Robert Marteau si pone dinanzi alla pittura con lo sguardo del poeta più che del critico d'arte, mostrando come essa sia "epifania": manifestazione dell'eterno, soglia dell'essere in cui "si mantiene senza inizio né fine la Creazione". Di tale epifania è simbolo la luce, cifra pittorica che fa da sfondo alle opere degli artisti cui dà voce: Hals, Rembrandt, Vermeer, Chardin, Goya, Ingres, Corot, Monet. Pagine che conducono nel vivo di quell'esperienza spirituale quale è l'arte intesa come ricerca di senso, e ci invitano a custodirne il mistero più che a darne spiegazione. Ecco la "classicità" dell'arte, di cui parla in Appendice Francois Fédier: rispondere a una chiamata, una vocazione, un'ispirazione.
Rimanere seduto davanti alla tela senza fare niente è quanto riferisce Giacometti del suo tentativo di ritrarre Isaku Yanaihara, professore di Filosofia francese all'Università di Osaka scelto come modello nel 1956: data ricordata dai critici come "crisi Yanaihara". Una battuta d'arresto che non si traduce nell'annullamento dell'opera ma in un nuovo sviluppo: una svolta nel percorso artistico di Giacometti che si confronta con i temi dello spazio e della profondità, adottando soluzioni diverse dalle tecniche tradizionali. Ne offrono un'acuta analisi i due testi qui presentati di Sachiko Natsume-Dubé, affiancati in appendice da alcune pagine del diario di posa di Yanaihara che costituiscono una testimonianza imprescindibile per la comprensione dell'opera dello scultore e pittore svizzero. L'esperienza dell'impossibile - ritrarre il volto di Yanaihara che non si riesce a catturare sulla tela - è la "catastrofe" e al tempo stesso la sua nuova possibilità: il tentativo di superare la prospettiva. Nella questione della tecnica pittorica è in gioco il rapporto dell'opera d'arte con il vero.