L'opera intensa e monumentale di Paul Cézanne, la sua capacità di ridurre la forma ai suoi termini essenziali, pur senza dimenticare l'esperienza che gli ha consentito di scoprire la luminosità del colore, penetra nell'arte italiana del XX secolo, sia nutrendo la creatività degli artisti, sia operando una notevole suggestione a livello diffuso. Nel nostro paese l'artista francese è avvertito da un lato come un innovatore, padre del Cubismo e dell'arte pura, dall'altro come un classico, vicino ai grandi esempi della nostra tradizione. Inoltre, nell'atmosfera di rinnovamento creatasi dopo il secondo conflitto mondiale, la tendenza alla disintegrazione dell'immagine, evidente nell'ultima parte del percorso cézanniano, suggerisce vie nuove e ardite ad artisti pronti ad affrontare le esperienze dei linguaggi astratti. Questi due termini costituiscono gli estremi dell'originale indagine del volume che accompagna l'esposizione romana e che propone un confronto diretto fra le opere di Cézanne e quelle di alcuni tra i più importanti artisti italiani del XX secolo: da Umberto Boccioni, che vede la lezione del pittore francese come stimolo fondamentale nei confronti della necessità urgente di un mutamento, a Giorgio Morandi, cézanniano nella scelta dei temi, fino agli artisti che nel secondo dopoguerra, influenzati dal linguaggio ellittico dell'ultimo Cézanne, affrontano stilemi astratti o "astratto-concreti", da Afro a Scialoja, Corpora, Morlotti, Pirandello.