Questo volume offre una riflessione sulla lunga e complessa relazione tra il movimento libertario italiano e il fenomeno del volontariato in armi, andando oltre il ruolo universalmente noto degli anarchici durante la guerra civile spagnola o le resistenze europee, e collocando queste esperienze in una prospettiva di lunga durata che parte dalla seconda metà dell'Ottocento e passa dalle evoluzioni del garibaldinismo, dal passaggio della Prima guerra mondiale e dagli anni della lotta antifascista. Viene così offerta al lettore una innovativa chiave di interpretazione di un nodo storiografico ancora non del tutto risolto: quello del rapporto tra anarchismo e violenza.
La seconda guerra mondiale concluse una lunga stagione di conflittualità politica, militare e sociale. Eppure al termine delle ostilità le esperienze, le culture, le pratiche della violenza furono lungi dal cessare in Italia come in molti paesi europei. Comportamenti dettati dall'inerzia e nuove aggressività, vendette a lungo covate, aspettative deluse, rivendicazioni antiche e rinnovati antagonismi, nuovi focolai di guerra civile sfociarono in pratiche violente radicate durante il conflitto, ma riattivate nelle forme e nei contenuti dal contesto della guerra fredda e dalla difficile transizione verso la democrazia che segnò il dopoguerra europeo.