e sensibilità lirica si fondono armonicamente in queste pagine.
È stato Romano Guardini nei primi Anni Venti del secolo appena scorso ad uscire in quell'espressione, che può essere assunta come diagnostica di uno dei lineamenti della teologia cristiana della prima metà del XX secolo: "Un processo di incalcolabile portata è iniziato: il risveglio della Chiesa nelle anime". Un risveglio, che era connesso, nell'analisi del giovane teologo italo-tedesco, con il risveglio culturale ad un vero senso della realtà vissuta e al senso comunitario. Svaniva, sulle macerie della prima Guerra Mondiale, l'incanto per l'idealismo e per l'io astratto, e la coscienza cristiana iniziava a percepire la Chiesa come via verso la personalità, e insieme, come via verso la comunità. Le "Lezioni sulla Chiesa", tenute da Guardini all'università di Bonn nel 1921 e pubblicate nel 1922 con il titolo Il senso della Chiesa, avevano entusiasmato il suo uditorio e i suoi lettori, che le avvertivano "come un colpo d'ala, un soffio di cristianesimo originario, pentecostale", in quanto additavano "nuove vie verso un rapporto vivo tra Chiesa e personalità, verso una crescita umana autentica fondata sulla libertà interiore, che sfocia in una comunità di grazia".(Rosino Gibellini, La teologia del XX secolo)
Libro che ha anticipato l'attuale dibattito sulla post-modernità, "La fine dell'epoca moderna" (1950) è il luogo in cui Guardini dà il meglio di sé come filosofo e teologo. Con radicalità teoretica, ma anche con sensibilità letteraria, Guardini traccia i lineamenti dell'affermarsi dell'idea di modernità. Un'idea che si compie e disintegra con la prima guerra mondiale. Non è la logica stessa della modernità - si chiede Guardini - a metter capo ad un inaspettato ritorno del caos, interno ed esterno? "L'uomo sta nuovamente di fronte al caos... In questo secondo caos si sono riaperti tutti gli abissi delle origini". Che ne è del kerygma cristiano in quest'epoca che "non ha ancora un nome"? Con disincanto Guardini rigetta ogni nostalgia restauratrice. Certo, all'altezza dei tempi "la solitudine della fede sarà tremenda"; ma non v'è qui un kairós provvidenziale? "La fede diviene più parca, ma anche più pura e più grave": una fede in cui rivive l'idea cristiana di persona. E gli scuotimenti che caratterizzano la nuova epoca non comportano la necessità di reinterrogare i fondamenti del concetto di Potere? È quanto Guardini fa nel secondo saggio qui raccolto (1951), dispiegando una lucida, e straordinariamente attuale, analisi delle radici teologiche e antropologiche del potere.
Nei due scritti qui raccolti ("Accettare se stessi" - "Conosce l'uomo solo chi ha conoscenza di Dio") Guardini parte dalla domanda costitutiva del soggetto: «Chi sono io?». Una domanda inquietante, nel tempo della compiuta modernità, in quanto non si danno risposte immediate e certe. Consumate le identità fondate su una presupposta autosufficienza dell'immagine dell'uomo, per Guardini la domanda esistenziale ritrova una risposta nella Parola: questo è il senso del biblico essere fatti ad immagine e somiglianza di Dio. In questo Nome l'uomo ritrova se stesso, ritrova il proprio nome. Ma sarà un ritrovarsi solo nel tempo del Giudizio. Nel frattempo - nel «nostro tempo glaciale…in un cosmo totalmente estraneo» - all'uomo che non cessa di cercarsi, Dio si dà nella polarità della lontananza e vicinanza: fedele alla chiamata - ostinato nella ricerca del proprio "nome nuovo" - sarà solo chi, rifiutando ogni sicurezza idolatrica, attenderà in una fede certo povera, ma pura.
La traduzione italiana dell'opera in cui Guardini traccia le linee della sua antropologia filosofica: l'immagine dell'uomo, del mondo, della Provvidenza alla luce della Rivelazione cristiana.
«Compiutasi l'ubriacatura moderna, costituita soprattutto da filosofie antropologicamente elogiative, sin dal XX secolo, l'uomo ha ripreso a essere un enigma a se stesso. L'indagine filosofica torna ad essere di importanza fondamentale per l'autocomprensione dell'uomo e per porre ancora una volta le domande ultime sull'esistenza […]. Davanti all'uomo di oggi si pone insomma il problema del criterio, dell'orientamento delle sue scelte, della verità del suo agire e del suo pensare, in ultima analisi il problema del fondamento, delle radici della sua dignità» (dall'Introduzione). È qui che la filosofia diventa religione e l'antropologia assume anch'essa una valenza religiosa. In questo ambito Guardini ha dato un contributo decisivo all'autocomprensione dell'uomo del XX secolo. Lo studio, dopo aver mostrato nel primo capitolo la centralità del tema antropologico nel suo pensiero e nella sua opera, mostra nei due capitoli successivi il tentativo di Guardini di “risalire” dalle manifestazioni della persona umana al fondamento metafisico e religioso. Gli ultimi tre capitoli sono dedicati al-la sua cristologia e alla delineazione dell'io cristiano.
DESCRIZIONE: Pubblicato nel 1946, ma risalente a una conferenza tenuta a Stuttgart nel 1944, il testo di Romano Guardini che qui presentiamo per la prima volta in lingua italiana va ad affiancarsi e a completare idealmente il suo ben più ampio Hölderlin: Immagine del mondo e religiosità, del 1939. E, tuttavia, questo Hölderlin e il paesaggio possiede la felice e spontanea esemplarità che caratterizza una conferenza-saggio: è in grado di far vedere al lettore quel che Hölderlin stesso potrebbe aver visto, la natura. Come infatti scrive il Curatore del volume, "ciò che noi siamo soliti chiamare paesaggio, per Hölderlin è più spesso semplicemente natura. Di questa semplicità prova a farsi carico il saggio di Guardini; lentamente il lettore scopre che semplice è la nu-dità dell’esistenza".
Quello di Guardini è dunque un delicato ragionare attorno all’essenza della poesia di Hölderlin, della quale, nell’Epilogo al suo scritto, egli dice che "viene determinata in modo più esatto se diciamo che in essa parla il mondo stesso, e che nel poetare di Hölderlin sembra quasi che sia l’esistenza stessa a parlare".
Al testo di Guardini vengono fatte seguire alcune tra le più belle e luminose poesie dell’ultimo periodo della vita di Hölderlin (Paesaggi. Le stagioni).