Nei saggi qui tradotti per la prima volta in italiano, Bernard Stiegler affronta le due questioni centrali del suo pensiero: quella del rapporto tra vita della mente e tecnologie e quella del fondamento tecnico della politica. La sua riflessione è illuminante per comprendere alcune tra le linee principali dei recenti sviluppi filosofici, dall'eredità di Jacques Derrida alla riscoperta di Gilbert Simondon. Ne emerge un'originale proposta di filosofia della tecnica, tra le più autorevoli nel panorama filosofico contemporaneo, che Stiegler lega a una ripresa del concetto platonico di farmacologia. Se la tecnica è il potenziale veleno (oggi forse diremmo virus) che minaccia l'umanità moderna, la sola salvezza risiede nella sua assunzione strategica e controllata come antidoto (o come vaccino). Da qui si apre una strada nuova: pensare la questione della tecnica come il cuore segreto della decostruzione, e la filosofia come immunità rispetto alle derive peggiori del nostro tempo.
Il saggio, del 1925, costituisce un'agile ed esaustiva introduzione ai temi dell'estetica di John Dewey, che troveranno sviluppo in "Arte come esperienza" (1934). I temi fondamentali dell'estetica di Dewey sono: il recupero dell'esperienza nell'arte; l'esteticità diffusa dell'esperienza ordinaria; il valore "vitale" dell'estetico; la relazione tra dimensione cognitiva e dimensione estetica dell'esperienza. Il saggio non offre solo un accesso immediato all'estetica di Dewey - oltre a essere l'unico suo saggio di estetica non disponibile in italiano: una prima traduzione degli anni '70 è da tempo fuori catalogo - ma è anche il saggio in cui Dewey pone maggiormente l'accento sull'intreccio tra strumentalità dell'agire umano e godimento estetico: ne emerge l'immagine di un soggetto che, mentre trae piacere dall'esperienza che fa, seleziona le competenze necessarie a una più stretta interazione con l'ambiente; parallelamente l'attività artistica è pensata come momento di apprendimento e di costruzione di modelli di conoscenza.
Prodotte dal sistema mediatico, dalla rete globale o da una politica ridotta sempre più a spettacolo, le immagini pervadono oggi il nostro mondo e si collocano in uno spazio in cui le 'cose' sembrano 'finire' nei loro simulacri. E tuttavia sulla funzione e lo statuto teorico dell'immagine, di questo "doppio" della realtà, la filosofia, la religione, l'arte, la politica hanno riflettuto fin dai tempi più antichi. La critica di Platone all'imitazione, come l'iconoclastia d'epoca medievale, la crescente produttività accordata al moderno concetto d'immaginazione, come il ruolo preponderante occupato dall'immagine nell'attuale società dello spettacolo - solo per indicare alcuni dei temi trattati nel libro - portano i segni dell'attrazione, della repulsa, dell'inquietudine che le immagini e il loro potere suscitano da sempre nell'uomo. Dal dibattito antico a quello contemporaneo, il libro approfondisce il percorso critico e storiografico che fu tracciato nel convegno internazionale "Fiat imago, pereat mundus" (Roma, febbraio 2010), alla ricerca di una risposta a un quesito antico quanto attuale: da dove viene e dove sta approdando la nostra "civiltà dell'immagine"?