Un aspetto della personalità di Thomas More che manifesta continuità e coerenza di pensiero è indubbiamente la sua attitudine all'allegria. Un lato della sua anima poliedrica tutt'altro che minore, probabilmente il più indicato e rappresentativo per descrivere l'unicità del suo essere, quello che consente di dipingere il ritratto della sua reale interiorità. La traduzione italiana delle facezie moreane si inserisce in questo contesto e dibattito culturale nella misura in cui il More che si dilettava per puro piacere a prendere in giro la moglie è lo stesso che sul patibolo impartisce al boia consigli su come tagliargli la testa. Quanti conoscono la vita dell'illustre umanista inglese non possono ignorare quel suo inimitabile spirito ludico che divertiva tutti e attraverso il quale egli governava la casa e la nazione. Non c'è biografo che non si sia soffermato con piacere a descrivere questo particolare atteggiamento del suo spirito riportando episodi burleschi e battute canzonatorie che lo vedevano in azione. Indubbiamente le facezie nascono dall'importanza che More dava all'allegria e al buonumore nella conduzione dei rapporti umani, nonché dalla scoperta della loro capacità intrinseca di mitigare attraverso un piacere, derivante dal gioco e dallo scherzo, la fatica dell'anima. Ai riformatori protestanti inglesi che lo accusarono di mancanza di serietà rispose nella sua Apology che «un uomo può alle volte, in mezzo al gioco, dire grandi verità; e per chi è laico, come me, è forse più conveniente esporre il proprio pensiero allegramente che non predicare con solenne serietà».
"È difficile, se non addirittura impossibile, scindere il nome di Erasmo da quello di Thomas More, anche se non pochi biografi lasciano spesso nell'ombra l'immagine di uno dei due amici per rendere plausibili le loro tesi interpretative. In effetti, a chi fa di More un modello di ortodossia alquanto rigida, la vicinanza dell'umanista che maneggiava l'ironia e la polemica graffiante come nessun altro può sembrare compromettente; d'altra parte, a chi vuol vedere in Erasmo uno scettico, il ricordo del suo migliore amico, martire della fede cattolica, deve apparire ingombrante. Erasmo e Thomas More erano diversi e nello stesso tempo inseparabili, al punto che per conoscere da vicino l'uno bisogna sempre interpellare l'altro. Abbeverati alle medesime fonti e vissuti nella stessa epoca, furono legati da una di quelle simpatie totali la cui delicatezza si rivela in mille tratti affascinanti, tanto che essi resteranno nella storia come la coppia più affiatata e insieme di più alto profilo dell'età moderna" (Matteo Perrini, Premessa, in E. da Rotterdam, Ritratti di Thomas More).
Dai primi riferimenti a Thomas More e ai martiri inglesi del periodo precedente la conversione al cattolicesimo fino agli ultimi anni coincidenti con la canonizzazione dello statista martire, ogni qualvolta che Chesterton chiamerà in causa il suo eroe lo farà per sottolineare - attualizzando le parole di More - quanto l'Europa sia legata a Cristo non meno di un figlio al proprio padre naturale. Indubbiamente la difesa e la promozione delle comuni radici cristiane fu la più profonda passione di Chesterton. Era impensabile nella sua visione spirituale della società che l'Europa e l'Inghilterra potessero assumere una forma diversa da quella civiltà mediterranea e cultura latina che ha permeato la Britannia fin dalle origini. "Se questa verità venisse taciuta - scrive - le pietre stesse la griderebbero, non soltanto le rovine, le pietre lungo le vie romane".