Presente nelle prime due edizioni di Spirito dell’utopia (1918 e 1923), questo testo, qui per la prima volta in traduzione italiana, fu espunto da Bloch nell’edizione del 1964. Una vicenda editoriale spia della lacerata relazione tra Bloch e l’ebraismo. Un testo che conferisce la funzione di simbolo alla figura dell’ebraismo perché depositaria di uno slancio inesausto verso l’ulteriorità, verso l’“oltre” di un futuro che sempre soltanto si annuncia, e sempre esorbita quanto si è realizzato. Ma anche la vicenda storica degli ebrei sarebbe parimenti simbolica perché ciò che è avvenuto, e ancora avviene, agli ebrei compendia esemplarmente, anticipandolo, quanto diviene sempre più leggibile nella globalità della storia. In tal senso, l’ebraismo configura lo spazio privilegiato nel quale si può cogliere, e per Bloch è stato effettivamente così, l’intuizione della dinamica intrinseca al pensiero utopico. Un pensiero che è un cristallo apocalittico di speranza e disperazione.
ERNST BLOCH (1885-1977), filosofo marxista eterodosso, è stato uno dei massimi pensatori del Novecento. Tra le sue opere più note tradotte in italiano: Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel (il Mulino, 1975); Spirito dell’utopia (La Nuova Italia, 1980); Il principio speranza (Garzanti, 1994).
Nel 1921, per avvicinare i lettori alla sua opera maggiore, La stella della redenzione, che anche gli amici giudicavano di difficile lettura, Franz Rosenzweig si lasciò convincere a scrivere un testo introduttivo. Per costruirlo in modo efficace scelse la via dell'apologo, che prometteva una comunicazione più agevole con il pubblico colto, anche se avrebbe certo indispettito gli intellettuali di professione: nasceva in questo modo il volume Della comune intelligenza sana e di quella malata. La sua stessa genesi lo rende un originale momento di riflessione sulla filosofia, di cui sottolinea la «nativa» contrapposizione con l'uso spontaneo dell'intelligenza, quello che sorregge il comportamento quotidiano dell'uomo comune. In queste pagine, la cultura occidentale viene metaforicamente descritta come un paziente colpito da apoplexia philosophica acuta, innescata dal potere fuorviante della domanda (aristotelico-metafisica) «che cos'è?», e conseguentemente affetto da paralisi. Lo si potrà curare soltanto inserendolo più direttamente nella relazione con le tre grandi dimensioni entro cui si svolge l'esistenza: l'io, il mondo e Dio. È appunto questo il compito che Rosenzweig riteneva di poter affidare ad un «nuovo pensiero» ormai collocabile al di là della filosofia, la quale aveva infine compiuto (in Hegel) il suo destino, una volta attraversate le sue tre grandi fasi: l'antichità cosmologica, il medioevo teologico e la modernità psicologica.
Franz Rosenzweig dichiarò un giorno che il mondo ebraico tedesco aveva manifestato un vero interesse per lui soltanto quando erano usciti i primi volumetti della Bibbia ebraica nella nuova traduzione che stava realizzando insieme all'amico Martin Buber. Eppure, da alcuni anni il giovane filosofo era attivo a Francoforte come direttore di un pionieristico istituto di cultura ebraica ed era noto per avere scritto nel 1921 "La stella della redenzione", un'opera di grande respiro con la quale introduceva nella filosofia le categorie fondamentali della tradizione biblica (creazione, rivelazione e redenzione) e ridisegnava il travagliato rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Gli scritti compresi nel presente volume furono elaborati per gran parte negli ultimi anni della sua breve esistenza e sono tutti connessi benché in modi diversi - alla traduzione della Bibbia ebraica, impresa che aspirava a confrontarsi con le grandi versioni bibliche del passato, in particolare con quella di Lutero, da cui è scaturita la lingua letteraria tedesca.