Il teatro sveviano, pur presentando innegabili punti di contatto con la narrativa, presenta nel suo complesso una maggiore dipendenza dai modelli del teatro borghese contemporaneo. Nelle opere della maturità e della vecchiaia i due generi, teatro e romanzo, si avvicinano, sviluppandosi ambedue da una tematica unica, una critica sotterranea del quadro reale della famiglia italiana che Svevo corrode dall'interno, nei modi di un'affettuosa rappresentazione della 'infelicità' domestica. L'edizione critica del teatro di Italo Svevo, che qui si presenta, vede la luce nell'ambito dell'Edizione Nazionale dell'Opera omnia di Italo Svevo. Essa rispetta scrupolosamente il dettato dell'autore, senza contaminare redazioni diverse (soprattutto le stampe postume, particolarmente infide, perché con ogni probabilità rimaneggiate da altri). Mancando per la maggioranza dei testi riferimenti così sicuri da determinare il periodo di composizione, ci si attiene prudentemente alla cronologia meno improbabile, fondata sui pochi indizi interni, non sempre incontrovertibili.
Come la "Madonna dei filosofi" anche il secondo libro di Gadda (1934) raduna "pecore randage": scritture sparse, oscillanti tra le prose di diario, tratte dai ricordi della prima guerra mondiale, e le divagazioni su polemiche letterarie di quegli anni. Nella sua unicità, "Il castello di Udine" recalcitra a qualsiasi etichetta, anche a quella di "prosa d'arte". Ma lascia intravedere tutti i caratteri distintivi, per non dire proverbiali, del Gadda maggiore: l'ossessione dell'ordine e il ribellismo anarcoide, l'odio-amore verso Milano e la sua classe dirigente, la straordinaria perizia retorica e i limiti costruttivi dell'intreccio, il calligrafismo (ma sui generis) e l'oltranza espressionistica del grande "pasticheur".